Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5708 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 5708 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31495/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’Amministratore p.t., elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, SUPER RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE POGGIO VALLESANA
-intimati- udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/11/2023 dalla consigliera NOME COGNOME; udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio il RAGIONE_SOCIALE Parco Poggio Vallesana e il RAGIONE_SOCIALE Parco Ciclamino per sentirne accertare e dichiarare la responsabilità, con conseguente condanna al risarcimento del danno, nella produzione dell’evento dannoso in cui era rimasta coinvolta.
A fondamento della propria pretesa, parte attrice deduceva che, mentre era intenta a scendere le scale giunta quasi al termine della prima rampa di scale prima di illuminazione, a causa di un gradino dissestato rovinava al suolo sul lato sinistro e riportava un trauma contusivo alla mano sinistra.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 2998/2017, rigettava la domanda
La decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 1277/2020, depositata il 10 aprile 2020. Il giudice dell’appello ha ritenuto, innanzitutto, il difetto di prova in ordine alla sussistenza del fatto generatore della responsabilità del custode e conseguentemente ha ritenuto superflua la valutazione
non solo degli esiti dell’interrogatorio formale di NOME COGNOME, che nulla riferiva in ordine alla dinamica della caduta, ma pure delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, che, pur avendo accertato la compatibilità delle lesioni lamentate con caduta, nulla poteva riferire in ordine alle modalità della stessa. Ha rigettato la richiesta diretta all’espletamento di una consulenza tecnica di ufficio volta a verificare lo stato dei luoghi di causa, che peraltro non è stato contestato, perché tale verifica nulla avrebbe potuto chiarire in ordine alla dinamica della caduta.
Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione, sulla base di quattro motivi, NOME COGNOME.
3.1. Resiste con controricorso illustrato da memoria il RAGIONE_SOCIALE Parco Ciclamino.
3.2. Il AVV_NOTAIO generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c. Insufficiente motivazione.
Contesta che, nonostante i giudici del merito avessero ricondotto la fattispecie nell’alveo della disciplina dell’art. 2051 c.c., erroneamente veniva imputato alla parte danneggiata di non aver fornito dettagli specifici in ordine alla natura del gradino dissestato e, dunque, circa la prova del nesso eziologico tra la res, gradino, e l’evento occorsole.
La corte d’appello di Napoli erroneamente subordinava la responsabilità del custode alla prova da parte del danneggiato della natura e pericolosità del dissesto del gradino. Affermava infatti che quanto dichiarato dai testimoni circa la dinamica dell’evento non poteva che essere una mera deduzione e/o ricostruzione sulla base della situazione dei luoghi, non avendo potuto avere i testimoni una puntuale percezione dell’eziologia della caduta, che consentisse loro
di ricondurla ad una porzione mancante di cemento dell’ultimo gradino della rampa di scale percorsa.
4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: la Corte d’appello ha omesso l’esame della circostanza della mancanza e/o insufficienza di illuminazione.
4.3. Con il terzo motivo, parte ricorrente censura la violazione e degli artt. 183 e 112 c.p.c., omessa pronuncia in ordine a domande e/o eccezioni proposte con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.: il giudice d’appello ha omesso di pronunciarsi sulla censura della COGNOME che contestava l’affermazione del Tribunale che riteneva le dichiarazioni dei testi escussi prive dei requisiti di attendibilità e credibilità.
4.4. Con il quarto motivo, parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3 c.p.c..
Il giudice dell’appello ha interpretato gli elementi probatori forniti in giudizio in modo erroneo ed incompleto.
I quattro motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono infondati.
Occorre premettere che questa Corte a Sezioni unite, da ultimo con sentenza n. 20943/2022, dirimendo la diversità di indirizzi sulla conformazione della responsabilità del custode, ne ha affermato la natura oggettiva, stabilendo che, per la sua configurazione, è sufficiente che il danneggiato dia prova del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno dallo stesso patito, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del fortuito, ossia ‘un fatto naturale o del danneggiato o di un terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, dal punto di vista oggettivo e della regolarità o adeguatezza causale, senza alcuna rilevanza della
diligenza o meno del custode’ (Cass. civ., SS. UU., Ord., 30/06/2022, n. 20943).
Quel che rileva, secondo tale giurisprudenza, è l’irrilevanza, sul piano dell’accertamento causale, della natura ‘insidiosa’ della cosa in custodia o della percepibilità ed evitabilità dell’insidia da parte del danneggiato (Cass. civ., Sez. III, Ord., 17/02/2023, n. 5116). Sulla scorta di tale corso giurisprudenziale, è stato precisato che la condotta imperita, imprudente o negligente del danneggiato rileva solo se idonea ad integrare il caso fortuito, cioè se si pone come causa efficiente del danno, connotata da carattere di imprevedibilità ed imprevenibilità in grado di interrompere la serie causale riconducibile alla cosa. Pertanto, per escludere la responsabilità del custode il giudice del merito deve compiere ‘un duplice accertamento: (a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; (b) che quella condotta non fosse prevedibile’. E ‘non può astenersi dal compierlo, limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima’ (Cass. civ., Sez. III, Ord., 17/02/2023, n. 5116). Più compiutamente, sul punto può rinviarsi, per un riepilogo dello stato attuale della giurisprudenza di legittimità, a
Cass. ord. 28/11/2023, n. 33074 (puntualizzata la sufficienza, per l’elisione del nesso causale tra sinistro e cosa, della mera colpa del leso: Cass., ord. 20/07/2023, n. 21675).
Ma è, in ogni caso, dirimente osservare che per l’applicazione di qualsiasi disciplina in tema di responsabilità, ordinaria ovvero oggettiva, è presupposto indispensabile che il danneggiato fornisca dapprima ed almeno la prova del nesso causale col sinistro patito dei presupposti di volta in volta invocati (nella specie, della custodia della cosa).
Nel caso di specie il giudice del gravame ha ritenuto che sia mancata la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causa tra la cosa in custodia e il danno (cfr. pag. 8 sentenza impugnata):
e tale conclusione esclude in radice la stessa applicabilità della disciplina invocata.
E, quanto ad essa, il ricorrente richiede, comunque, una rivalutazione dei dati fattuali il cui giudizio rimane nella piena discrezionalità del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.
Infatti, le censure sollevate mirano esclusivamente ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito. È noto che, nel giudizio di legittimità, non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella espressa dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti. Non essendo questa Corte giudice sul fatto, il ricorrente non può pertanto limitarsi a prospettare una lettura delle prove ed una ricostruzione dei fatti diversa da quella compiuta dal giudice di merito, svalutando taluni elementi o valorizzando altri ovvero dando ad essi un diverso significato, senza dedurre specifiche violazioni di legge ovvero incongruenze di motivazione tali da rivelare una difformità evidente della valutazione compiuta dal giudice rispetto al corrispondente modello normativo.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza