Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34097 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34097 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17066/2022 R.G. proposto da:
COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETÀ E LA BORSA, in persona delle legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME, anche disgiuntamente, elettivamente domiciliata presso di loro in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e dell’avvocato NOME COGNOME domiciliato presso il loro recapito digitale con indirizzo pec;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Venezia n. 3024/2021, depositata il 13 dicembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Il dott. NOME COGNOME ha ricoperto, dal 15 dicembre 2011 al 31 maggio 2017, la qualifica di amministratore delegato della società RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘SGR’). RAGIONE_SOCIALE, nel periodo intercorrente tra il 19 marzo 2018 e il 16 aprile 2019, è stata oggetto di attività di vigilanza ispettiva da parte della Divisione RAGIONE_SOCIALE della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob). A seguito delle relazioni ispettive predisposte dalla Divisione Ispettorato, la RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto che, nel periodo intercorso tra l’1 gennaio 2016 e il 30 giugno 2017, si fossero configurate violazioni della normativa di settore in materia di diligenza e correttezza nella prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio e di gestione dei conflitti di interesse, a carico di RAGIONE_SOCIALE, quale autore delle violazioni, e del ricorrente, quale Amministratore Delegato di RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 195 bis, D. Lgs. 24.02.1998, n. 58 (‘ T.U.F. ‘). Il procedimento sanzionatorio è stato instaurato con la nota di contestazione in data 3 ottobre 2019, notificata in data 14 ottobre 2019 (procedimento sanzionatorio n. 97592/2019).
La contestazione aveva ad oggetto:
A) (diligenza e correttezza nella prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio) violazione dell’art. 35 decies , lettere a) e c), del T.U.F. , e dell’art. 97, lettera a), del Regolamento Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018, in tema di diligenza, trasparenza e correttezza e di adozione di misure e tutele atte a garantire il corretto svolgimento del servizio di gestione collettiva del risparmio e violazione dell’art. 35 decies , lettera c), del T.U.F., e dell’art. 113 del Regolamento Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018, in tema di risorse e procedure idonee ad assicurare l’efficiente
svolgimento dei servizi e di modalità di esercizio delle funzioni di controllo di conformità delle norme;
(identificazione e gestione dei conflitti di interesse) la violazione dell’art. 35 decies , lettere b) e c), del T.U.F., e degli articoli 115, 117 e 118 del Regolamento Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018, in tema di misure atte a garantire la corretta identificazione e gestione delle situazioni di conflitto di interessi potenzialmente pregiudizievoli per gli OICR e di tenuta del relativo registro e violazione dell’art. 35 decies , lettera c), del T.U.F., e dell’art. 113 del Regolamento Consob n. 20307 de l 15 febbraio 2018, in tema di risorse e procedure idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e di modalità di esercizio della funzione di controllo di conformità delle norme.
Esaminati gli atti del procedimento, ritenute accertate le violazioni contestate, la Consob ha applicato al dott. COGNOME la sanzione amministrativa pecuniaria di € 70.000,00 complessivi, di cui € 40.000,00 in relazione alla violazione A) ed € 30.000,00 in relazione alla violazione B);
Il dott. NOME COGNOME ha impugnato il provvedimento sanzionatorio davanti alla Corte d’appello di Venezia con ricorso ai sensi dell’art. 195 T.U.F.
La Corte di appello ha annullato tale delibera, con condanna della Consob alla rifusione delle spese di lite.
-La Consob ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il dott. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
La Consob ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 cod. civ. e dell’art. 116 cod.
proc. civ. ( ex artt. 360, comma 1, n. 3 e 4 cod. proc. civ.) sull’inosservanza , da parte della Corte di merito, dei principi che presidiano la valutazione di prove documentali aventi valore di ‘prova legale’ . Si censura, in particolare, la sentenza impugnata nella parte in cui: (i) quanto alla violazione A, ha ritenuto che gli assunti accusatori non trovassero «fondamento», fossero «privi di riscontri documentali» nonché sorretti da «affermazioni assertive»; tale convincimento è stato espresso sia con riferimento alle violazioni di carattere procedurale, ravvisate rispetto alla «contestata destrutturazione del processo decisionale», sia con riferimento alle «condotte specificamente individuate» e «circostanziate», ovverosia la «prestazione di una garanzia ipotecaria a favore del Banco Desio in data 25/3/2017 che si assume conclusa in assenza di poteri» e l’«impropria ingerenza nella valutazione periodica degli immobili»; (ii) parimenti, quanto alla violazione B, la Corte ha ritenuto che gli addebiti siano stati «convalidati» dalla Consob «con le sue stesse valutazioni». Si rimarca che le risultanze probatorie su cui si sono fondati i plurimi addebiti mossi al COGNOME, per aver violato i principi di diligenza e correttezza nella prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio ( ex art. 35decies , lett. b) e c), T.U.F.), sono contenute nei processi verbali elaborati dagli ispettori della Consob i quali, nell’esercizio delle funzioni di vigilanza assumono la veste di «pubblici ufficiali», ex art. 4 comma 11 T.U.F. – ad esito delle verifiche in loco condotte sulla SGR (cfr. le due citate Relazioni Ispettive, prodotte nel «fascicoletto»). La sentenza sarebbe quindi viziata nella misura in cui la Corte territoriale ha vagliato le risultanze probatorie offerte dalla Consob in violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., norma che prevede che il giudice valuti le prove secondo il suo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, nonché degli artt. 2699 e 2700 cod. civ. , che regolano l’efficacia probatoria propria degli atti pubblici, che, secondo quanto costantemente affermato da codesta Suprema
Corte, trovano applicazione con riferimento ai «fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale», contenuti nei verbali ispettivi (così come sancito dalla giurisprudenza citata nel ricorso (in particolare, Cass. 9385/2020, 13679/2018 e 4006/2022). Apparirebbe dunque chiaro come non si era al cospetto di valutazioni proprie dell’agente verificatore o di rielaborazioni personali – come inopinatamente tenta di addurre il controricorrente – ma di aspetti ed elementi di natura oggettiva (che derivavano sia dall’analisi documentale che dall’osservazione di un campione di operazioni di investimento/disinvestimento operate dalla SGR). Il vizio dedotto sarebbe decisivo in quanto l’aver sostenuto, così come ha fatto la Corte di Appello, che gli assunti accusatori non trovassero «nessun supporto fattuale», o che si trattasse di «affermazioni solo assertive», prive di «riscontri documentali», ha comportato il «disconoscimento» di tutti quei «fatti» accertati in sede ispettiva, posti a base delle contestazioni, e, conseguentemente, l’evidente violazione della regola iuris da applicarsi al cospetto di prove legali.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 3 l. 689/1981 (ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.). S ull’inosservanza , da parte della Corte di merito, dei principi sul riparto dell’onere della prova, Consob ritiene che la Corte d’appello di Venezia abbia errato nel pretendere la necessità per l’ente di assolvere a un onere aggiuntivo rispetto a quello previsto dall’art. 2697 cod. civ., rappresentato dalla prova dei fatti che costituiscono il fondamento della pretesa sanzionatoria. Secondo la Corte d ‘ appello, l’Autorità avrebbe dovuto allegare, al fine di provare l’ ubi consistam della pretesa sanzionatoria, anche le condotte «positive», improntate a diligenza, che l’Amministratore delegato della SGR avrebbe dovuto tenere, nell’esercizio delle proprie funzioni, in luogo di quelle
omesse, nonché le modalità e le soluzioni procedurali ed organizzative che avrebbero dovuto essere adottate al fine di prevenire la commissione degli illeciti de quibus (e ciò, avuto riguardo sia alla violazione A che alla violazione B).
Tale ragionamento integrerebbe, all’evidenza, un error in iudicando , ricavandosi dalla sentenza che la Corte ha annullato le sanzioni inflitte al COGNOME non per aver l’incolpato reso deduzioni e prove contrarie «esonerative», idonee a superare la «presunzione di colpa», ma per non aver la Consob adempiuto ad un onere, extra legem, e di certo «aggiuntivo» rispetto a quello ricavabile dalla corretta interpretazione delle disposizioni applicabili in materia di riparto dell’onere probatorio.
Se l’Autorità è gravata di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria, grava sull’incolpato, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 l. 689/1981, di fornire la prova (liberatoria) «dei fatti impeditivi o estintivi», ovvero l’onere di dimostrare di aver agito senza colpa o dolo. Parimenti è da dirsi per l’illecito relativo alle procedure adottate in materia di conflitti di interesse, oggetto della violazione B. Al riguardo, la Corte, dopo aver richiamato le ampie considerazioni profuse nella predetta memoria Consob (pp. 16 e 17 della sentenza) ha concluso affermando che «anche per tale contestazione la Consob non declina le modalità che avrebbero dovuto garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e regolamentari il luogo delle lacunose procedure adottate invece dalla società ». Dunque, anche con riferimento alla violazione B, il convincimento della Corte si è fondato, erroneamente, sull’omessa allegazione da parte della Consob delle «ottimali» soluzioni procedurali che avrebbero dovuto essere adottate in seno alla società (quale prova «integrativa» rispetto a quella prescritta ex lege ) anziché sulla valorizzazione e condivisione delle «deduzioni e prove» articolate dall’incolpato in senso contrario.
L’imposizione di un siffatto onere probatorio in capo all’Autorità sanzionante confliggerebbe anche con i principi ispiratori dell’ordinamento di settore ed in particolare con il principio della «valorizzazione dell’autonomia decisionale dei soggetti abilitati» , richiamato all’art. 6 , comma 1, lett. a) T.U.F., che affonda le sue radici nella libertà di iniziativa e di organizzazione dell’impresa di cui all’art. 41 Cost. Il legislatore non ha imposto modelli procedurali o organizzativi universalmente validi; l’esigenza di ricorrere a «formule necessariamente elastiche» è dovuta, oltre che al tecnicismo della materia, all’impossibilità di predeterminare nel dettaglio tutte le possibili situazioni in presenza delle quali deve ritenersi violato il precettori ser vire al meglio l’interesse dei clienti (stante la «impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a ‘giustificare ‘ l’inosservanza del precetto e la cui valenza riceve adeguata luce dalla finalità dell’incriminazi one e dal quadro normativo su cui essa si innesta (Corte Cost., sentenza n. 172/2014).
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati.
In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita
dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass., Sez. VI-3, 23 ottobre 2018, n. 26769).
Riguardo alle sanzioni amministrative, in particolare, l’art. 3 della l. n. 689 del 1981 pone una presunzione di colpa a carico dell’autore del fatto vietato, gravando sul trasgressore l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass., Sez. II, 26 settembre 2019, n. 24081 che ha applicato tale principio in relazione al provvedimento sanzionatorio adottato, ai sensi dell’art. 190 del d.lgs. n. 58 del 1998, dalla Consob nei confronti dei componenti del Consiglio di amministrazione di una banca, affermando che spetta ad essi, in presenza di accertate carenze procedurali ed organizzative, dimostrare di aver adempiuto diligentemente agli obblighi imposti dalla normativa di settore; Cass., Sez. II, 18 aprile 2018, n. 9546).
Con specifico riguardo alle sanzioni irrogate per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’art. 190 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, individuando una serie di fattispecie a carattere ordinatorio, destinate a salvaguardare procedure e funzioni ed incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, àncora il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della “suità” della condotta inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass., Sez. II, 31 luglio 2020, n. 16517; Cass., Sez. II, 18 aprile 2018, n. 9546; Cass., Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20930).
Nella specie, la Corte d’appello, a fronte delle circostanze presenti degli atti ispettivi non solo non ha adeguatamente vagliato
il compendio probatorio, contrapponendo al contenuto degli atti della Consob delle mere deduzioni, ma ha finito per invertire l’onere della prova sulla colpevolezza. Da un lato, sostiene che le considerazioni contenute nell’atto di accertamento rappresenterebbero circostanze prive di qualunque supporto fattuale, per poi successivamente affermare che soltanto per alcune specifiche ipotesi la contestazione risultava circostanziata ed era riferita a condotte specificamente individuate e rappresentate. Dall’altro, pur riconoscendo che il fondo sia stato svalutato in misura rilevante, si attribuisce alla Consob, con un ‘ inversione dell’onere della prova rispetto alla presunzione di colpa posta dall’art. 3 della l. 24 novembre 1981, n. 689, l’onere di spiegare le ragioni dell’andamento negativo agli imputabilità ha condotte negligenti del COGNOME.
Non può, inoltre, essere condivisa la motivazione riguardante il rilievo degli accertamenti ispettivi. Se tali accertamenti fanno piena prova ex art. 2700 cod. civ., fino a querela di falso, unicamente con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale nella relazione, come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti o conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, nonché con riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, la fede privilegiata non è, per converso, estesa agli apprezzamenti in essi contenuti, né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno notizia da altre persone o a quelli che si assumono veri in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche.
Tuttavia, se le valutazioni conclusive rese nelle relazioni ispettive costituiscono elementi di convincimento con i quali il giudice deve criticamente confrontarsi, non potendoli recepire aprioristicamente (Cass., Sez. I, 30 maggio 2018, n. 13679), essi pur sempre costituiscono un elemento di prova, che il giudice deve valutare in concorso con gli altri elementi e che può disattendere solo in caso di motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio (Cass., Sez. II, 8 febbraio 2022, n.
4006). Nella specie, la Corte d’appello ha contravvenuto a tali principi, limitandosi a ritenere che gli accertamenti contenessero delle considerazioni che non avevano trovato nessun supporto fattuale, risultando prive di riscontri documentali, senza tuttavia considerare i diversi elementi valorizzati nel motivo di ricorso.
-L’accoglimento dei primi due motivi determina l’assorbimento del terzo, con cui si deduce, in subordine, la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per difetto assoluto di motivazione per «manifesta ed irriducibile contraddittorietà» della stessa ( ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.).
-La sentenza va dunque cassata in riferimento ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Venezia, in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, alla Corte di appello di Venezia, in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione