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Onere della prova comodato: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12832/2025, ha chiarito l’onere della prova nel comodato di immobile. Il caso riguarda una madre che chiedeva la restituzione di un appartamento concesso al figlio, il quale sosteneva si trattasse di un comodato per esigenze familiari. La Corte ha rigettato il ricorso del figlio, stabilendo che grava su chi occupa l’immobile (il comodatario) l’onere di dimostrare che il contratto era finalizzato a soddisfare specifiche esigenze familiari. In assenza di tale prova, il rapporto si qualifica come precario e il proprietario può recedere liberamente.

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Onere della Prova nel Comodato: Quando Spetta al Figlio Dimostrare l’Uso Familiare?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un tema ricorrente nelle aule di tribunale: la distinzione tra comodato per esigenze familiari e comodato precario, con un focus specifico sull’onere della prova comodato. La decisione chiarisce chi, tra proprietario e occupante, debba dimostrare la natura del contratto quando questo è concesso verbalmente, specialmente in contesti familiari. Vediamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa: una Controversia Familiare

La vicenda ha origine dalla richiesta di una madre di riavere il proprio immobile, concesso in uso al figlio. La madre sosteneva di aver concesso il godimento dell’appartamento a titolo di precario, ovvero un accordo che le permetteva di richiederne la restituzione in qualsiasi momento. Di fronte alla sua richiesta formale di rilascio, il figlio si era opposto.

Dal canto suo, il figlio affermava che l’immobile gli era stato concesso in comodato d’uso per soddisfare le sue esigenze abitative e familiari, ai sensi dell’art. 1809 c.c. Secondo questa tesi, la madre non avrebbe potuto chiederne la restituzione se non in caso di un bisogno urgente e imprevisto, che nel caso di specie non sussisteva.

L’Iter Giudiziario e l’Onere della Prova nel Comodato

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione alla madre. I giudici di merito hanno ritenuto che il figlio non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare che l’immobile fosse stato destinato a soddisfare specifiche e durature esigenze familiari. In particolare, la Corte d’Appello ha sottolineato che il figlio, non avendo una propria famiglia nucleare, non aveva dimostrato l’esistenza di quelle ‘esigenze familiari’ che avrebbero potuto giustificare un vincolo di destinazione sull’immobile.

Di conseguenza, il rapporto è stato qualificato come precario (art. 1810 c.c.), legittimando la richiesta della madre di riottenere la disponibilità del suo bene. Insoddisfatto, il figlio ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando diversi vizi procedurali e di merito, tra cui una errata applicazione delle norme sull’onere della prova comodato.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. I giudici hanno chiarito diversi punti fondamentali:

1. Inammissibilità di nuove prove in appello: La Corte ha ribadito che il divieto di presentare nuove prove in appello (ius novorum) vale sia per il rito ordinario che per quello locatizio. Le richieste istruttorie del figlio sono state quindi correttamente ritenute tardive.
2. Valutazione delle prove: La Cassazione ha ricordato che la valutazione delle prove è un compito esclusivo del giudice di merito e non può essere oggetto di censura in sede di legittimità, a meno che non si configuri un omesso esame di un fatto storico decisivo, cosa non avvenuta nel caso in esame.
3. Onere della prova: Il punto cruciale della decisione risiede proprio nella ripartizione dell’onere probatorio. La Corte ha implicitamente confermato il principio secondo cui spetta al comodatario (il figlio) dimostrare che il contratto aveva una destinazione specifica, come quella di casa familiare. In assenza di tale prova, il contratto si presume precario.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Quando una parte agisce in giudizio per ottenere la restituzione di un immobile, affermando che è stato concesso a titolo di precario, l’altra parte (l’occupante) che eccepisce l’esistenza di un comodato con una specifica destinazione d’uso (ad esempio, per esigenze familiari) ha l’onere di provare i fatti costitutivi della sua eccezione.

Nel caso specifico, il figlio non è riuscito a dimostrare che la concessione dell’immobile fosse legata a un progetto di vita familiare definito e stabile. La semplice occupazione, anche se prolungata nel tempo, non è sufficiente a trasformare un comodato precario in un comodato con vincolo di destinazione. La Corte ha ritenuto irrilevanti le censure del ricorrente sulla valutazione delle prove, ribadendo che tale attività è insindacabile in Cassazione se la motivazione del giudice di merito è logica e coerente. Pertanto, in mancanza di una prova contraria, la volontà del proprietario di recedere dal contratto è stata considerata legittima.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale in materia di contratti di comodato: la prova della destinazione d’uso grava su chi beneficia del bene. Chi riceve un immobile in comodato da un parente, confidando di poterlo utilizzare a tempo indeterminato per le proprie esigenze familiari, deve essere in grado di dimostrare l’esistenza di un accordo in tal senso. In assenza di un contratto scritto o di altre prove concrete, il rapporto rischia di essere qualificato come precario, esponendo l’occupante alla richiesta di restituzione immediata da parte del proprietario. La decisione serve da monito sulla necessità di definire chiaramente i termini degli accordi, anche e soprattutto in ambito familiare, per evitare future controversie.

In un contratto di comodato, chi deve provare che l’immobile è stato concesso per esigenze familiari?
Secondo la decisione in esame, l’onere di provare che l’immobile è stato concesso per soddisfare specifiche esigenze familiari grava su chi occupa l’immobile (il comodatario). Se non fornisce questa prova, il rapporto viene considerato precario.

È possibile presentare nuove prove in appello in una causa relativa a un comodato?
No, la Corte di Cassazione ha confermato che il divieto di introdurre nuove prove (ius novorum) in appello si applica anche alle controversie in materia di comodato, che seguono il rito locatizio. Le prove devono essere presentate nel primo grado di giudizio.

Se un giudice valuta le prove in modo diverso da come vorrebbe una delle parti, si può fare ricorso in Cassazione?
Generalmente no. La valutazione delle prove è un’attività riservata al giudice di merito. Il ricorso in Cassazione è ammissibile solo per vizi di legittimità e non per riesaminare il merito della causa o la valutazione delle prove, a meno che la motivazione sia completamente mancante, illogica o sia stato omesso l’esame di un fatto storico decisivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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