Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4159 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1   Num. 4159  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 5319 del ruolo generale dell’anno 20 18, proposto
da
NOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale su foglio separato allegato al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, col quale elettivamente si domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in  persona  del  curatore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME,  elettivamente  domiciliatosi  presso  lo  studio della seconda in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente-
 per la cassazione del decreto del Tribunale di Ancona n. 240/18 depositato in data 9 gennaio 2018;
Oggetto: RAGIONE_SOCIALE– Ammissione al passivo- Compensi per rapporto d’opera professionale- Principio di non contestazione- Valenza.
Ad. 8/2/2024 CC
udita la relazione sulla causa svolta nell’adunanza camerale dell’8 febbraio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Emerge dal decreto impugnato che NOME COGNOME chiese di essere ammesso al passivo del RAGIONE_SOCIALE, col privilegio previsto dall’art. 2751 -bis , n. 2, c.c., per la somma corrispondente al credito vantato a titolo di compenso per le prestazioni professionali svolte dal 2009 al 2012 per la società quand’era in bonis , ma senza successo. Il giudice delegato ritenne difatti i crediti prescritti per gli anni 2009/2010 e comunque smentiti dalla documentazione in possesso del RAGIONE_SOCIALE, nonché incongruamente calcolati, senza indicazione dei criteri di liquidazione dei compensi.
Il Tribunale di Ancona ha respinto l’opposizione successivamente proposta.
A sostegno della decisione, il tribunale, pur escludendo la maturazione della prescrizione parziale riscontrata dal giudice delegato, ha ritenuto che il credito vantato non fosse stato dimostrato, né nell’ an , né nel quantum . In particolare, ha osservato, risultavano cospicui pagamenti per l’attività svolta, di modo che lo stesso professionista ha emesso una fattura di 25.000,00 euro a saldo di quanto dovutogli da RAGIONE_SOCIALE ; l’importo, d’altronde, rinveniva conferma nello scambio di e-mail intercorso con la RAGIONE_SOCIALE e nel contenuto nell’accordo intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e una società terza che gli aveva promesso in vendita un immobile. Il credito portato dalla fattura , secondo quanto emergeva da quell’accordo, era previsto come oggetto di cessione, a titolo di parziale pagamento del prezzo, alla promittente venditrice dell’immobile .
A tanto il tribunale ha aggiunto che nel medesimo periodo in cui erano state svolte le attività professionali in questione, per un verso NOME COGNOME aveva prestato le proprie attività anche per altre società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, delle quali ha enumerato quelle maggiormente rilevanti, e, per altro verso, pure molte di quelle che
risultavano  eseguite  nell’interesse  di  NOME,  lo  erano  state  per  il tramite di RAGIONE_SOCIALE
Contro  questo  decreto  NOME  COGNOME  propone  ricorso  per ottenerne la cassazione, che affida a quattro motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE replica con controricorso.
Motivi della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., NOME COGNOME lamenta , a fronte dell’indebita rilevanza a suo avviso riconosciuta alla fattura a saldo, che, invece, avrebbe avuto rilevanza meramente fiscale, l’omesso esame del fatto decisivo rappresentato dall’avvenuta risoluzione del contratto preliminare per ragioni imputabili alla promittente venditrice, per effetto del quale il credito indicato in fattura sarebbe stato ceduto a titolo di parziale pagamento del prezzo dovuto per l’acquisto dell’immobile oggetto del contratto; di modo che sarebbe conseguita la reviviscenza della qualità di creditore nei confronti della società fallita.
Il motivo è inammissibile.
1.1.- Il giudice delegato aveva escluso il credito ritenendo, tra l’altro , come si legge nella narrativa del decreto, che la pretesa fosse incongrua « rispetto alle prestazioni svolte in quanto non indicante i criteri  di  liquidazione  dei  compensi » e, quindi, indeterminata; e il tribunale fallimentare, di rincalzo, ha accertato che « Il  credito del quale si richiede l’insinuazione al passivo, difatti, è rimasto indimostrato sia nell’ an, sia nel quantum».
A  questi  apprezzamenti  di  merito  il  ricorrente  non  oppone alcun fatto decisivo pretermesso.
2.- Quanto alla fattura a saldo, il ricorrente non indica alcun fatto  storico  decisivo,  utile  a  evidenziarne  la  sia  pur  parziale simulazione  quantitativa,  ma  si  limita  a  adombrare,  in  termini ellittici,  la  finalità  conciliativa  che  vi  era  sottesa:  tale  finalità,  se riferita alla promittente venditrice, è incomprensibile, e se riferita a
RAGIONE_SOCIALE, controproducente, perché implicherebbe la volontà abdicativa della somma restante, neanche specificata.
D’altronde, la giurisprudenza richiamata in ricorso si riferisce all’ipotesi opposta a quella in esame, ossia a quella in cui la fattura sia invocata per provare an e quantum della pretesa, non già, come nel caso in esame, per escluderne la rilevanza ai fini della determinazione di un quantum maggiore (si veda, fra le ultime, Cass. n. 33575/21, secondo cui l’appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha, in effetti, l’onere di fornire la prova della congruità di tale somma, alla stregua della natura, dell’entità e della consistenza delle opere, non costituendo idonee prove dell’ammontare del credito le fatture emesse dall’appaltatore, trattandosi di documenti di natura fiscale provenienti dalla stessa parte).
Non vi sono quindi elementi idonei a orientare la valutazione che, benché la fattura emessa a saldo abbia ad oggetto 25.000,00 euro, in realtà quanto dovuto è d ‘ importo superiore.
2.1.- Irrilevante è altresì il fatto, peraltro privo di specificità, dell’avvenuta risoluzione del contratto preliminare .
Anzitutto,  col  decreto  impugnato  il  tribunale  fallimentare  si limita a riferire che l’accordo prevedeva che il credito per la somma oggetto della fattura sarebbe stato ceduto alla promittente venditrice,  senza  in  alcun  modo  accertare  se  effettivamente  la cessione sia avvenuta.
Ma, e soprattutto, a fronte della statuizione d’indeterminatezza della pretesa e di mancata dimostrazione anche del quantum dovuto, sia la prospettata caducazione della cessione, sia la circostanza che la  somma  indicata  in  fattura  non  sarebbe  stata  pagata,  sia  la contestazione,  peraltro  generica, delle  valutazioni  compiute  in decreto delle risultanze del mastrino contabile della fallita risultano ininfluenti.
3.- Col secondo motivo si lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame del fatto decisivo costituito dal carteggio intercorso col difensore della fallita antecedentemente alla domanda d’insinuazione, quanto all’individuazione delle prestazioni svolte per altre società collegate a RAGIONE_SOCIALE, nonché, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. In sostanza, il ricorrente invoca il principio di non contestazione facendo leva sulla condotta extraprocessuale del difensore della fallita che, in risposta alle missive rivolte dal professionista in ordine all’individuazione dei singoli incarichi e ai relativi compensi, non avrebbe sollevato alcuna contestazione.
Il  motivo  è  infondato  con  riguardo  al  profilo  concernente  la violazione di legge e conseguentemente inammissibile in relazione a quello riguardante la pretermissione del fatto ritenuto decisivo.
3.1.- L’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste difatti soltanto per i fatti noti alla parte e dedotti nel processo, non anche per quelli ad essa ignoti o allegati in sede extraprocessuale, atteso che il principio di non contestazione trova fondamento nel fenomeno di circolarità degli oneri di allegazione, confutazione e prova, che è tipico delle vicende processuali (in termini, Cass. n. 2174/21).
Il motivo è respinto.
4.- Col terzo motivo di ricorso , il ricorrente lamenta l’omesso esame delle attività compiute da RAGIONE_SOCIALE e di quelle svolte personalmente  da  NOME  COGNOME,  nonché  la  violazione  degli  artt. 2697  c.c.  e  115  c.p.c.  Secondo  il  ricorrente  il  tribunale  avrebbe omesso di considerare il dato, che assume pacifico fra le parti, che il fatturato di NOME si riferisce ad attività diverse da quelle, tecniche e di sicurezza, che NOME aveva svolto in favore di RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è inammissibile con riguardo al profilo concernente l’omessa deduzione di fatti decisivi e al contempo inammissibile e infondato quanto alla deduzione di violazione di legge.
4.1.- Anzitutto, la prospettazione del motivo confligge con quanto lo stesso ricorrente riporta in narrativa, là dove riferisce (pagg. 5-6, punto 9, n. 3) che, in sede di opposizione, il curatore aveva appunto contestato il difetto di legittimazione passiva del RAGIONE_SOCIALE, deducendo che il professionista aveva svolto la propria attività anche in favore di altre società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, che i compensi richiesti non potevano essere con certezza essere imputati a RAGIONE_SOCIALE e che le prestazioni oggetto del compenso rivendicate erano state svolte dalla società di cui l’opponente è socio (enfasi aggiunta).
4.2.-  Va  quindi  ribadito  che,  nei  giudizi  aventi  ad  oggetto l’accertamento di un credito per prestazioni professionali, incombe sul professionista la prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico, dell’effettivo  espletamento  dello  stesso  nonché  dell’entità  delle prestazioni svolte (tra varie, Cass. n. 21522/19): incombeva quindi su COGNOME, e non già sul RAGIONE_SOCIALE, l’onere di provare quali attività ha svolto personalmente, e quali ha svolto la società che a lui faceva capo, e per chi.
Inammissibili per carenza di specificità sono poi le deduzioni in fatto,  del  tutto  generiche, relative  all’allegazione  delle  attività  in questione.
Il motivo è respinto.
5.- Inammissibile perché generico è, infine, il quarto motivo di ricorso , col quale il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 4, tabella 2, del DM n. 55/14, per la pretesa abnormità dei compensi liquidati dal tribunale fallimentare.
Per costante orientamento di questa Corte (tra le più recenti, Cass.  n.  30716/17;  n.  18584/21),  la  parte,  la  quale  intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore  e  degli  onorari  di  avvocato  ha  l’onere  di  specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore.
5.1.-  Nel  caso  in  esame,  invece,  il  ricorrente  si  limita  ad affermare che « non si comprende, e si contesta, la quantificazione delle  spese  legali,  cui  è  giunto  il  giudice  AVV_NOTAIO,  in  quanto sproporzionata,  errata  e  totalmente  disancorata  dai  parametri indicati  nel  suddetto  decreto »,  rilevando  che  non  sarebbero  state svolte la fase istruttoria, né quella decisionale.
6.- Il ricorso è rigettato e le spese seguono la soccombenza.
Per questi motivi
La  Corte  rigetta  il  ricorso  e  condanna  il  ricorrente  a  rifondere  le spese di lite, che liquida in euro 7000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, al 15% a titolo di spese forfetarie, iva e cpa. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, l’8 febbraio 2024 .