Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34873 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34873 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25228/2022 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME EMAIL giusta procura speciale in calce al ricorso.
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME EMAIL che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL, giusta procura speciale in calce al presente controricorso.
–
contro
ricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE SAN RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 221/2022 depositata il 01/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. NOME NOME conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Vicenza la Banca San Giorgio Quinto Valle Agno Credito Cooperativo SocRAGIONE_SOCIALE rappresentando: di essere stato socio della RAGIONE_SOCIALE, nonché socio ed amministratore della RAGIONE_SOCIALE in favore delle quali aveva sottoscritto due fideiussioni; di aver successivamente inviato alla Banca lettera di revoca della fideiussione prestate, in occasione del suo recesso dalle due società; di essere venuto successivamente a conoscenza dell’esistenza di due false delibere sociali, in data 10 febbraio 2010, asseritamente recanti la sua firma apocrifa -dato che egli non aveva preso parte alle relative assembleeda cui risultava che i consigli d’amministrazione delle due società avessero stabilito il potere di ciascuno degli amministratori di agire senza l’obbligo della firma congiunta.
Chiedeva quindi al Tribunale di dichiarare nulle le operazioni eventualmente compiute sui rapporti accesi presso la banca e garantiti da COGNOME NOME; di dichiarare inefficaci o nulle le fideiussioni per gli importi maturati a debito delle società successivamente al 10 febbraio 2010; di condannare la banca al risarcimento in suo favore di tutti i danni, patrimoniali e non,
conseguenti ad operazioni compiute successivamente al 10 febbraio 2010 sui rapporti dal medesimo garantiti.
Si costituiva resistendo la Banca San Giorgio Quinto Valle Agno RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Con sentenza n. 2811 del 10 ottobre 2017 il Tribunale di Vicenza rigettava le domande attoree, condannando COGNOME Alberto alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME proponeva appello; si costituiva, resistendo al gravame, la banca.
2.1. Con sentenza non definitiva del 13 febbraio 2020, la Corte d’Appello di Venezia, in parziale accoglimento del primo motivo di appello, rimetteva la causa in istruttoria onde accertare il credito vantato dalla banca nei confronti delle debitrici RAGIONE_SOCIALE previa ricostruzione delle operazioni bancarie delle due società a mezzo di espletanda c.t.u.
2.2. Quindi, con sentenza n. 221 del 1° febbraio 2022, la Corte di Appello di Venezia, definitivamente pronunciando, accertava e dichiarava che COGNOME NOMECOGNOME nella sua qualità di fideiussore, rispondeva delle obbligazioni contratte da RAGIONE_SOCIALE nonché delle obbligazioni contratte da RAGIONE_SOCIALE
Avverso tale sentenza COGNOME NOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE e per essa, quale procuratrice e servicer, la Banca Finanziaria Internazionale s.p.a., capogruppo del Gruppo bancario ‘Banca Finanziaria Internazionale’, incorporante la RAGIONE_SOCIALE, che a sua volta agisce per il tramite della mandataria con rappresentanza e sub servicer RAGIONE_SOCIALE
L’altra intimata non ha svolto attività difensiva.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia ‘Violazione dell’art. 102 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)’.
Lamenta che, sebbene l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle società RAGIONE_SOCIALE fosse stata ritenuta necessaria dalla stessa Corte di Appello di Venezia nella sentenza parziale n. 529/2020, il giudizio di appello si è svolto senza che il giudice ordinasse l’integrazione del contraddittorio.
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia ‘Nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.)’.
Lamenta che la corte di merito non ha rilevato d’ufficio la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario e che, essendo stati pretermessi dei litisconsorti necessari, l’impugnata sentenza è nulla.
2.1. Il primo motivo (invero da riqualificare, dato che prospetta un error in procedendo , come dedotto ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ.: v. Cass., Sez. Un., 24/07/2013, n. 17931) ed il secondo, che possono essere scrutinati congiuntamente data la loro stretta connessione, sono inammissibili.
Anzitutto, la sentenza parziale invocata nel primo motivo (direttamente esaminata dal Collegio, in quanto, in tema di prospettato error in procedendo , la Corte è giudice del fatto processuale e può esaminare direttamente gli atti: v. Cass., Sez. Un., 8077/2012), non menziona e non affronta affatto la questione del litisconsorzio necessario, per cui il ricorrente avrebbe dovuto specificare ed indicare se, dove e quando, nel precedente contesto processuale, avesse formulato istanza di integrazione del contraddittorio, il che non è invece avvenuto.
Inoltre, entrambi i motivi sono inammissibili ex art. 360-bis cod. proc. civ., dal momento che costante orientamento di
legittimità -rispetto al quale il ricorso non contiene elementi tali da determinarne il mutamentoafferma che ‘La relazione di accessorietà dell’obbligazione fideiussoria rispetto a quella principale non esclude la reciproca autonomia delle due obbligazioni e si traduce sul piano processuale nella non configurabilità del litisconsorzio necessario tra creditore, debitore principale e fideiussore, a meno che il giudice non ordini l’intervento in causa del fideiussore ai sensi dell’art. 107 cod. proc. civ., nel qual caso si realizza una situazione di litisconsorzio necessario di tipo processuale, che produce i medesimi effetti di quello sostanziale’ (v. Cass., 17/07/2002, n. 10400).
Il negozio fideiussorio intercorre esclusivamente fra il fideiussore ed il creditore, restandone il debitore estraneo, salve diverse intese fra le parti (Cass., 04/02/2021, n. 2711; Cass. 5/07/2004, n. 12279; Cass. 12/04/1984, n. 2536; Cass. 02/05/1983, n. 3018).
Non è pertanto ravvisabile alcun vizio di nullità dell’impugnata sentenza, non occorrendo ne l caso di specie l’integrazione del contraddittorio con litisconsorti necessari pretermessi.
Con il terzo motivo il ricorrente denunzia ‘Violazione dell’art. 216 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)’.
Censura l’impugnata sentenza là dove ha statuito: ‘Quanto alle contestazioni relative alla falsità delle delibere del 10.02.2010, l’appellante non ha mai allegato, neppure nel presente giudizio, l’esito della denuncia -querela presentata il 18.04.2013 presso la stazione Carabinieri di Valdagno … per l’asserita falsità della propria sottoscrizione e dei verbali delle assemblee, né risulta aver proposto querela di falso in sede civile allo scopo di far accertare con efficacia erga omnes l’asserita falsità dei due verbali, limitandosi a disconoscere nel presente giudizio la propria sottoscrizione’.
Lamenta che erroneamente -senza considerare le differenze
tra i due istituti- la corte di merito ha ritenuto dovesse essere proposta querela di falso, mentre invece correttamente esso esponente COGNOME ha disconosciuto le proprie sottoscrizioni.
Lamenta quindi che ‘Era onere della Banca, pertanto, invocarne la verificazione nelle forme dell’art. 216 c.p.c.’ e comunque che ‘Palese, pertanto, risulta la violazione dell’art. 216 c.p.c. in quanto la Corte territoriale ha posto a fondamento della propria decisione la legittimità della firma disgiunta sui contratti bancari intercorsi dopo il 10.02.2010, non avvedendosi che dalla visura camerale depositata in giudizio risultava che la società fosse pluripersonale collegiale e, che per ovviare a tale collegialità, fosse stata disposta la firma disgiunta nel consiglio di amministrazione del 10.02.2010 con firma falsa del Sig. COGNOME in calce alla delibera’.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, quando la sentenza di merito impugnata si fonda, come nel caso in esame, su più rationes decidendi autonome, nel senso che ognuna di esse è sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile che il soccombente le censuri tutte, dato che l’omessa impugnazione di una di essere rende definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, e le restanti censure non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass., 28/06/2023, n. 18403; Cass., 27.07.2017, n. 18641; Cass. 14.02.2012, n. 2108; Cass. 3.11.2011, n. 22753).
Orbene, il ricorrente non impugna la precisa ratio decidendi con cui la corte di merito, avendo visionato la visura camerale e lo statuto, ha espressamente statuito che l’RAGIONE_SOCIALE, sia in riferimento alla società RAGIONE_SOCIALE sia in riferimento alla società RAGIONE_SOCIALE non ha provato la precedente esistenza di un obbligo di firma congiunto degli amministratori, donde
l’irrilevanza delle delibere disconosciute che secondo la tesi dell’COGNOME avrebbero, falsamente, introdotto l’obbligo di firma disgiunto (v. p. 9, ultime due righe, dell’impugnata sentenza: ‘NOME COGNOME non ha mai documentato l’asserito obbligo di ‘firma congiunta’ stabilito per la validità delle operazioni bancarie di cui non ha dedotto neppure la relativa fonte’).
3.2. L’ulteriore censura che compone il motivo, con cui il ricorrente deduce che la corte di merito non ha considerato la responsabilità della banca per non aver richiesto la delega o la delibera che autorizzava la firma disgiunta, è del pari inammissibile.
La corte territoriale ha motivatamente argomentato in ordine agli ampi poteri degli amministratori, tali da deporre per l’assenza dell’obbligo della firma congiunta nelle operazioni bancarie, risultanti dallo statuto, ed al non avere l’Urbani -tra l’altro rimasto presidente del Consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE e vice presidente del Consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE almeno fino al dicembre 2012provato l’esistenza di tale obbligo, prima delle delibere assembleari da lui qualificate false, che avrebbero introdotto la modifica nel senso della firma disgiunta: da tale articolata motivazione emerge, per implicito, che la banca, a fronte di tali circostanze, non aveva motivo di esimersi dal dare corso alle richieste di prestazioni bancarie ricevute e riportanti la sottoscrizione di uno solo dei soggetti a ciò autorizzati dallo statuto.
Il ricorrente, sotto la formale invocazione della violazione di legge, pretende ora di contrapporre al decisum della corte d’appello una propria diversa ricostruzione dei fatti, il cui esame è tuttavia precluso in sede di legittimità.
Con il quarto motivo il ricorrente denunzia ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.’
Lamenta che la corte non ha considerato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 115 cod. proc. civ., che tutti i fatti dedotti da esso COGNOME -l’esistenza di sue firme apocrife ed il suo disconoscimento, non seguito da istanza di verificazione- non sono mai stati contestati dalla banca.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente ripropone invero le doglianze relative al disconoscimento ed alla mancata istanza di verificazione, in quanto non dirimenti, per le ragioni esposte in sede di scrutinio del terzo motivo.
Lamenta altresì la mancata considerazione dell’asserito comportamento di non contestazione della banca, senza specificare se, dove e quando, nei precedenti gradi di merito egli abbia fatto valere questo comportamento processuale, e lo abbia altresì dedotto conformemente al principio di diritto secondo cui ‘L’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto quando i fatti controversi siano noti alla parte, con la conseguenza che spetta a chi denunci la violazione del principio di non contestazione allegare che la controparte era a conoscenza della circostanza assunta come controversa, non essendo altrimenti configurabile a carico della predetta un onere di contestazione sulla questione (v. Cass., 15/02/2023, n. 4681; Cass., 08/05/2023, n. 12064).
Orbene il ricorrente non indica debitamente nel ricorso se, come e quando e in che modo la banca essere a conoscenza della falsità delle delibere societarie per asserita firma apocrifa dell’Urbani.
Infine, il principio di non contestazione può essere invocato qualora si riferisca a ‘fatti’ conosciuti dalla controparte, mentre il motivo in scrutinio lo evoca in riferimento ad un procedimento, quello di disconoscimento della propria sottoscrizione ex art. 214 cod. proc. civ.
Con il quinto motivo il ricorrente denunzia ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. -Violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.’.
Lamenta che la corte di merito, dopo aver rimesso la causa in istruttoria disponendo consulenza tecnica d’ufficio, aveva dapprima rigettato l’istanza dell’Urbani di integrazione del quesito al c.t.u. e successivamente aveva omesso di disporre il richiesto supplemento di c.t.u. ovvero la convocazione del consulente a chiarimenti.
5.1. Il motivo è inammissibile.
La deduzione in sede di ricorso per cassazione del vizio di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è infatti concepibile solo se: a) il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso, oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi (v. tra le tante, Cass., 17/05/2022, n. 15727; Cass., 03/11/2021, n. 31510).
Esula invece da tale vizio di legittimità qualsiasi contestazione volta a criticare il convincimento che il giudice di merito si sia formato, ex art. 116 cod. proc. civ., comma 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei
fatti da parte della Corte di legittimità (cfr. Cass., 01/06/2021, n. 15276; Cass., 06/03/2019, n. 6519).
5.2. Il motivo dedotto è inammissibile anche ai sensi dell’articolo 360 cod. proc. civ., n. 5, dato che il ricorrente non indica quale ‘fatto’ -inteso in senso storico e naturalistico secondo le note sentenze di cui a Cass., Sez. Un. 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054- la corte di merito abbia omesso di esaminare.
Con il sesto motivo il ricorrente denunzia ‘Violazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)’.
Lamenta che la corte d’appello si è pronunciata erroneamente in relazione ai poteri degli amministratori, senza considerare che nella visura camerale compariva la dizione ‘Amministrazione pluripersonale collegiale’ e che lo statuto prevedeva in capo all’amministratore o agli amministratori delegati il potere di compiere tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione risultanti dalla delega conferita dal consiglio di amministrazione.
6.1. Il motivo è inammissibile.
Come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, ‘la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura se il giudice del merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo (cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni), non anche quando abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. 05/09/2006, n. 19064; Cass. 17/06/2013, n. 15107; Cass. 21/02/2018, n. 4241)’.
Nel caso di specie, premesso che l’onere di dimostrare l’asserito obbligo di firma congiunta stabilito per la validità delle operazioni bancarie spettava all’ Urbani, il giudice del merito non ha operato un’indebita inversione di tale onere, bensì ha ritenuto
che lo stesso non fosse stato debitamente assolto.
Le ulteriori considerazioni svolte nel motivo sollecitano un riesame del fatto e della prova, precluso in sede di legittimità (‘l’eventualità che la valutazione delle acquisizioni istruttorie sia stata incongrua e che il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata avesse assolto l’ onus probandi non integrerebbe violazione dell’art. 2697 c.c., ma soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità esclusivamente negli angusti limiti – già sopra ricordati (cfr. par. 5.1.) del ‘nuovo’ art. 360 c.p.c., n. 5′: così Cass. 29.05.2018, n. 13395, e nello stesso senso Cass. 29.08.2019, n. 21778).
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
Il ricorrente va condannato al pagamento altresì di somma, liquidata come in dispositivo, ex art. 96, 3° comma, cod. proc. civ., ricorrendone i presupposti di legge.
Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’altra intimata, non avendo la medesima svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 10.200,00, di cui euro 10.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; di euro 10.000,00, ex art. 96, 3° comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di
merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza