Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13305 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13305 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10817-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 208/2020 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 31/03/2020 R.G.N. 202/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 10817/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
RILEVATO che
Con sentenza del 31 marzo 2020 , la Corte d’appello di Cagliari ha confermato la decisione del Tribunale di Lanusei che aveva respinto la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE volta ad ottenere la corresponsione della somma di euro 177.745,45 pari ai costi che la società ricorrente affermava aver sostenuto per aver avuto alle proprie dipendenze l’ing. COGNOME formalmente da essa assunto ma che aveva ab origine prestato la propria attività lavorativa in favore esclusivo della RAGIONE_SOCIALE ad essa collegata.
L a Corte, condividendo l’ iter motivazionale del giudice di primo grado ha ritenuto sfornito di prova, sulla base delle risultanze processuali, il titolo in base al quale la società appellata sarebbe stata tenuta a corrispondere la somma richiesta, atteso che, nelle stesse allegazioni della appellante, si faceva riferimento, in termini del tutto generici, sia ad una prestazione di servizi, sia ad una fornitura, ed ancora ad un distacco.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso assistito da memoria la RAGIONE_SOCIALE affidandolo ad otto motivi.
Resiste, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO che
1.Con il primo motivo di ricorso si deduce, sotto il profilo dell’art. 360, co. 1, n. 3, la violazione degli artt. 2697, 2710 c.c. e 24 e 111 Cost., per non aver la Corte ritenuto assolto l’onere probatorio in ordine al danno subito, come prospettato dalla società ricorrente.
Con il secondo motivo, si allega la violazione, sempre sotto il profilo dell’art. 360, co. 1, n. 3, degli artt. 2697 cod. civ., 24 e 111 Cost., per aver la Corte negato gli importi dovuti al dipendente dalla RAGIONE_SOCIALE ed aver considerato insufficiente ai fini della prova la produzione di fatture e documenti fiscali.
Con il terzo motivo, si denunzia la violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, per aver la Corte omesso di esaminare le fatture prodotte in giudizio che giustificavano gli importi richiesti in relazione alle mansioni svolte presso la controricorrente dal lavoratore.
Con il quarto motivo si denunzia ancora sotto il profilo dell’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2730, 2697 c.c. e 228 c.p.c. per aver la Corte omesso di esaminare le fatture prodotte in giudizio che giustificavano gli importi previsti in relazione alle mansioni svolte presso la società controricorrente dall’ing. COGNOME e per aver precluso l’assolvimento dell’onere probatorio in relazione all’interrogatorio svoltosi negli altri gradi di giudizio.
Con il quinto motivo si censura la decisione impugnata sotto il profilo dell’art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ., con riguardo agli artt. 2697, 2710, 2709 2720, 2215 bis cod. civ. e 24 e 111 Cost per aver la Corte ritenuto non assolto l’onere probatorio tra imprenditori.
Con il sesto motivo si denunzia la violazione dell’art. 2697 sotto il profilo dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., per aver la Corte omesso di esaminare le fatture prodotte in giudizio che giustificavano gli importi previsti in relazione alle mansioni svolte presso la società controricorrente dal lavoratore alle dipendenze della società ricorrente.
Con il settimo motivo si denunzia violazione dell’art. 360, co.1., n. 4, cod. proc. civ., con riferimento all’art. 702 bis. cod. proc. civ., allegandosi l’ error in procedendo della Corte per non aver rispettato i dettami del rito sommario.
Con l’ottavo motivo si denunzia la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. e dell’art. 360, co.1, n. 5, cod. proc. civ., per non aver compensato la Corte le spese dei due gradi di giudizio.
2. I primi sei motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico -sistematiche, oltre ad essere inammissibilmente formulati in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del
2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine al difetto di prova circa il credito vantato dalla società ricorrente.
Questa Corte (Cass. n. 3397 del 2024) ha anche di recente affermato che In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse.
Va, poi, ulteriormente rilevato che, come definitivamente chiarito di recente dal Supremo Collegio, (cfr., sul punto, S.U. n. 11167 del 06/04/2022 ) la violazione delle norme costituzionali può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., soltanto qualora le norme considerate siano di immediata applicazione, non essendovi disposizioni di rango legislativo di cui si possa misurare la conformità ai precetti della Carta fondamentale.
In riferimento alla censura concernente l’art. 360, cco. 1, n. 5 cod. proc. civ., parte ricorrente omette di considerare che il presente giudizio di cassazione, ratione temporis , è soggetto non solo alla nuova disciplina di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., in base alla quale, le sentenze possono essere impugnate “per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti” , ma anche a quella di cui all’art. 348 ter , ult. comma cod. proc. civ., secondo cui il vizio in questione non può essere proposto con il ricorso per cessazione avverso la sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado, ossia non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c. d. doppia conforme (v. sul punto, Cass, n. 4223 del 2016; Cass. n. 23021 del 2014).
Conseguentemente, non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità tutte quelle censure che attengono alla ricostruzione della vicenda storica come operata dai giudici di merito, anche in ordine alle risultanze probatorie in ordine all’atti vità lavorativa espletata e che lamentano una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo della critica alla valutazione giudiziale delle risultanze di causa, sia perché formulate in modo difforme rispetto ai principi enunciati da Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014, che ha rigorosamente interpretato il novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. limitando la scrutinabilità al c.d. ‘minimo costituzionale’, sia nella parte in cui attingono questioni di fatto in cui la sentenza di appello ha confermato la pronuncia di primo grado.
Relativamente alla denunziata violazione dell’art. 2697 cod. civ., va osservato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità ( ex plurimis, Cass. n. 18092 del 2020), la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie.
2.1. Orbene, la piana lettura del ricorso per cassazione induce ad affermare come il ricorrente sostanzialmente riproduca le doglianze prospettate in grado di appello e già contenute nel ricorso introduttivo di primo grado.
In realtà, la Corte ha richiamato in via introduttiva la giurisprudenza di legittimità – evocata dalla stessa ricorrente – che esclude rilievo dirimente, ex se alle sole fatture, non idonee, in caso di contestazione, a dimostrare la sussistenza e l’entità della pretesa creditoria.
I giudici di secondo grado hanno rilevato, al riguardo, come la controricorrente avesse sempre, in termini chiari, contestato il credito vantato dalla controparte e, conseguentemente, ha escluso che la fattura e la registrazione di essa nella contabilità della ricorrente potesse avere valore probatorio pieno: a monte, d’altro canto, avevano dubitato della stessa validità della registrazione in contabilità di una fattura emessa due anni dopo l’espletamento dell’asserita prestazione e con l’annotazione ‘fattura di vendita’.
Ancora più in termini preliminari, la Corte ha ritenuto che la Delta non avesse neppure chiaramente allegato il titolo in base al quale la RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata obbligata a corrisponderle l’ingente somma richiesta, avendo fatto rifer imento, in termini del tutto generici, sia ad una prestazione di servizi, sia ad una fornitura ed addirittura ad un distacco – con conseguente
applicabilità, quindi, del D.lgs. n. 276/2003, art. 30, ritenuta in primo grado e non contestata in appello, che pone gli oneri retributivi e contributivi a carico del formale datore di lavoro -.
Alla luce di tali argomentazioni e dell’assenza di ulteriore materiale istruttorio in grado di suffragare la tesi di parte ricorrente, la Corte ha escluso che il credito potesse reputarsi provato e tale conclusione deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità.
Conclusivamente, le censure, in realtà, adducendo una illogicità e contraddittorietà della decisione ma anche una asserita violazione di legge, contestano, nella sostanza, l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta insussistenza di elementi sufficienti a sostegno del credito vantato, criticando sotto vari profili la valutazione dalla stessa compiuta, con doglianze intrise di circostanze fattuali, in evidente contrasto con quanto statuito dal Supremo Collegio nella sentenza n. 34476 del 2019.
In particolare, è stato affermato in tale pronunzia che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito;
nel caso di specie, le complessive censure tralignano dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pongono a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito del giudizio, senza neppure confrontarsi con la ratio decidendi.
Tutti gli argomenti addotti da parte ricorrente, invero, mirano ad una diversa valutazione della vicenda inerente al rapporto trilaterale considerato, in particolare insistendo su una diversa valutazione degli elementi probatori che avrebbe dovuto essere effettuata dal giudice di secondo grado.
3. Il settimo motivo è infondato.
Anche con riferimento a tale motivo va osservato che parte ricorrente, pur allegando un error in procedendo , in realtà fa riferimento, nel testo, a pretese insufficienze istruttorie nell’ iter decisorio della Corte.
Al riguardo va, piuttosto, sottolineato quanto già evidenziato dal giudice di secondo grado e, cioè, l’inconferenza del richiamo al giudizio monitorio ed alla documentazione idonea a supportare probatoriamente il ricorso per decreto ingiuntivo, avendo la ricorrente optato per un giudizio di cognizione, se pur con rito sommario, con la conseguenza che una fattura, ancorché registrata in contabilità, non è stata ritenuta sufficiente a fornire la prova del credito.
4. L’ottavo motivo è infondato.
Parte ricorrente, ancora una volta richiamando in modo errato l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., deduce l’omesso esame di un fatto decisivo con riguardo alla mancata compensazione, essendovi ‘giusti motivi’, per la compensazione delle spese dei du e gradi di giudizio.
Parte ricorrente non solo sembra obliterare il disposto del nuovo art. 92 cod proc. civ., che non consente la compensazione delle spese di lite in caso di ‘giusti motivi’, ma anche che le spese sono state liquidate nel rispetto del principio della soccombenza.
Il ricorso deve, quindi, essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Non sussistono in presupposti per la condanna ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ.
Come statuito da questa Corte (cfr., sul punto, Cass. n. 34429 del 2024), la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. non può essere fondata sul mero aggravamento del carico giudiziario dell’ufficio che l’introduzione della lite ha contribuito a determinare, essendo necessario individuare a tal fine la specifica condotta abusiva da imputare al soggetto soccombente, così come si verifica nel caso di insistenza colpevole in tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice, ovvero in censure della sentenza impugnata la cui inconsistenza giuridica avrebbe potuto essere apprezzata dall’appellante in modo da evitare il gravame, nonché in ipotesi di abuso del processo, di proposizione di una impugnazione dai contenuti estremamente distanti dal diritto vivente e dai precetti del codice di rito e, ancora, in ipotesi di errori grossolani nella redazione dell’impugnazione. Tali ipotesi, come si evince dalla parte motiva, non ricorrono nel caso di specie.
8. S ussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
PQM
La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in favore della parte controricorrente, che liquida in euro 10.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 15 aprile 2025
La Presidente
NOME COGNOME