Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15470 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15470 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30323-2020 proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nel lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. COGNOME
COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 466/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata in data 18/02/2020
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato il RAGIONE_SOCIALE interponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 4726/2015, emesso dal Tribunale di Firenze, con il quale gli era stato ingiunto di pagare a RAGIONE_SOCIALE la somma di € 118.101,69 a fronte di due contratti aventi ad oggetto altrettanti progetti di formazione finanziati dal Fondo opponente. Quest’ultimo eccepiva innanzitutto l’incompetenza territoriale del Tribunale di Firenze, a favore di quello di Roma, e nel merito invocava la revoca del decreto opposto, a fronte del grave inadempimento del creditore alle obbligazioni contenute nei contratti posti a base della richiesta di pagamento.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE, resistendo all’opposizione.
Con sentenza n. 540/2019 il Tribunale rigettava l’opposizione, condannando l’opponente alle spese del primo grado.
Con la sentenza impugnata, n. 466/2020, la Corte di Appello di Firenze accoglieva il gravame interposto dal Fondo RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione di prime cure, riformandola e rigettando la domanda di pagamento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, che condannava alle spese del doppio grado di giudizio. La Corte distrettuale evidenziava che COGNOME si era
contrattualmente impegnata a fornire al Fondo prestazioni di verifica amministrativo-contabile, consistenti nel controllo delle spese rimborsabili documentate dai soggetti che avevano avuto accesso a progetti finanziati dal Fondo stesso e di controllo circa l’efficacia dei progetti stessi, anche mediante controlli a campione, in misura non inferiore al 25% dei progetti finanziati dal Fondo. Tali prestazioni tuttavia non sarebbero state puntualmente adempiute, tanto che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di L’Aquila aveva esercitato l’azione penale per il reato di cui all’art. 640 bis c.p.c. nei confronti di NOME COGNOME, dipendente di COGNOME addetta ai controlli di cui si discute, per avere, in concorso con altri, tra cui il Presidente di Confartigianato L’Aquila, soggetto attuatore dei progetti banditi dal Fondo, distratto contributi per una somma di almeno € 120.883. Secondo la Corte di Appello, il creditore al quale sia stato opposto l’inadempimento deve fornire la prova dell’esatto adempimento della sua prestazione, cosa che, nella specie, COGNOME non aveva fatto; nella specie, la circostanza che fosse stata esercitata l’azione penale in danno della COGNOME costituiva indizio sulla scarsa attendibilità dei controlli dalla stessa eseguita, e la sua assoluzione in sede penale non dimostrava comunque l’adempimento dell’obbligazione civilistica assunta da COGNOME nei confronti del Fondo; i testi escussi in prime cure non avevano saputo dire in cosa consisteva l’attività di controllo e verifica che la Lai avrebbe dovuto eseguire e si erano limitati a confermare di aver visto ed esaminato i report dalla stessa redatti, senza tuttavia poter dichiarare nulla a conferma della veridicità di quanto in essi riportato, poiché i testimoni svolgevano soltanto un controllo formale su detti documenti, senza entrare nel merito del loro contenuto. Ad avviso della Corte di Appello, ciò non dimostrerebbe l’effettivo adempimento, da parte di COGNOME, dell’obbligazione contrattuale oggetto di causa, con
conseguente rigetto della domanda di pagamento dalla stessa formulata per assenza della prova del suo presupposto, rappresentato appunto dall’adempimento del contratto in essere tra le parti.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso il Fondo RAGIONE_SOCIALE.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la società ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1460, 1218, 1667, 1668 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente posto a carico del debitore la prova dell’esatto adempimento della prestazione contrattuale. Trattandosi di contratto avente ad oggetto una prestazione di servizi, spettava al Fondo, creditore della prestazione, offrire adeguati riscontri della difettosa esecuzione della stessa da parte del debitore, cosa che, nella specie, secondo la ricorrente il Fondo predetto non aveva fatto, essendosi limitato alla mera contestazione dell’inadempimento di COGNOME.
Con il secondo motivo, invece, viene lamentata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1460, 1455, 1667 e 1668 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte fiorentina avrebbe erroneamente affermato la legittimità del diniego del saldo dell’intero corrispettivo contrattualmente pattuito, da parte del Fondo, anche a fronte di un adempimento soltanto parziale delle obbligazioni assunte, nei suoi confronti, dal fornitore di servizi.
Con il terzo motivo, infine, la ricorrente si duole dell’ omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.,
perché la Corte territoriale avrebbe ritenuto rilevante l’inadempimento anche parziale alle obbligazioni assunte da COGNOME trascurando di considerare che il Tribunale aveva riscontrato una ‘lievissima entità del lamentato mal eseguito controllo, rispetto ai 601 nominativi forniti e correttamente verificati’ . Ad avviso della società ricorrente, l’unico caso in cui il controllo sarebbe stato carente non giustificherebbe il diniego dell’intero corrispettivo contrattualmente previsto, ma soltanto la sua riduzione in corrispondenza del valore del ravvisato inadempimento parziale.
Le tre censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.
Va evidenziato che la Corte di Appello, a fronte dell’eccezione di inadempimento sollevata dal Fondo, ha ritenuto non conseguita, da parte della società fornitrice di servizi, la prova dell’effettivo adempimento alle obbligazioni dalla stessa contrattualmente assunte. COGNOME attinge tale statuizione lamentando, innanzitutto, che trattandosi di fornitura di servizi spettava al Fondo allegare elementi precisi a sostegno dell’eccezione di inadempimento, richiamando, a sostegno della propria tesi, la pronuncia di questa stessa sezione n. 17871 del 2003. In effetti detto precedente, che aveva ad oggetto una prestazione professionale (assistenza veterinaria), ha affermato che ‘… qualora il professionista abbia eseguito la propria prestazione, grava sul committente l’onere di provare l’erroneità o l’inadeguatezza della prestazione professionale ricevuta, il danno ed il nesso di causalità tra la prima ed il secondo, incombendo al professionista l’onere di dimostrarne l’adeguatezza, ovvero che l’imperfetta esecuzione della prestazione è dovuta a caso fortuito o forza maggiore’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17871 del 24/11/2003, Rv. 568408). Tale principio, tuttavia, non implica che, in materia di prestazioni di servizi, la prova dell’inadempimento del soggetto obbligato alla resa della prestazione,
o del suo inesatto adempimento, gravi a carico del creditore della prestazione di servizi, ma soltanto che quest’ultimo, nella sua denuncia del mancato puntuale adempimento, sia tenuto ad un dovere di specificità delle contestazioni mosse all’operato del fornitore del servizio, onde porre quest’ultimo nell’oggettiva condizione di potersi difendere, provando a sua volta di aver correttamente adempiuto. Nel caso di specie, il Fondo non si era affatto limitato ad una generica contestazione dell’operato di COGNOME, ma aveva circostanziato le sue doglianze, fondandole sul rilievo del rinvio a giudizio della dipendente della società fornitrice, incaricata dei controlli di cui è causa, per il reato previsto e punito dall’art. 640 bis c.p., in concorso con il legale rappresentante pro tempore del soggetto attuatore dei progetti che COGNOME, tramite la detta dipendente, avrebbe dovuto controllare e verificare. A fronte di tale specificazione, la società fornitrice avrebbe dovuto dimostrare di aver bene e puntualmente adempiuto al proprio obbligo contrattuale, cosa che -ad avviso della Corte di merito- non è avvenuta, posta l’irrilevanza, al riguardo, della successiva assoluzione della COGNOME dal reato che le era stato contestato, e l’insufficienza della prova testimoniale, dalla quale era emerso soltanto che la COGNOME aveva redatto i report concernenti i controlli dalla stessa asseritamente effettuati, ma non anche la dimostrazione che a detti documenti fosse corrisposta una effettiva attività ispettiva, né dei termini in cui detta attività si sarebbe, in concreto, esplicata. A fronte di tale ravvisata carenza di prova, si giustifica la statuizione della Corte toscana, di rigetto della pretesa di pagamento formulata da COGNOME la quale non ha dimostrato di aver adempiuto alle obbligazioni contrattuali alle quali corrispondeva il pagamento della somma della quale la stessa reclamava il saldo.
Non si configura, quindi, alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., dovendosi ribadire, al riguardo, il principio secondo cui ‘La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.’ (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006, Rv. 592634; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2935 del 10/02/2006, Rv. 586772; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2155 del 14/02/2001, Rv. 543860). Nel caso di specie, la Corte distrettuale non ha operato alcuna inversione dell’ onus probandi , onde la contestata violazione della norma in argomento non sussiste.
Le suindicate considerazioni comportano il rigetto del primo motivo. Col secondo e terzo motivo, COGNOME si duole -in sostanza- della mancata riduzione del corrispettivo dovutole, in una percentuale corrispondente all’inadempimento ravvisato, in concreto, dal giudice di merito.
In tema di eccezione di inadempimento, per stabilire se essa sia stata sollevata in buona fede, il giudice di merito deve verificare se la condotta della parte inadempiente abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico del contratto, avuto riguardo all’interesse della controparte, valutando la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti non in rapporto alla rappresentazione soggettiva delle parti, bensì in relazione alla situazione oggettiva.
La motivazione a riguardo resa dalla Corte fiorentina è in linea con il principio reiteratamente affermato da questa Corte, secondo cui in tema di eccezione di inadempimento, per stabilire se essa sia stata sollevata in buona fede, il giudice di merito deve verificare se la condotta della parte inadempiente abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico del contratto, avuto riguardo all’interesse della controparte, valutando la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti non in rapporto alla rappresentazione soggettiva delle parti, bensì in relazione alla situazione oggettiva (così le pronunce 36295/23 e 4134/25, tra le ultime); né sussiste alcuna omissione di fatto decisivo.
Specificamente sul punto, la Corte d’appello ha rilevato che, anche a ritenere provata una parte delle obbligazioni, ‘quelle inadempiute sono, per qualità, preponderanti all’interno del sinallagma, sol che si ponga mente al fatto che ne è conseguito danno al Fondo stimato dal P.M. in oltre 120 mila euro… ovvero che si consideri che ciò che è mancato è stato proprio quel controllo in loco che era più pregnante per la tutela del Fondo’.
E la Corte territoriale così conclude:’ Sol che si consideri che la prestazione inadempiuta ha determinato per il Fondo un danno che sopravanza l’importo del corrispettivo promesso a COGNOME, è indiscutibile che l’inadempimento, quand’anche fosse limitato a un solo caso, ha avuto un effetto nocivo così esteso dal rendere del tutto priva di concreto interesse per il committente il servizio reso da COGNOME‘.
Non si configura, quindi, alcuna violazione degli artt. 1460, 1218, 1455, 1667 e 1668 c.c., poiché la valutazione sull’adempimento è stata condotta dal giudice di merito nel rispetto delle norme e dei principi in materia, senza operare inversioni dell’onere della prova.
Sul punto, merita di essere ribadito il consolidato orientamento di questa Corte in tema di cd. ‘vicinanza della prova’ , secondo cui ‘In
tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001, Rv. 549956; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2647 del 21/02/2003, Rv. 560641; cass. Sez. 3, Sentenza n. 5135 del 03/04/2003, Rv. 561763; Cass. Sez. L, Sentenza n. 15249 del 11/10/2003, Rv. 567426; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18315 del 01/12/2003, Rv. 568581; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6395 del 01/04/2004, Rv. 571710; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26953 del 11/11/2008, Rv. 605412).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 7.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda