Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5191 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5191 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 4069/2024 R.G. proposto da:
COGNOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL ricorrente
contro
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL controricorrente
nonché contro
COGNOME NOME
intimata avverso la sentenza n.1260/2023 della Corte d’Appello di Catania, depositata il 3-7-2023,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18-22025 dal consigliere NOME COGNOME
OGGETTO:
mutuo
RG. 4069/2024
C.C. 18-2-2025
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 82/2020 pubblicata il 3-6-2020 il Tribunale di Ragusa ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME al fine di ottenere da NOME COGNOME con la chiamata in causa di NOME COGNOME la restituzione di Euro 21.967,41, che l’attrice sosteneva di avere erogato al convenuto a titolo di mutuo.
COGNOME ha proposto appello, che la Corte d’appello di Catania ha integralmente rigettato con sentenza n. 1260/2023 pubblicata il 3-7-2023.
La sentenza ha dichiarato che, al fine di ottenere la restituzione di somma sulla base di contratto di mutuo, l’agente era tenuto a dimostrare non solo l’avvenuta consegna della somma, ma anche il titolo in base al quale la consegna era avvenuta, così da dimostrare l’obbligo di restituzione; ha considerato che nella fattispecie il convenuto non aveva contestato di avere ricevuto le somme indicate dall’attrice ma aveva contestato che le somme dovessero essere restituite, trattandosi di atti di liberalità per solidarietà familiare nell’interesse anche della figlia NOME COGNOME che aveva la disponibilità del conto corrente ove venivano eseguiti i bonifici, la cui restituzione era stata chiesta solo dopo la separazione dei coniugi avvenuta nel 2011, dopo circa dieci anni dalla dazione delle somme. Ha dichiarato che correttamente il Tribunale aveva rigettato la domanda, in quanto la contraddittorietà delle prove orali escludeva che fosse stato assolto l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi del contrat to di mutuo e precisamente il titolo della consegna al fine di dimostrare l’obbligo della restituzione.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di unico motivo.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
E’ rimasta intimata NOME COGNOME alla quale la notificazione del ricorso è stata eseguita a mezzo pec al difensore in appello all’indirizzo EMAIL con consegna del messaggio il 5-2-2024.
Il 5-6-2024 il consigliere delegato ha depositato proposta di definizione accelerata del ricorso nel senso dell’inammissibilità e manifesta infondatezza e in data 8-7-2024 il difensore della ricorrente munito di nuova procura speciale ha chiesto la decisione.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 18-2-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente si dà atto che non sussiste l’incompatibilità del consigliere relatore per essere stato anche l’estensore della proposta di definizione ex art. 380-bis cod. proc. civ., in forza dei principi enunciati da Cass. Sez. U 10-4-2024 n. 9611 (Rv. 670667-01), alla quale è sufficiente in questa sede rinviare.
2.L’unico motivo di ricorso è rubricato ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2730 e 2735 c.c., 115, 116 e 118 c.p.c. -anomalia motivazionale -travisamento della prova (artt. 360 comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c.)’. La ricorrente lamenta in primo luogo che la sentenza impugnata non abbia valutato che quanto dichiarato da NOME COGNOME ai testi COGNOME COGNOME e COGNOME aveva natura giuridica di confessione stragiudiziale fatta a terzi, considerato che lo stesso aveva riferito ai testi circostanze a lui sfavorevoli, ossia di essersi obbligato a restituire le somme che gli erano state prestate; deduce che tale mancata valutazione configuri violazione dell’art. 2735 cod. civ., il quale prevede che la confessione a terzi sia liberamente
valutata dal giudice. Di seguito la ricorrente lamenta il vizio della motivazione, tale da costituire anomalia costituzionalmente rilevante, laddove la Corte d’appello ha dichiarato che le contraddizioni tra i testimoni fossero tali che non era stato assolto l’on ere della prova a carico dell’attrice; sostiene che sia stato il travisamento della prova a condurre a tale conclusione, in quanto le deposizioni non erano state in contraddizione, ma i testi addotti dalla COGNOME, confermando la confessione stragiudiziale del convenuto, avevano dichiarato che lo stesso si era obbligato alla restituzione e i testi addotti dal COGNOME non avevano negato tale circostanza. Quindi sostiene sia evidente il salto logico commesso dalla sentenza impugnata nel ritenere raggiunta la prova che le somme versate dalla COGNOME costituissero una liberalità, in quanto nessuno dei testimoni aveva fatto tale affermazione; dichiara che le testimonianze rese dai parenti di COGNOME erano da considerare al più neutre, non avendo affermato o negato l’obbligo della restituzione, per cui le testimonianze decisive erano quelle dei testimoni introdotti dall’attrice, i quali avevano espressamente confermato più volte l’obbligo della restituzione. Aggiunge che, se anche fosse mai riscontrabile una inconciliabilità delle testimonianze, il parametro di valutazione della Corte territoriale era stato illogico e aveva avuto come conseguenza quello di limitare il diritto alla prova dell’attrice.
3.Il ricorso, a prescindere da ogni questione sulle modalità di formulazione, è manifestamente infondato.
In primo luogo si deve escludere nella sentenza impugnata qualsiasi vizio che ne comporti la nullità sostenuta dalla ricorrente.
E’ acquisito il principio secondo il quale, sulla base dell’attuale formulazione dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ., non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono
all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost. e nel processo civile dall’art. 132 co.2 n. 4 cod. proc. civ. e il sindacato di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale; tale obbligo è violato, concretandosi nullità processuale deducibile ex art. 360 co. 1 n.4 cod. proc. civ., qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, o viziata da manifesta e irriducibile contraddittorietà o sia perplessa e incomprensibile, purché il vizio risulti dallo stesso testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa ricostruzione della controversia (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01, Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01, Cass. Sez. 6-3 25-9-2018 n. 22598 Rv. 650880-01). Nella fattispecie la motivazione non è né mancante, né apparente né insanabilmente contraddittoria, perché la Corte d’appello ha espresso in modo comprensibile e coerente il ragionamento eseguito, con riferimento al fatto che l’onere della prova a carico di chi agisce per ottenere la restituzione di somma che sostiene data a mutuo comprende non solo la prova della dazione della somma, ma anche del titolo che dia diritto alla restituzione e con riferimento al fatto che nella fattispecie tale prova non era stata data, a fronte delle contraddizioni tra le testimonianze. La circostanza che la sentenza non abbia esplicitato, analiticamente esaminato e risolto le contraddizioni tra le testimonianze nei termini proposti dalla ricorrente, non può comportare la nullità della motivazione, perché la sentenza (pag. 4) ha esaminato e posto a confronto le dichiarazioni dei testimoni introdotti dall’attrice e dei testimoni introdotti dalla convenuta, nonché le dichiarazioni rese nell’interrogatorio formale da NOME COGNOME
giungendo alla conclusione che non era stato assolto l’onere probatorio di dimostrare la conclusione di contratto di mutuo.
Del resto, come già è stato evidenziato nella proposta di definizione accelerata, non è neppure vero che la sentenza abbia dichiarato che il contrasto delle deposizioni comportasse la reciproca elisione, perché la sentenza (par.1.2) ha esaminato le dichiarazioni rese dai testimoni introdotti dalle due parti, ha evidenziato che i testimo ni introdotti dall’attrice appellante avevano aggiunto anche circostanze mai da lei allegate, ha considerato le dichiarazioni rese dei testimoni introdotti dal convenuto, ha dato atto che era irrilevante che fossero stretti congiunti se non ai fini della valutazione della loro attendibilità, ha considerato che vi era la piena prova, data dalle dichiarazione rese dalla Girgenti in sede di interrogatorio formale, che delle somme erogate dalla suocera avevano beneficiato entrambi i coniugi in costanza di matrimonio; quindi la sentenza è giunta alla conclusione che vi erano elementi per ritenere si trattasse di liberalità ai coniugi nell’ambito della solidarietà nei rapporti famili ari, considerando altresì che era stata data anche la prova delle difficoltà economiche dei coniugi e del fatto che la richiesta di restituzione era avvenuta dopo otto/dieci anni dai bonifici e dopo che era stato avviato il procedimento di separazione personale dei coniugi. In questo quadro, laddove la sentenza ha fatto riferimento alla ‘contraddittorietà delle prove orali’, lo ha fatto per evidenziare che l’attrice non aveva assolto all’onere probatorio su di lei gravante , in quanto non aveva dimostrato il suo diritto alla restituzione, essendo stato diversamente dimostrato che le somme erano state erogate per spirito di liberalità ai coniugi all’interno di rapporto familiare connotato da solidarietà.
4.Esclusa la nullità della sentenza impugnata per vizio della motivazione, alla disamina di tutte le ulteriori deduzioni della ricorrente ostano, in via assorbente rispetto a ogni altra questione, le modalità
inammissibili con le quali è stato proposto il motivo di ricorso. Tutte le argomentazioni hanno a oggetto il contenuto delle testimonianze, per non avere la sentenza impugnata apprezzato la confessione stragiudiziale di cui avevano riferito i testi e per avere la sentenza travisato il contenuto delle dichiarazioni. Però, in violazione del principio di specificità posto dall’art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ. -nella formulazione previgente che si applica alla fattispecie, secondo l’interpretazione elastica conforme all’evoluzione della giurisprudenza di legittimità e oggi recepita nel testo novellato ex d.lgs. 149/2022- la ricorrente non riferisce in modo circostanziato il contenuto delle dichiarazioni rese dai singoli testimoni; diversamente, come evidenziato già da Cass. Sez. U 18-3-2022 n. 8950 (Rv. 664409-01), il requisito di specificità dei motivi, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, richiede che nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure. La ricorrente si limita nel ricorso a fare sintetico riferimento a quello che, secondo la sua tesi, sostiene essere il significato delle dichiarazioni rese dai testimoni e che lamenta la sentenza impugnata non abbia apprezzato o abbia travisato, laddove ha affermato che dalle testimonianze risultavano le liberalità elargite da NOME COGNOME ai coniugi; però, a fronte del fatto che la sentenza (pag. 4) espone il contenuto delle testimonianze sulle quali ha fondato il suo apprezzamento, al fine di dimostrare che vi sia stato il travisamento del contenuto delle dichiarazioni dei testimoni e perciò ai fini della specificità del motivo, la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che la lettura da lei proposta delle testimonianze era quella corrispondente al contenuto preciso delle dichiarazioni rese dai testimoni. Tale carenza nel ricorso comporta l’inammissibilità del motivo ed è perciò preclusiva a ogni ulteriore disamina, in quanto non rileva che la memoria abbia contenuto più specifico rispetto al ricorso
in ordine alle dichiarazioni rese dai testimoni; ciò perché la memoria assolve all’unica funzione di illustrare i motivi di impugnazione che siano stati ritualmente enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione (Cass. Sez. 2 30-3-2023 n. 8949 Rv. 667513-02, Cass. Sez. 1 20-122016 n. 26332 Rv. 642766-01).
5.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente è condannata alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
Inoltre, poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380-bis cod. proc. civ., devono essere applicati, come previsto dal comma terzo dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ., il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento a favore del controricorrente di somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo, nonché al pagamento di ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 (Rv. 668909-01) e Cass. Sez. U 13-10-2023 n. 28540 (Rv. 669313-01), l’art. 380 -bis co.3 cod. proc. civ. -richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96 co. 3 e 4 cod. proc. civ. -codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata.
Infine, in considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.100,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege;
condanna la ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 cod. proc. civ. di Euro 2.000,00 a favore del controricorrente ed ex art. 96 co. 4 cod. proc. civ. di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione