Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 110 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 110 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 27647-2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE , per procura speciale in calce al ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE,
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza n. 3154/2022 emessa dalla CORTE D’APPELLO MILANO il 10/10/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2/10/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La Corte d ‘ a ppello di Milano ha rigettato il reclamo ex art. 18 l. fall. proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento, emessa dal Tribunale di Milano su istanza di RAGIONE_SOCIALE La corte del merito ha ritenuto che la documentazione contabile prodotta dalla reclamante, mai depositata al registro delle imprese e dunque di scarsa attendibilità, fosse inidonea a provare il mancato superamento delle tre soglie di fallibilità; ha aggiunto che la soglia dei 500.000 euro di indebitamento risultava in concreto superata, in quanto la pretesa della società di non conteggiare i crediti per i quali il Fondo NOME COGNOME e l’agente per la riscossione delle imposte del Comune di Segrate avevano iscritto ipoteca sui suoi immobili l’uno perché nascente da controversia transatta e l’altro perché oggetto di sgravio – era palesemente pretestuosa, dato che la transazione col Fondo NOME COGNOME, come documentato dalla parte resistente, era antecedente all’iscrizione ipotecaria e che non v’era traccia di una contestazione o di una formale impugnazione di quella, iscritta sulla scorta di ingiunzioni dell’ente territoriale, relativa alle imposte comunali.
La sentenza, pubblicata il 10/10/2022, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
La ricorrente, cui era stata comunicata proposta di definizione accelerata del ricorso, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. , ha avanzato rituale e tempestiva istanza di decisione.
La controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, discusso tra le parti, costituito dal mancato esame della documentazione contabile ai fini dell’accertamento della sussistenza dei limiti dimensionali ex art. 1 l. fall. relativi ai ricavi ed all’attivo patrimoniale.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, discusso tra le parti, costituito dalla ritenuta sussistenza del limite dimensionale ex art. 1 l. fall. relativo all’indebitamento , senza esame dell’atto pubblico attestante l’inesistenza di un debito rilevante ai fini del superamento del detto limite.
I motivi sono inammissibili per le ragioni già evidenziate nella proposta di decisione accelerata, che la Corte ritiene del tutto condivisibili e che fa proprie, riportandole qui di seguito.
Innanzitutto, per entrambe le censure motivazionali in cui si articola il ricorso vale il rilievo del mancato rispetto dei canoni del novellato art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., che onerano il ricorrente di indicare, nel rispetto degli artt. 366, comma 1, n. 6), e 369, comma 2, n. 4), c.p.c., il “fatto storico” -e non già questioni, argomentazioni o prospettazioni delle parti (Cass. 2268/2022) -il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e, soprattutto, la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf., ex plurimis , Cass. 27415/2018, 3110/2022).
Inoltre, poiché entrambi i motivi deducono il vizio di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. con riguardo all’esame
di documenti, va richiamato l’orientamento di questa Corte per cui, di regola, l’omesso esame della documentazione non è riconducibile al vizio suddetto, sicché «il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento», con la conseguenza che «la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa» (Cass. 19150/2016, 16812/2018; cfr. Cass. 15733/2022).
Al contrario, nel caso in esame il primo motivo lamenta del tutto genericamente «l’omesso esame della documentazione contabile depositata dalla Ricorrente e volta a dimostrare che non sussistevano i requisiti di fallibilità ex art. 1 l. fall. in relazione ai ricavi ed all’attivo patrimoniale», quando è pacifico che la corte d’appello ha in realtà esaminato la documentazione prodotta (‘movimenti prima nota anni 2018/2019/2020/2021, e bilanci di verifica 2019/2020/2021’), tanto che lo stesso ricorrente si duo le che l’abbia ritenuta inattendibile «per il solo fatto di non essere stata depositata nel registro imprese».
Si tratta, a ben vedere, di una valutazione non sindacabile in questa sede, perché rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, che ha ritenuto la «scarsa attendibilità, quanto alla rispondenza alla situazione effettiva» della documentazione prodotta, poiché mai depositata al registro delle imprese, e dunque la sua irrilevanza ai fini della prova del mancato superamento delle soglie di fallibilità di attivo patrimoniale e ricavi. Del resto non può trascurarsi che, come segnala il controricorrente, la debitrice non ha prodotto alcuna «dichiarazione
dei redditi né dichiarazione IVA» e che «l’ultimo bilancio depositato al registro delle imprese … è quello relativo all’esercizio chiuso al 31.12.2013» (quasi un decennio prima della dichiarazione di fallimento).
La conclusione del giudice a quo è peraltro coerente con la consolidata giurisprudenza di questa Corte.
Difatti, per un verso è vero che i bilanci degli ultimi tre esercizi richiesti dall’art. 15, comma 4, l.fall. non assurgono a prova legale (Cass. 9045/2021, 25025/2020, 10509/2019), sicché, in mancanza, l’onere della prova circa i requisiti di non fallibilità ex art. 1 comma 2, l.fall. continua a gravare sul debitore (Cass. 5047/2023, 24548/2016, 14790/2014), che è tenuto a fornirla con strumenti probatori alternativi (Cass. 24138/2019), avvalendosi delle scritture contabili dell’impresa e di qualunque altro documento, formato da terzi o dalla parte stessa, suscettibile di fornire la rappresentazione storica dei fatti e dei dati economici e patrimoniali dell’impresa (Cass. 29809/2023, 35381/20222, 21188/2021, 1188/2021, 31188/2020, 25025/2020, 24138/2019, 6991/2019, 30541/2018); per altro verso, è altrettanto vero che le scritture contabili del debitore sono soggette a valutazione giudiziale secondo il prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c. riservato al giudice del merito (Cass. 205/2020, 30516/2018), il quale ben può ritenere non assolto l’onere probatorio in questione a causa della inattendibilità della documentazione prodotta (Cass. 19351/2023, 21188/2021, 30541/2018, 25870/2011), e che la valutazione del materiale probatorio è attività riservata in via esclusiva al giudice di merito, il quale non è tenuto ad esprimersi analiticamente su ciascun elemento, né a confutare singolarmente le diverse argomentazioni prospettate dalle parti (Cass. 42/2009, 11511/2014, 16467/2017).
In ogni caso, la corte d’appello ha valorizzato anche il decisivo difetto di prova del mancato superamento della soglia dell’indebitamento, rilevando «la palese pretestuosità delle allegazioni» in merito alla
«transazione con il Fondo Mario COGNOME» (antecedente all’iscrizione di ipoteca giudiziale, iscritta per un titolo successivo e diverso) e l’assenza di «traccia di una contestazione o formale impugnazione» delle iscrizioni ipotecarie erariali.
A fronte di una simile motivazione, risulta del tutto inammissibile – non solo per violazione del principio di autosufficienza e di specificità del ricorso (art. 366, nn. 3) e 6,) c.p.c.), ma anche perché afferente al merito – il secondo motivo, che lament a l’omesso esame dell’atto ricognitivo sottoscritto dal Comune di Segrate l’11/2/1992, avendo i giudici di entrambi i gradi del giudizio ritenuto che nessuna prova fosse stata fornita dalla debitrice per escludere l’efficacia delle ingiunzioni del Comune di Segrate in forza delle quali la RAGIONE_SOCIALE ha iscritto le ipoteche.
Del resto, l’eventuale contestazione stragiudiziale dei crediti risulta irrilevante, poiché «ai fini della verifica del requisito di fallibilità previsto dall’art. 1, comma 2, lett. c), l.fall., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 169 del 2007, è necessario considerare, nell’esposizione debitoria rilevante, anche i crediti contestati, trattandosi di un dato oggettivo, che non può dipendere dall’atteggiamento o dall’opinione soggettiva del debitore» (Cass. 21241/2023, 601/2017, 20877/2015, 25870/2011).
Il ricorso è dunque dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Sussistono, inoltre, i presupposti per la condanna della ricorrente, nella presente sede, sia ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., che ai sensi del comma 4 della medesima disposizione, come espressamente previsto dall’art. 380 bis, ultimo comma, c.p.c..
La Corte stima equo fissare in € 7.000 la sanzione ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., ed in € 2.500 quella ai sensi
del comma 4 della medesima disposizione, atteso il carattere consolidato dei principi giurisprudenziali applicati e la manifesta inammissibilità del ricorso, per i motivi ampiamente esposti.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla controricorrente RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità, che liquida e in complessivi € 7.200, di cui € 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e cpa, nonché la somma di € 7.000 ex art. 96, comma 3, c.p.c.; condanna altresì la ricorrente a versare la somma di € 2.500 alla cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c..
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma il 2.10.2024