Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19760 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19760 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3744-2020 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliate in ROMA alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME
COGNOME che, unitamente all’avvocato NOME COGNOME le rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME;
-intimati –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 8208/2018, depositata il 19/12/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1/7/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME Lette le memorie delle parti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio le società RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘) e RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘) chiedendo che ne venisse accertato e dichiarato l’inadempimento alle obbligazioni assunte con accordo sottoscritto il 26/05/1998 e che le due società venissero condannate in solido, oltre che al risarcimento dei danni scaturenti dagli inadempimenti, anche al pagamento delle somme ancora da corrispondere per gli incarichi peritali espletati in esecuzione del detto accordo.
In particolare, gli attori precisavano che i danni subiti potevano individuarsi nel mancato reddito promesso o comunque presumibile che ad essi sarebbe derivato dal corretto adempimento dell’accordo e, nel quantificare la somma dovutagli, evidenziavano di aver stipulato con la Crawford UK un accordo in
virtù del quale la società si impegnava ad assegnare a NOME COGNOME e NOME COGNOME, in esclusiva, il 60% (30% ciascuno) delle attività di liquidazione dei sinistri sul territorio italiano, con l’obbligo di comunicare agli stessi ogni singolo incarico ricevuto e di tenere un apposito archivio onde rendere possibili i necessari controlli sull’andamento del lavoro nel suo complesso, ricordando, altresì, che l’accordo prevedeva la corresponsione agli attori di un compenso per l’attività peritale pari all’80% di quello corrisposto dai mandanti.
In particolare, NOME e NOME COGNOME lamentavano che sia la Crawford UK sia la RAGIONE_SOCIALE, nel rifiutare di comunicargli tutti i mandati ad esse conferiti per lo svolgimento degli incarichi peritali in Italia nonostante la espressa previsione in tal senso, avevano realizzato un sistematico sviamento dell’attività peritale, operando in violazione dell’impegno di conferire ai professionisti il 60% del lavoro.
Si costituivano in giudizio la Crawford UK e la Crawford Italia, chiedendo il rigetto delle domande attoree.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 2581 del 3 febbraio 2010, rigettava le domande proposte dagli attori.
NOME COGNOME e NOME COGNOME interponevano distintamente appello avverso tale sentenza, chiedendo la riforma integrale della decisione.
Si costituivano in entrambi i giudizi le società appellate, chiedendo, oltre alla riunione delle due distinte cause, il rigetto del gravame, formulando appello incidentale con richiesta di correzione di errore materiale con riferimento al nominativo di uno degli attori.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 8208 del 19 dicembre 2018, dopo aver riunito gli appelli proposti, rigettandoli entrambi, confermava la decisione di primo grado e, in accoglimento dell’appello incidentale, ordinava la correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza.
Innanzitutto, il giudice di secondo grado, da un lato, riconosceva la sussistenza dell’inadempimento contrattuale della Crawford UK per non aver la stessa fornito la prova del corretto adempimento del contratto -ritenendo al contempo assorbita ogni questione afferente al mancato accoglimento dell’istanza di ordine di esibizione del registro dei mandati e del libro IVA -e, dall’altro, escludeva il risarcimento del danno in relazione ad un presunto mancato guadagno riferito alla perdita di incarichi professionali provenienti dall’intero Gruppo Crawford e non solo dalla Crawford UK.
In particolare, la Corte territoriale -richiamando la giurisprudenza di legittimità in tema di danno patrimoniale da mancato guadagno secondo la quale il giudizio di probabilità per la sua liquidazione, anche in via equitativa, richiede la presenza di elementi certi offerti dal soggetto non inadempiente -rilevava che tale onere probatorio non era stato assolto dagli appellanti, non avendo questi fornito elementi concreti sulla base dei quali desumere la quantificazione del danno, sia pure in misura equitativa.
In merito poi alla previsione di cui all’art. 5 del contratto intercorso tra le parti circa il rendiconto predisposto dai professionisti per il pagamento dell’attività svolta per ogni incarico, la Corte territoriale, nell’escludere che l’onere probatorio
in ordine al concreto espletamento delle prestazioni fosse stato assolto dai professionisti, evidenziava che tale rendiconto unilateralmente predisposto era una condizione aggiuntiva richiesta in contratto per il pagamento, non determinando la relativa clausola contrattuale, diversamente da quanto prospettato dagli appellanti, un’inversione dell’onere della prova.
Per la cassazione di tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.
Le società Crawford UK e Crawford Italia hanno resistito con controricorso.
Non hanno svolto difese in questa fase né NOME COGNOME né NOME e NOME COGNOME in qualità di unici eredi del primo.
Le parti hanno anche depositato memorie in prossimità dell’udienza.
L’ordine logico delle questioni impone la preventiva disamina del secondo motivo di ricorso che denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per giudicare sulla domanda risarcitoria formulata e conseguente vizio motivazionale in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 2711 c.c. e 210 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte territoriale affermato la sussistenza dell’inadempimento contrattuale di Crawford UK e poi, inspiegabilmente, disatteso la domanda di risarcimento, formulata dagli appellanti, proprio in ordine ai danni subiti in conseguenza di tale accertato e dichiarato inadempimento.
A parere del ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe errato nel non aver dato seguito alle istanze istruttorie dei
professionisti ed in particolare all’ordine di esibizione dei documenti contabili nei confronti delle società, che avrebbe consentito la quantificazione degli asseriti danni, identificabili nei mancati guadagni derivati dal preteso inadempimento contrattuale, e alla CTU per la pretesa stima di quanto avrebbe incassato il ricorrente se gli accordi fossero stati rispettati.
La decisione di secondo grado sarebbe altresì affetta da vizio di motivazione apparente in quanto non sarebbe possibile rinvenire né le ragioni della mancata istruttoria né gli elementi da cui il giudice di merito ha tratto il proprio convincimento per ritenere superflua la prova richiesta, consistente nella esibizione in giudizio delle scritture contabili della società convenuta.
La Corte, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto, sul presupposto dell’acclarato inadempimento della società Crawford UK, dare il giusto rilievo agli elementi indiziari e determinare il danno richiesto dai professionisti in via equitativa oppure ammettere la richiesta istruttoria di esibizione, onde, in caso di ottemperanza, avere più ampi elementi di valutazione per il richiesto risarcimento del danno oppure, in mancanza, rinvenire nel comportamento omissivo dell’odierno controricorrente conferma degli elementi indiziari offerti.
Preliminarmente occorre osservare come, sebbene nel caso di specie si versi in un’ipotesi di cd. doppia conforme -relativamente alle ragioni del rigetto della domanda risarcitoria da inadempimento contrattuale -non è tuttavia possibile dichiarare l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., della censura in esame, con la quale il ricorrente denuncia il vizio di cui al comma 1, n. 5, dell’art. 360 c.p.c.
Invero, la declaratoria d’inammissibilità per doppia conforme del motivo di ricorso per cassazione, con il quale il ricorrente denunci l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, è configurabile solo per i giudizi d’appello introdotti con citazione la cui notificazione sia stata effettuata decorsi 30 giorni dall’entrata in vigore della l. n. 134 del 7 agosto 2012, che ha convertito il D.L. n. 83 del 22 giugno 2012, mentre, nel caso in esame, il giudizio d’appello è stato instaurato nel 2011, e dunque anteriormente all’entrata in vigore di detta norma (e ciò secondo quanto disposto dall’art. 54 comma 2 del D.l. n. 83 del 2012, che ha innestato, nel codice di rito, la previsione di cui all’art. 348 -ter c.p.c. il quale, relativamente a tale ipotesi d’inammissibilità, è successivamente confluito – in seguito ad abrogazione per opera del D.lgs. n. 149 del 2022 nel vigente comma 4 dell’art. 360 c.p.c.).
Il motivo è fondato.
Nela fattispecie, la Corte d’Appello alla pag. 12, dopo aver dato espressamente atto che la Crawford UK non aveva dimostrato di avere correttamente adempiuto al mandato scaturente dal contratto, così che sussisteva il suo inadempimento contrattuale, ha fatto seguire a alle affermazione il rilievo secondo cui era conseguentemente assorbita ogni questione afferente al mancato accoglimento della istanza di esibizione del registro dei mandati e del libro IVA, che secondo la prospettazione del ricorrente, avrebbero permesso di risalire con maggiore precisione al numero ed alla tipologia di incarichi conferiti alla controricorrente. Questa Core ha al riguardo affermato che (Cass. n. 13533/2011) la discrezionalità del potere officioso del giudice di ordinare alla
parte o ad un terzo, ai sensi degli artt. 210 e 421 cod. proc. civ., l’esibizione di un documento sufficientemente individuato, non potendo sopperire all’inerzia delle parti nel dedurre i mezzi istruttori, rimane subordinata alle molteplici condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 118 e 210 e 94 disp. att. cod. proc. civ. e deve essere supportata da un’idonea motivazione, anche in considerazione del più generale dovere di cui all’art. 111, comma sesto, Cost., saldandosi tale discrezionalità con il giudizio di necessità dell’acquisizione del documento ai fini della prova di un fatto. Tuttavia ha cassato per vizio di motivazione la sentenza del giudice d’appello che non aveva in alcun modo né provveduto né motivato in ordine alla richiesta di esibizione del prospetto delle polizze assicurative facenti parte del portafoglio di un agente all’epoca di interruzione del rapporto di agenzia, avendo giudicato meramente esplorativa la richiesta di nomina di un c.t.u. per ricostruire l’ammontare dei danni subiti dall’agente stesso per storno della clientela, senza, però, considerare i possibili nessi tra le due istanze istruttorie. Ritiene il Collego che il principio ora richiamato ben si attagli anche alla presente ipotesi in cui, in maniera contraddittoria con quanto appena affermato in punto di inadempimento della società, si reputa che l’istanza di esibizione debba reputarsi assorbita, senza però minimamente motivare al riguardo.
Il motivo deve essere accolto e la sentenza deve essere casata in parte qua, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 1226 c.c. in relazione all’art.
360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte conclamato la sussistenza dell’inadempimento dedotto dall’appellante ma, al contempo, respinto la richiesta di liquidazione del danno da lucro cessante, sostenendo la mancanza di prova del pregiudizio nel quantum e che a tale prova non si potesse supplire neppure in via equitativa, mancando elementi certi, offerti dalla parte non inadempiente, dai quali si potesse desumere l’entità del pregiudizio subito, resta evidentemente assorbito per effetto del accoglimento dle primo motivo.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del contratto concluso tra le parti in data 22/5/1998 e degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nonché l’omesso esame di fatti decisivi per la corretta deliberazione sulla domanda di condanna al pagamento dei compensi in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. per aver la Corte territoriale confermato il rigetto dell’ulteriore domanda formulata dal ricorrente in primo grado di condanna al pagamento, in suo favore, del compenso per l’attività peritale svolta.
In particolare, secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe errato nell’interpretare l’art. 5 del contratto intercorso tra le parti in quanto dallo stesso si evincerebbe che il quantum dovuto al ricorrente, per l’espletamento dell’attività peritale per ogni singolo incarico, era predeterminato ab origine , vale a dire nel momento in cui la società inglese aveva concordato il compenso complessivo con la mandante originaria, con preteso obbligo di rendiconto della società italiana per il pagamento dell’attività svolta per ogni incarico e, dunque, con il fine di
consentire la corretta imputazione del compenso totale corrisposto ai professionisti. Il giudice di secondo grado avrebbe, pertanto, errato nel ritenere il rendiconto unilateralmente predisposto, invocato a fondamento della pretesa economica, una mera condizione aggiuntiva per il pagamento, anziché un obbligo tassativo della società italiana cui era subordinato il pagamento per l’attività svolta, omettendo una interpretazione complessiva delle pattuizioni.
In particolare, la Corte avrebbe frainteso l’essenza e/o la valenza del ‘rendiconto’, considerandolo alla stregua di una mera fattura commerciale, a formazione unilaterale, trattandosi piuttosto, secondo il ricorrente, di un documento di sintesi e di specifica di tutta l’attività svolta, nonché unica condizione per incassare il corrispettivo, predeterminato in una percentuale fissa. Il rendiconto sarebbe dunque la prova dell’effettivo svolgimento dell’incarico e, allo stesso tempo, titolo di pagamento.
Anche tale motivo deve essere disatteso, in quanto la critica attinge un apprezzamento, anche in questo caso riservato al giudice di merito, quanto alla corretta interpretazione delle previsioni negoziali, senza che però la critica, pur formalmente investendo la denuncia delle regole di ermeneutica contrattuale, sia in grado di individuare una puntuale violazione delle stesse.
L’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, così che il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante
specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (cfr. da ultimo Cass. n. 9461/2021).
Infatti, benché l’interpretazione del contratto resti tipico accertamento devoluto al giudice del merito, solo qualora non sia dato rinvenire il criterio ermeneutico che ne ha indirizzato l’opera interpretativa sussiste la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. giacché in tal modo il giudice viene meno al dovere d’interpretazione secondo i canoni legali, ove fornisca un’esegesi svincolata da regole conoscibili, nel senso di verificabili attraverso il vaglio probatorio, e non giustificata dal contenuto letterale dello strumento negoziale (cfr. ex multis Cass. n. 5052/2025).
Nella fattispecie, la sentenza impugnata, nell’esaminare la richiesta di condanna avanzata dal ricorrente per i compensi asseritamente maturati per le prestazioni rese su incarico della Crawford UK, ha rilevato che la previsione negoziale che prevedeva per il contraente che avesse predisposto il rendiconto relativo ai tempi ed ai costi per l’ammontare del compenso maturato, il diritto ad essere pagato (art. 5.2 del contratto), andava interpretata nel senso che la prestazione del rendiconto era una condizione aggiuntiva per il pagamento, non potendosi
quindi annettere allo stesso rendiconto una valenza di prova privilegiata, tale da determinare un’inversione dell’onere della prova.
Assume parte ricorrente che invece il complessivo testo dell’art. 5 imponeva di concludere nel senso che, una volta redatto il rendiconto, secondo quanto previsto dall’accordo, scaturiva un dovere immediato di pagamento a carico della controparte.
Ad avviso del Collegio la censura non appare fondata, dovendosi escludere che l’interpretazione delle volontà contrattuali offerta in sentenza sia assolutamente implausibile ovvero contraddica apertamente la lettera della legge.
Infatti, non appare connotata da manifesta illogicità la diversa conclusione sostenuta dal giudice di appello che annette al rendiconto de quo la funzione di agevolare l’adempimento dell’obbligo di pagamento del compenso, mediante un riepilogo che individui con esattezza gli importi asseritamente dovuti da parte del contraente, e che pur fungendo da condizione per l’esigibilità del credito, non esclude che però possa successivamente contestarsi la correttezza delle richieste in ordine sia alla doverosità delle singole prestazioni eseguite, sia per quanto concerne l’ammontare.
Ad opinare diversamente, la redazione del rendiconto, che è attribuita alla determinazione unilaterale del professionista genererebbe l’obbligo di pagamento, senza più alcuna possibilità di verifica o di contestazione da parte del debitore, conclusione questa che appare in contrasto proprio con le stesse previsioni contrattuali che individuano con esattezza i criteri sula scorta dei
quali procedere alla determinazione del compenso maturato dal COGNOME (si confrontino le previsioni dello stesso articolo 5).
Non è casuale che lo stesso articolo 5, nella parte in cui riferisce del diritto al pagamento una volta effettuato il rendiconto, precisa che ciò avviene ‘soggetto le condizioni di questo accordo ‘ (così la clausola negoziale come riportata a pag. 21 del ricorso), il che sottintende che non è il rendiconto la fonte autonoma dell’obbligazione di pagamento, ma è un documento che serve ad agevolare la corretta individuazione del dovuto, ma sempre alla stregua delle previsioni negoziali intercorse tra le parti.
Peraltro, la sentenza impugnata, nel rigettare la domanda di pagamento delle somme che risultano dal rendiconto, non si è arrestata sul solo rilievo del carattere non vincolante del rendiconto, ma ha piuttosto aggiunto che lo stesso non permetteva di ritenere offerta la prova del diritto vantato, alla luce delle specifiche contestazioni mosse da parte della società convenuta.
È pur vero che di tali contestazioni non se ne trova traccia immediata alla pag. 15 della sentenza impugnata, ma, sempre in ragione del richiamo per relationem alle motivazioni del Tribunale, la loro consistenza può essere ricavata dalla disamina operata dal giudice di primo grado circa l’attendibilità della richiesta del ricorrente. In tal senso si veda la pag. 9 della sentenza di appello che riporta quella di Tribunale che a sua volta riferisce delle contestazioni sollevate dalla Crawford UK nella memoria di cui all’art. 184 c.p.c., quanto all’effettività ed alla qualità delle prestazioni rese, avendo altresì sottolineato come anche le prove testimoniali raccolte non permettevano di ritenere
assolto l’onere probatorio incombente sul creditore, avendo i testi addotti dallo stesso ricorrente reso delle deposizioni in parte generiche ed in parte inconferenti, avendo alcuni di essi dichiarato di avere cessato la propria attività per conto del ricorrente in epoca anteriore a quella cui si riferivano gli elenchi delle prestazioni per le quali era richiesto l’adempimento, così che non potevano riferire in merito all’effettivo espletamento dell’incarico.
In definitiva, non appare riscontrabile la violazione delle regole di interpretazione del contratto né risulta trascurato in sentenza il riferimento alle ragioni per le quali doveva ritenersi non assolto l’onere della prova incombente sul creditore, avendo la Corte d’Appello fatto rinvio, come detto, a quanto opinato dal Tribunale, essendo perciò esclusa anche la dedotta violazione del n. 5 dell’art. 360 co. 1, c.p.c., ovvero la pretesa apparenza della motivazione.
Il giudice di rinvio, come sopra designato provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
PQM
Accoglie il secondo motivo nei limiti di cui in motivazione e, assorbito il primo motivo e rigettato il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà