Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20992 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20992 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32345/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da se stesso ex art. 86 c.p.c. (CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato al proprio indirizzo PEC iscritto nel REGINDE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
-controricorrente
e
ricorrente incidentale-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1707/2019 depositata il 17.5.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16.5.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1) Con sentenza n. 692/2012 dell’8.5.2012 il Tribunale di Siracusa, a fronte di una domanda dell’AVV_NOTAIO di condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’importo complessivo di € 97.575,82 oltre IVA, CPA, rivalutazione monetaria ed interessi, a titolo di corrispettivo per l’attività professionale consistita nell’avere, unitamente all’AVV_NOTAIO, verificato lo stato della procedura esecutiva pendente davanti al Tribunale di Siracusa a carico della RAGIONE_SOCIALE e nell’assistenza all’acquisto del complesso alberghiero denominato RAGIONE_SOCIALE di proprietà dell’esecutata RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, conclusasi con la stipula del contratto preliminare della RAGIONE_SOCIALE, ritenuto provato il conferimento di incarico solo per l’attività di assistenza per l’acquisto del complesso alberghiero, condannava la RAGIONE_SOCIALE, che aveva invece sostenuto di avere conferito entrambi gli incarichi al solo prof. NOME COGNOME, che poi a sua volta si era rivolto al suo corrispondente di Siracusa AVV_NOTAIO, al pagamento in favore di quest’ultimo della somma di € 38.500,00, oltre IVA, CPA ed interessi legali dalla domanda al soddisfo ed al pagamento di € 8.700,00 per compensi oltre accessori, respingendo invece la domanda dell’AVV_NOTAIO di pagamento del compenso per l’attività di verifica della procedura esecutiva.
Veniva proposto appello principale dalla RAGIONE_SOCIALE, che chiedeva il rigetto integrale delle domande avversarie e la condanna dell’AVV_NOTAIO alla restituzione di quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado, ed appello incidentale dall’AVV_NOTAIO, che chiedeva la riforma parziale della sentenza del Tribunale di Siracusa con riconoscimento in suo favore del maggior credito richiesto per l’attività di assistenza per l’acquisto del complesso alberghiero, con condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento di esso, oltre che dell’importo dovutogli per l’attività di verifica della procedura esecutiva, svolta sempre su incarico della appellante, ma non riconosciutagli dal Tribunale di Siracusa.
La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza n. 1707/2019 del 17.5/11.7.2019, accoglieva l’appello principale ed il primo motivo dell’appello incidentale (relativo all’incapacità a deporre del teste COGNOME NOME dichiarata in primo grado e sostituita in secondo grado da una valutazione d’inattendibilità del teste), ritenendo assorbiti gli altri motivi dell’appello incidentale, ed in riforma della sentenza di primo grado, rigettava tutte le domande di compenso avanzate dall’AVV_NOTAIO nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e condannava l’AVV_NOTAIO al pagamento in favore di tale società delle spese processuali, che liquidava per il giudizio di primo grado in € 8.700,00 oltre accessori e per il giudizio di secondo grado in € 7.307,07 oltre accessori.
In particolare la Corte d’Appello, esaminando in via preliminare il primo motivo di appello incidentale, riteneva che erroneamente il Tribunale di Siracusa avesse ritenuto il teste COGNOME NOME incapace di deporre, posto che l’eccezione d’incapacità, pur tempestivamente sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado, non era stata riproposta dopo la sua escussione e doveva intendersi quindi rinunciata, ma considerava comunque inattendibile la sua testimonianza in quanto chiaramente interessato all’esito della lite, dato che in ipotesi di accertamento
dell’estraneità della RAGIONE_SOCIALE al conferimento degli incarichi professionali all’AVV_NOTAIO, obbligato al pagamento delle spettanze di quest’ultimo sarebbe stato proprio l’AVV_NOTAIO.
La Corte d’Appello evidenziava poi che il prestatore d’opera professionale era tenuto a fornire prova, anche per presunzioni, non solo delle prestazioni eseguite, ma anche del conferimento dell’incarico finalizzato a tali prestazioni da parte del cliente quando quest’ultimo, come nella specie, ne contestava l’esistenza.
Sulla base di tale principio, il giudice di secondo grado, ritenuto che non potesse essere attribuita maggiore attendibilità ai testimoni indicati da parte attrice (COGNOME NOME e COGNOME NOME) rispetto a quelli indicati dalla convenuta (COGNOME NOME e COGNOME NOME), come fatto dal Tribunale, riesaminate approfonditamente le risultanze istruttorie, ed anche le prove atipiche assunte con l’acquisizione delle prove testimoniali espletate nel separato giudizio civile, che era stato promosso, dopo la revoca dell’incarico, dall’AVV_NOTAIO contro la RAGIONE_SOCIALE, per il pagamento dei compensi relativi alle stesse attività oggetto della domanda di pagamento dell’AVV_NOTAIO, riteneva che non fosse stata raggiunta la prova del conferimento da parte della RAGIONE_SOCIALE dell’incarico all’AVV_NOTAIO, anziché da parte dell’AVV_NOTAIO, per lo svolgimento di entrambe le attività professionali indicate nella citazione di primo grado, e pertanto rigettava entrambe le domande di pagamento del compenso professionale avanzate dall’AVV_NOTAIO contro la RAGIONE_SOCIALE, condannandolo alle spese del doppio grado.
Avverso tale sentenza, notificata il 21.7.2019, ha proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato alla RAGIONE_SOCIALE il 21.10.2019 l’AVV_NOTAIO, sulla base di quattro motivi, cui ha resistito con controricorso, notificato il 2.12.2019, la
RAGIONE_SOCIALE, contenente anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
La sola RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6) Col primo motivo il ricorrente principale lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la Corte distrettuale pronunciato sul secondo motivo di appello incidentale, col quale era stata richiesta l’acquisizione della comunicazione del 26.1.2001, inviata per raccomandata dall’AVV_NOTAIO alla RAGIONE_SOCIALE e con la quale si riferiva della custodia del contratto preliminare presso il suo studio, richiesta già formulata all’udienza del giudizio di primo grado del 20.1.2010, allo scopo di dimostrare l’inattendibilità della teste NOME, che aveva riferito della mancata ricezione da parte della RAGIONE_SOCIALE di quella comunicazione.
Il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto la sentenza impugnata non ha omesso di pronunciarsi sul secondo motivo di appello incidentale, che è stato dichiarato assorbito (v. penultimo capoverso di pagina 8 della sentenza impugnata) all’esito del complessivo esame delle risultanze istruttorie e del ritenuto mancato assolvimento della prova da parte dell’AVV_NOTAIO circa il conferimento in suo favore degli incarichi professionali oggetto di causa da parte della RAGIONE_SOCIALE. Del resto già nel primo capoverso di pagina 6 della decisione era stato precisato che, ancor prima della prova dell’esecuzione della prestazione, era necessario, ai fini del riconoscimento del compenso in presenza di contestazioni sul punto, dimostrare il conferimento degli incarichi professionali.
Ne deriva che il ricorrente non può lamentare alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. ed avrebbe, semmai, dovuto dedurre un vizio di motivazione, e in ogni caso, il Tribunale di Siracusa al termine dell’udienza del 20.1.2010 aveva dichiarato tardiva la richiesta di acquisizione del suddetto documento, formulata dall’attore per la prima volta in quell’udienza e quindi dopo la maturazione delle preclusioni istruttorie. Né risulta dedotto nel motivo che la richiesta di acquisizione documentale in questione fosse stata reiterata dall’attore nelle conclusioni del giudizio di primo grado per segnalare che vi non era stata implicita rinunciata.
Col secondo motivo il ricorrente principale lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli articoli 115 e 116 c.p.c., ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal teste COGNOME NOME.
Si duole il ricorrente che la Corte d’Appello abbia ritenuto il teste COGNOME NOME inattendibile per le stesse ragioni che avevano indotto il Tribunale, con statuizione riformata in appello, a dichiararlo incapace di deporre, senza minimamente considerare il contenuto della sua testimonianza, che pure sarebbe stato rilevante ai fini della prova del conferimento dell’incarico professionale da parte della RAGIONE_SOCIALE all’AVV_NOTAIO.
Preliminarmente va dichiarata inammissibile la doglianza relativa alla violazione dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. che, dopo la riforma apportata dall’art. 54 comma 1 lettera b) del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7.8.2012 n.134, è invocabile per dolersi della mancata considerazione di un fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti, e non della mancata considerazione di una testimonianza, che peraltro è dipesa da un motivato giudizio di inattendibilità e non da un’omissione.
Peraltro, dietro l’apparente richiamo della violazione di legge dell’art. 2697 cod. civ. sull’onere probatorio -che non è stato
affatto violato perché era certamente l’AVV_NOTAIO che aveva l’onere di provare il conferimento in suo favore da parte della RAGIONE_SOCIALE degli incarichi professionali -e degli articoli 115 e 116 c.p.c., si cela il tentativo di ottenere dalla Suprema Corte, giudice di legittimità, una rivalutazione della testimonianza di COGNOME NOME al fine di conseguire la prova degli incarichi professionali asseritamente conferiti.
La ricostruzione probatoria, però, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., non può essere contestata in questa sede, poiché, come è noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’ escamotage dell’evocazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (Cass. 15.3.2024 n. 7041; Cass -27.12.2016 n. 27000). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass., Sez. Un., 30.9.2020 n. 20867; conf. Cass. n.16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del
novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. Si è, inoltre, affermato che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza secondo cui, nel valutare le prove proposte dalle parti, egli abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.
Quanto al giudizio di inattendibilità espresso dalla Corte d’Appello sul teste COGNOME NOME in quanto chiaramente interessato all’esito della lite, dato che in ipotesi di accertamento dell’estraneità della RAGIONE_SOCIALE al conferimento degli incarichi professionali all’AVV_NOTAIO, obbligato al pagamento delle spettanze di quest’ultimo sarebbe stato proprio l’AVV_NOTAIO, va detto che il giudizio di inattendibilità ben può essere basato anche su uno solo degli elementi di carattere soggettivo che servono a valutare la credibilità del teste (credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed eventuale interesse ad un determinato esito della lite) se ritenuto, come nella specie, di particolare rilevanza (vedi in tal senso Cass. 9.8.2019 n. 21239; Cass. 2.8.2019 n. 20865; Cass. 18.4.2016 n. 7623).
Si è precisato, del resto, che sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze
rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. 2.8.2019 n. 20865; Cass. n.13054/2014).
8) Col terzo confuso motivo il ricorrente principale lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., l’errata e/o omessa valutazione del materiale probatorio, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, che sarebbe stato rappresentato dal conferimento degli incarichi professionali asseritamente emergente dagli elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti che si potevano trarre dalle dichiarazioni rese dai testimoni addotti dall’originario attore (COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME), oltre al successivo conferimento di incarico all’AVV_NOTAIO ed all’AVV_NOTAIO da parte della RAGIONE_SOCIALE per richiedere un provvedimento d’urgenza nei confronti della promittente venditrice del complesso alberghiero, incarico quest’ultimo regolarmente pagato. Il COGNOME provvede poi a ripercorrere, in chiave di valutazione critica, tutte le testimonianze acquisite, al fine di addivenire ad una ricostruzione in punto di conferimento degli incarichi professionali, contraria a quella della sentenza impugnata.
Ancora una volta il ricorrente stravolge il contenuto normativo dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., censurando non l’omessa considerazione di un fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti, ma la mancata valutazione delle risultanze istruttorie nel senso da lui auspicato, invocando impropriamente un terzo grado di giudizio di merito.
Quest’ultimo è del resto il vero obiettivo anche del motivo in esame, che solo genericamente richiama le norme sull’onere probatorio e sui vizi del procedimento presuntivo, senza individuare
violazioni specifiche commesse dall’impugnata sentenza, che in realtà vorrebbe ottenere un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale istruttorio, per cui valgono i richiami giurisprudenziali già effettuati sui limiti di censurabilità della violazione dell’art. 116 c.p.c., e vale l’osservazione che non basta a ritenere violato il principio dell’onere della prova dell’art. 2697 cod. civ. il fatto che la Corte d’Appello, nel valutare secondo il suo prudente apprezzamento e con motivazione puntuale e condivisibile, abbia ritenuto non provato dall’originario attore il conferimento degli incarichi professionali da parte della RAGIONE_SOCIALE, per i quali l’AVV_NOTAIO aveva chiesto il pagamento del compenso professionale.
Col quarto motivo il ricorrente principale lamenta la violazione degli artt. 91 e 113 c.p.c.
Si duole il AVV_NOTAIO che la sentenza impugnata, a seguito del rigetto delle sue domande di pagamento del compenso professionale per le prestazioni eseguite su incarico della RAGIONE_SOCIALE, lo abbia condannato al pagamento in favore della stessa delle spese processuali del giudizio di primo grado, liquidate in € 8.700,00 per compensi oltre accessori, ossia nella stessa misura in cui la controparte era stata condannata alle spese processuali dalla sentenza di primo grado poi riformata, senza fare riferimento alla tariffa forense applicata e senza distinguere le voci dei compensi riconosciuti in modo da consentire il controllo sulla correttezza delle spese processuali rispetto alla tabella applicata, ed in tal senso richiama Cass. 23.8.2017 n. 20325 e Cass. 1.8.2007 n. 16993.
Deduce il ricorrente che applicando alle spese di primo grado la tariffa forense del DM n. 140/2012 nella misura media per lo scaglione compreso tra € 25.001,00 ed € 50.000,00 indicato dall’appellante ai fini del contributo unificato, il compenso spettante sarebbe stato di € 4.500,00, e non di € 8.700,00, mentre
applicando il DM n. 127/2004 non si potrebbe sapere quanta parte di tale ultimo importo sia riferibile ai diritti e quanta agli onorari.
Il quarto motivo è infondato, in quanto la Corte d’Appello ha liquidato € 8.700,00 solo per compensi del giudizio di primo grado e non per spese, ossia per lo stesso importo che il Tribunale di Siracusa aveva liquidato a favore dell’AVV_NOTAIO sulla base dell’accoglimento della sua domanda di pagamento del compenso per soli € 38.500,00, importo che il COGNOME aveva incassato senza nulla contestare, mentre all’esito finale del giudizio di secondo grado, al quale occorre fare riferimento quale esito complessivo della lite (Cass. 1.6.2016 n. 11423; Cass. 18.3.2014 n. 6259; Cass. 19.2.2009 n.4052), tutte le domande di pagamento dei compensi, che erano state avanzate dal COGNOME e che per effetto dell’appello principale ed incidentale rientravano nel disputatum, sono state rigettate, per cui il valore della causa tanto per il primo grado, quanto per il secondo grado di giudizio, era pari alla somma complessivamente pretesa dal COGNOME di € 97.575,82, e quindi non era inclusa, come invece sostenuto dal ricorrente principale, nello scaglione del D.M. 10.3.2014 n. 55 compreso tra € 25.001,00 ed € 50.000,00, ma in quello superiore, tra € 52.001,00 ed € 260.000,00, e per detto scaglione, calcolando le quattro voci tabellari nella misura minima si otteneva l’importo di € 7.795,00, nella misura media di € 13.430,00 e nella misura massima di € 25.254,00, per cui l’importo liquidato forfettariamente di € 8.500,00 era di poco superiore al minimo tabellare e di gran lunga inferiore al massimo liquidabile, per cui di nulla può dolersi il ricorrente.
Il AVV_NOTAIO, infatti, che non ha fatto riferimento ad una difformità della liquidazione rispetto alla nota spese presentata dalla controparte, né ad un superamento del massimo tabellare, ha richiamato due pronunce della Suprema Corte, che però si riferivano alla vigenza del precedente D.M. n. 140/2012, che
ancora distingueva diritti ed onorari e richiedeva quindi una specifica distinzione degli stessi per consentire il calcolo differenziato degli accessori, e non ha tenuto conto che al momento della pronuncia della sentenza della Corte d’Appello di Catania era ormai entrato in vigore ed andava quindi applicato, anche per la liquidazione delle spese processuali del giudizio di primo grado (vedi in tal senso Cass. sez. un. n. 17406/2012), il D.M. n.55/2014, che prevede solo la liquidazione di compensi senza distinzione tra diritti ed onorari.
Per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte ” in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. ord. 5.5.2022 n. 14198; Cass. 10.5.2019 n. 12537; Cass. 31.1.2017 n. 2386; Cass. 9.11.2017 n. 26608; Cass. 2.10.2017 n. 22991; Cass. 11.12.2017 n. 29606).
Dal momento che nella specie per il giudizio di primo grado è stato liquidato in favore della RAGIONE_SOCIALE l’importo di € 8.500,00 per compensi, superiore al minimo ed inferiore al massimo previsto dal DM n. 55/2014 per le cause di valore compreso tra € 52.001,00 ed € 260.000,00, non è ravvisabile alcuna violazione di legge.
Vanno poi dichiarati inammissibili il terzo ed il quarto motivo di appello incidentale, che sono stati riproposti nel ricorso da COGNOME NOME, inerenti rispettivamente al mancato riconoscimento nella sentenza di primo grado del compenso professionale per l’attività di verifica dello stato della procedura
esecutiva pendente davanti al Tribunale di Siracusa a carico della RAGIONE_SOCIALE, ed al riconoscimento in primo grado di un compenso solo di € 38.500,00, anziché di € 74.934,16, per la prestazione professionale di assistenza all’acquisto del complesso alberghiero denominato RAGIONE_SOCIALE di proprietà dell’esecutata RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, conclusasi con la stipula del contratto preliminare della RAGIONE_SOCIALE.
Ed invero, si tratta di motivi d’impugnazione che non sono stati formulati in rapporto ai vizi che possono essere fatti valere in sede di giudizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., e che per di più sono rivolti contro la sentenza del Tribunale di Siracusa, e non contro quella della Corte d’Appello di Catania pronunciata in secondo grado.
11) Fondato e da accogliere è invece l’unico motivo del ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE, formulato ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata, ha omesso di pronunciarsi sulla domanda, da quella avanzata nell’atto di appello principale, all’esito della riforma della sentenza di primo grado e del rigetto delle pretese economiche dell’originario attore, di condanna di COGNOME NOME alla restituzione delle somme che il medesimo aveva incassato dalla RAGIONE_SOCIALE in esecuzione della sentenza di primo grado, indicate in € 55.970,25 nel bonifico prodotto.
Sulla domanda restitutoria, infatti, la Corte d’Appello di Catania ha totalmente omesso di pronunciarsi, sicché sotto questo profilo la sentenza impugnata, viziata da nullità, va cassata per violazione dell’art. 112 c.p.c., ma non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto in quanto non è contestato che la RAGIONE_SOCIALE abbia pagato a COGNOME NOME, in esecuzione della sentenza di primo grado, la somma di € 55.970,25, il ricorrente principale va
condannato alla restituzione alla RAGIONE_SOCIALE di tale somma, non avendo più titolo a trattenerla.
In base al principio della soccombenza COGNOME NOME va condannato al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese vive ed € 7.600,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%.
In base all’art. 13, comma 1 -quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del solo ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, e decidendo nel merito, condanna COGNOME NOME alla restituzione in favore della RAGIONE_SOCIALE di € 55.970,25 ed al pagamento in favore della stessa delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 spese ed € 7.600,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%.
Visto l’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del solo ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
sì deciso nella camera di consiglio del 16.5.2024
Il Presidente NOME COGNOME