Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21057 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21057 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4959/2021 R.G. proposto da:
NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 720/2020 depositata il 21/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
NOME COGNOME, in data 16 novembre 2017, conveniva in giudizio NOME COGNOME, alla quale, nell’aprile 2012, aveva concesso in locazione, tramite NOME COGNOME, un suo amico d’infanzia, l’immobile di sua proprietà sito in Belveglio, lamentando il fatto di non aver mai ricevuto il pagamento di alcun canone, e ne chiedeva la condanna al pagamento di quanto dovutole per la locazione dell’immobile dal 2012 al dicembre 2017; chiedeva anche la risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice e la restituzione dell’immobile. Conveniva in giudizio anche il COGNOME, avendo appreso dalla locataria che le somme che le spettavano per canoni di locazione sarebbero state da lui incassate, peraltro, senza alcuna autorizzazione, avendolo delegato esclusivamente alla registrazione del contratto.
NOME COGNOME, costituitasi in giudizio, negava la morosità, confermando di avere effettuato i pagamenti in contanti sino al dicembre 2016 nelle mani del COGNOME ed eccepiva la mancata registrazione e, quindi, la nullità de contratto.
Il COGNOME, costituitosi, confermava di avere ricevuto i canoni di locazione fino al 2 dicembre 2016, ma sosteneva di averlo fatto su indicazione dell’attrice, alla quale aveva poi consegnat o il denaro riscosso a scadenze trimestrali e, a sua volta, deduceva la nullità del contratto, per omessa registrazione.
Il Tribunale di Asti, con sentenza n. 672/2019, dichiarata cessata la materia del contendere quanto alla risoluzione del contratto e alla restituzione del bene e accertata l’avvenuta registrazione del contratto, accoglieva parzialmente la domanda di NOME COGNOME e, per l’effetto, condannava NOME COGNOME al pagamento dei canoni di locazione a partire da 1° gennaio 2017, rigettava la domanda di pagamento dei canoni per il periodo antecedente, perché, ritenendo provato che tramite il COGNOME la locatrice avesse percepito i canoni che le spettavano fino a quel momento.
La Corte d’appello di Torino, con la sentenza n. 720/2020, depositata il 21/07/2020, premesso il passaggio in giudicato della qualificazione del rapporto tra il COGNOME e la COGNOME come mandato all’incasso, ha ritenuto che spetta sse al COGNOME provare con precisione di avere riversato all’appellante le somme incassate per suo conto e che tale prova non era stata raggiunta né in via diretta, tramite le prove testimoniali, né in via indiretta, tramite presunzioni. In particolare, ha reputato che la testimonianza del convivente della COGNOME fosse inattendibile, avendo egli un interesse personale alla controversia, essendo tenuto fino al settembre 2018 a versare i canoni di locazione, avendo goduto dell’immobile, dopo la fine della sua relazione con la COGNOME; ha considerato generica la testimonianza della convivente e dell’amico del COGNOME; ha giustificato l’inerzia della locatrice con l’età avanzata e con i problemi di salute e con la fiducia dalla stessa riposta nel suo amico d’infanzia circa la sua capacità di risolvere i problemi con gli inquilini; ha quindi condannato il COGNOME al pagamento a favore dell’appellante dell’importo di euro 17.100, al netto degli interessi legali.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando cinque motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
NOME COGNOME è rimasta intimata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
La controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4, cod.proc.civ. in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.
Dopo aver ritenuto passata in giudicato la sentenza del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto che gli era stato conferito un mandato all’incasso, in un altro passaggio, a p. 7, la Corte d’appello avrebbe dubitato dei suoi reali rapporti con la COGNOME e quindi della sussistenza di detto mandato; di qui la contraddittorietà della motivazione dell’impugnata sentenza.
Il ricorrente insiste, inoltre, di aver agito a titolo gratuito e per mera cortesia e pertanto si duole di essere stato onerato di una prova rigorosa quanto alla riconsegna di ogni somma incassata per conto della COGNOME..
Con il secondo motivo è denunciata la violazione dell’art. 116 cod.proc.civ., dell’art. 1710 e ss. cod.civ., in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
La Corte d’appello avrebbe erroneamente qualificato il rapporto con la locatrice come mandato all’incasso, nonostante la COGNOME avesse sempre negato di avergli conferito alcun incarico.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. , in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Alla Corte d’appello si imputa di avere qualificato il rapporto con la COGNOME diversamente dall’esponente che aveva sempre negato di avergli conferito alcun incarico, perciò vi sarebbe stato un mutamento non consentito della causa petendi e del petitum .
I primi tre motivi che possono essere esaminati congiuntamente non hanno pregio.
Non essendo contestato dal ricorrente che sulla sussistenza del mandato all’incasso si fosse formato il giudicato, i tentativi di confutazione della sentenza impugnata risultano del tutto inconducenti.
Le ragioni per le quali la Corte d’appello ha dubitato dei rapporti con la COGNOME è ben spiegato a p. 9 dell’impugnata sentenza: non mette in dubbio che all’odierno ricorrente fosse stato conferito un mandato all’incasso, ma dà atto che lo svolgimento del processo è stato caratterizzato da ‘parziali verità’ e ‘condotte processuali poco trasparenti o dubbie dichiarazioni rese da ambedue le parti e dagli stessi testimoni (tutti legati in qualche modo ad una delle parti e dall’atteggiamento compiacente)’. La conclusione della Corte d’appello è che comunque spettava al COGNOME provare di avere versato quanto incassato alla COGNOME e che egli non abbia adempiuto al l’onere della prova a suo carico.
Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Il Tribunale aveva ritenuto inverosimile che una locatrice aspettasse cinque anni prima di dolersi di non aver ricevuto alcun canone di locazione ed aveva attribuito rilievo ad una serie di indizi da cui aveva desunto che ogni somma consegnata dalla conduttrice al COGNOME era stata poi trasferita alla COGNOME. La Corte d’appello invece avrebbe in maniera non convincente ritenuto che l’avere atteso molti anni prima di attivarsi per chiedere i canoni arretrati poteva spiegarsi con l’età avanzata e i problemi di salute e con la fiducia riposta nel suo amico d’infanzia, contraddicendosi quando aveva ammesso che tra le parti vi era un risalente rapporto di amicizia, e non tenendo conto che un’altra persona vicina alla COGNOME, il suo convivente, avrebbe potuto assisterla, anche in
considerazione del fatto che aveva affermato di amministrare le risorse della sua compagna da 25 anni.
Il motivo non merita accoglimento.
Compete al giudice del merito procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari precedentemente selezionati ed accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione, e non piuttosto una visione parcellizzata di essi, sia in grado di fornire una valida prova presuntiva tale da ingenerare il convincimento in ordine all’esistenza o, al contrario, all’inesistenza del fatto ignoto; la delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori, salvo che esso non si presenti intrinsecamente implausibile tanto da risultare meramente apparente; pertanto chi censura un ragionamento presuntivo o il mancato utilizzo di esso non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio e, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 7/04/2014, non essendo sufficiente dedurre una pretesa violazione di legge -come nella speciesull’assunto che sarebbero state trascurate determinate circostanze fattuali.
La doglianza – relativa alla pretesa violazione delle norme sulle presunzioni non viene, a sua volta, neanche presentata nei termini indicati da Cass., Sez. Un. 24/01/2018 n. 1785 (che in motivazione identifica la violazione degli articoli 2727 e 2729
cod.civ. nell’avere il giudice di merito fondato la presunzione ‘su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota’, per cui ai sensi dell’articolo 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., il giudice di legittimità può essere investito ‘dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso se considera grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi’, e lo stesso vale per il controllo della precisione e della concordanza; ontologicamente diversa è infatti -rimarca il giudice nomofilattico -la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito che si concreta appunto nell’addurre che la ricostruzione fattuale poteva essere espletata in altro modo (Cass. 02/11/2021, n. 31071).
Con il quinto motivo è denunciata la violazione dell’art. 1709 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Atteso che il mandato si presume oneroso, in assenza di prova contraria circa la sua gratuità, la Corte d’appello avrebbe dovuto determinare la misura del compenso dovutogli e detrarlo dalle somme eventualmente dovute.
Il motivo è inammissibile per la novità della questione dedotta.
I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di
cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 02/09/2021, n.23792).
Per le ragioni esposte, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, a favore dell’ufficio del merito competente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile