Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9310 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9310 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza n. 1245/2020 della Corte d’appello di Salerno, depositata il 26 gennaio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio
Oggetto
Comodato – Restituzione della cosa – Azione proposta dal comodante – Oneri probatori
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8946/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL;
-ricorrenti –
contro
2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Salerno, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da NOME ed NOME COGNOME volta ad ottenere la condanna della convenuta RAGIONE_SOCIALE al rilascio di alcuni immobili ad essa concessi in comodato precario per esercitato recesso;
ha infatti rilevato che:
─ i ricorrenti in primo grado avevano fondato la domanda di rilascio del bene deducendo la esistenza di un comodato;
─ la società, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, aveva tempestivamente ed espressamente contestato tale fondamento della domanda, deducendo di possedere di fatto gli immobili in virtù di occupazione sine titulo ;
─ poiché le difese del convenuto non possono mai determinare un mutamento nella qualificazione giuridica della domanda, né comportare un aggravamento dell’onere probatorio gravante a carico di chi agisce, la controversia andava decisa con esclusivo riferimento alla pretesa dedotta in giudizio;
─ competeva quindi agli attori comprovare (non già il diritto di proprietà ma) il sottostante rapporto obbligatorio, fonte dell’obbligo di riconsegna;
─ tale prova non era stata fornita, tale non potendo considerarsi la scrittura privata del 30 luglio 2010 (con la quale NOME COGNOME testualmente autorizzava la RAGIONE_SOCIALE a realizzare sul suolo di sua proprietà « tutte quelle opere tecnicamente ritenute necessarie ed indispensabili a captare e convogliare in idonea vasca a tenuta le acque di lavorazione e lavaggio dell’impianto e delle betoniere, nonché ogni altra opera eventualmente necessaria a rendere a norma l’impianto di calcestruzzo preconfezionato della ditta RAGIONE_SOCIALE ivi ubicato »), potendo essa, al più, integrare la costituzione di un diritto
di superficie;
─ n é, a tal fine, potevano rilevare le dichiarazioni rese dal legale della società appellante che, in un procedimento penale che lo vedeva indagato, a fini meramente difensivi, si è qualificato comodatario del bene;
per la cassazione di tale sentenza NOME e NOME COGNOME propongono ricorso affidato a tre motivi;
la società intimata è rimasta tale;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero;
ritenuto che:
con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1333, 1803 e 1810 cod. civ., lamentando che erroneamente la Corte di merito abbia ritenuto inesistente il contratto di comodato;
osservano che il comodato, ai sensi dell’art. 1803 c.c., è un contratto essenzialmente gratuito che si perfeziona con la consegna del bene e può essere provato anche per presunzioni, non richiedendo un’accettazione espressa, rilevando piuttosto, ex art. 1333 cod. civ., il mancato rifiuto espresso del comodatario;
ciò premesso, sostengono che la scrittura del 30 luglio 2010, che autorizzava la RAGIONE_SOCIALE a realizzare opere su un terreno di proprietà di NOME COGNOME costituisce prova del contratto di comodato, in quanto la consegna del bene è avvenuta e la RAGIONE_SOCIALE ha utilizzato il terreno per le attività autorizzate;
il motivo è inammissibile;
è vero che il contratto di comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale, non richiede la forma scritta ex art. 1350 cod. civ. e può essere provato anche per testi e per presunzioni (Cass. n.
8548 del 03/04/2008, Rv. 602508; n. 11620 del 04/12/1990, Rv. 470022): è invece certamente insostenibile la sua riconduzione alle ipotesi di cui all’art. 1333 cod. civ., essendo comunque escluso che il comodato, data la realità che lo connota, possa mai perfezionarsi per effetto della sola proposta in mancanza di rifiuto del destinatario (nella specie, peraltro, in ipotesi, era quest ‘ultimo, quale preteso comodatario, la parte gravata dell’unica obbligazione derivante dal contratto e non la proponente);
tale premessa teorica è, però, nella specie del tutto inconferente, dal momento che il rigetto della domanda è motivato in sentenza non per la supposta necessità di forma scritta per la conclusione del contratto, ma in ragione del motivato convincimento della impossibilità di ricavare dagli elementi acquisiti prova, sia pure indiziaria, della esistenza tra le parti di un rapporto di comodato;
il contrario argomentare in ricorso sul significato da attribuire alla dichiarazione scritta unilaterale del 30 luglio 2010 si risolve in una contestazione della interpretazione al riguardo fornita dalla Corte territoriale, come tale inammissibile in quanto non dedotta secondo i criteri che, secondo l’univoca giurisprudenza di questa Corte, consentono il sindacato in cassazione della interpretazione degli atti negoziali fornita in sede di merito;
va rammentato al riguardo che, secondo il pacifico e consolidato orientamento di questa Corte, l’interpretazione degli atti negoziali costituisce un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per violazione delle regole ermeneutiche (ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), oppure per inadeguatezza di motivazione (ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nella formulazione antecedente alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, ove applicabile), oppure, ancora, nel vigore del novellato testo di detta norma, per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Cass. 14/07/2016, n. 14355; v.
anche, tra le altre, Cass. 22/06/2005, n. 13399);
quale che sia la censura in concreto formulata, nessuna di esse può peraltro risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice del merito, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione atteso che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data al contratto dal giudice del merito non deve essere l’unica possibile, né la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni (Cass. 02/05/2006, n. 10131; Cass.20/11/2009, n. 24539; Cass. 15/11/2017, n. 27136; Cass. 28/11/2017, n. 28319);
nel caso di specie, la Corte d’appello ha fornito una plausibile interpretazione dell’atto cui i ricorrenti si limitano a contrapporre, del tutto inammissibilmente, una diversa lettura;
con il secondo motivo essi denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., per non avere la Corte d’appello valutato adeguatamente le prove indiziarie offerte, idonee a dimostrare l’esistenza del contratto di comodato, rappresentate dalla documentazione e dai comportamenti delle parti nel loro insieme considerati;
rimarcano a tal fine il rilievo attribuibile, unitamente al contenuto della già menzionata scrittura, al fatto che la RAGIONE_SOCIALE ha utilizzato il terreno per le attività autorizzate, anche dopo che ne era stata chiesta la restituzione, e alle dichiarazioni rese in un procedimento penale dal legale rappresentante della società, con le quali questi si era qualificato comodatario del bene: contestano la valutazione di irrilevanza al riguardo espressa in sentenza;
anche tale motivo è inammissibile;
in disparte l’inosservanza dell’onere di specifica indicazione della richiamata dichiarazione resa in separato procedimento, non essendone riportato il contenuto in violazione dell’art. 366 n. 6 cod.
proc. civ. e mancando anche una precisa localizzazione della relativa fonte documentale, in violazione dell’art. 369 n. 4 cod. proc. civ. (non potendosi al riguardo ritenere satisfattivo, in quanto assai generico, il riferimento, a pag. 11, al « proc. n. 846/2013 Mod. 21 Procura della Repubblica di Salerno, All. n. 7 … »), è comunque palese la consistenza prettamente meritale delle censure;
eccentrica e mal posta è, invero, l’indicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. quale parametro normativo cui riferire il controllo di legittimità;
la Corte d’appello non ha affatto posto a base della propria sentenza l’esistenza di prove presuntive, ma ha al contrario motivatamente evidenziato l’insufficienza degli elementi indicati a dimostrare la sussistenza del rapporto di comodato;
si tratta, dunque, di una valutazione di inefficacia dimostrativa degli elementi di prova offerta, che è tipica attività di merito sindacabile solo per omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ. o ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4 , c.p.c.;
la critica proposta, invero, si risolve nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica che, secondo i ricorrenti, avrebbe potuto e dovuto trarsi da quegli elementi, ma in tal modo si è lontani dal piano della prospettata violazione di legge, ravvisabile soltanto quando è il giudice a postulare tale inferenza mentre il ricorrente lamenti che, fermi i fatti considerati e la regola inferenziale presupposta dal giudice, non siano rispettati i caratteri della gravità, concordanza e precisione dei fatti considerati (v. Cass. Sez. U. 24/01/2018, n. 1785, in motivazione non massimata, ma diffusa, paragrafi 4 e ss.);
nel caso di specie, al contrario, il giudice ha negato l’esistenza di alcuna inferenza probabilistica che dai fatti noti potesse far risalire a quello ignoto dell’esistenza di un rapporto di comodato;
nel dedurne invece l’esistenza i ricorrenti non fanno altro che proporre e inammissibilmente sollecitare una diversa valutazione delle prove (v. Cass. 06/07/2018, n. 17720, Rv. 649663);
con il terzo motivo i ricorrenti deducono anche vizio di « omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti » ( così in rubrica), ai sensi dell’ art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte di merito omesso di considerare fatti asseritamente decisivi, come la traditio dei beni e il riconoscimento del contratto di comodato da parte del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE in separato procedimento penale;
il motivo è manifestamente infondato;
è del tutto evidente, infatti (la riprova traendosi anche dalle superiori censure) , che la Corte d’appello non ha affatto omesso di considerare i fatti indicati, ma ben diversamente li ha motivatamente considerati inidonei a fondare il convincimento della sussistenza del dedotto rapporto obbligatorio;
il ricorso deve essere dunque rigettato;
non avendo l’intimata svolto difese non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P .R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione