Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25264 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25264 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/09/2024
RAGIONE_SOCIALE;
– intimata – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO ROMA n. 8196/2018 depositata il 20/12/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10186/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE, proponeva opposizione innanzi al Tribunale di Frosinone avverso il decreto ingiuntivo emesso in data 07.08.2009 in favore di RAGIONE_SOCIALE con cui le veniva intimato di pagare, in favore di quest’ultima, la somma di € . 128.538,00 quale corrispettivo della fornitura di capi di abbigliamento eseguita nel 2008, come risultava da fattura n. 3 del 01.04.2009.
A sostegno dell’opposizione, la COGNOME affermava di non aver mai ritirato la suddetta merce, a differenza di quanto accaduto rispetto a precedenti forniture, tutte regolarmente pagate.
Il Tribunale di Frosinone rigettava l’opposizione e la sentenza veniva impugnata da NOME COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Roma, che rigettava integralmente il gravame confermando la sentenza impugnata.
Osservava la Corte, per quel che qui ancora rileva:
valutato il quadro probatorio, e considerando che gravava sulla COGNOME la prova dell’inesistenza dell’obbligazione per non essere stata la merce mai ritirata o consegnata, l’effettiva consegna della merce all’appellante emerge dalle risultanze testimoniali e documentali;
la mancata produzione del documento di trasporto concernente la fornitura in contestazione non è determinante, atteso che a partire dal gennaio 2007 fino al novembre 2008 non risultano più emessi DDT, mentre risultano comunque essere proseguite le forniture attestate delle fatture che RAGIONE_SOCIALE ammette di aver pagato.
La predetta sentenza veniva impugnata da NOME COGNOME per la cassazione, e il ricorso affidato a quattro motivi.
Restava intimata la RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo si deduce nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 2310 cod. civ. e degli artt. 75 e 83 cod. proc. civ. – in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) cod. proc. civ. La ricorrente lamenta il difetto di rappresentanza legale, processuale e di ius postulandi della difesa della società creditrice RAGIONE_SOCIALE; da visure camerali della CCIA di Frosinone risulta, infatti, che la società creditrice è stata cancellata dal registro delle imprese in data 19.12.2018 (ossia prima della pubblicazione della sentenza d’appello, il 20.12.2018); essa è stata rappresentata dall’amministratore NOME COGNOME – il quale aveva conferito procura ad litem all’avvocato AVV_NOTAIO, che avrebbe difeso la società anche per la fase di appello – fino al 10.09.2009, in quanto dall’11.09.2009 è intervenuta la fase di liquidazione volontaria della società RAGIONE_SOCIALE con la contestuale nomina del liquidatore, soggetto rimasto estraneo ai procedimenti giudiziari intercorsi. Essendo venuta meno la legale validità della delega processuale anteriormente concessa dall’amministratore COGNOME, sia per il giudizio di opposizione innanzi al Tribunale così come per il grado di appello, poiché era il solo liquidatore unico rappresentante legale della società a poter rappresentare la società in liquidazione ex art. 2310 cod. civ., ne discende che la società era rappresentata da difensore privo del mandato alle liti. La ricorrente, quindi, eccepisce la nullità della sentenza e del procedimento. Né, sottolinea la ricorrente, può farsi ricorso a meccanismi di salvezza previsti dal codice di rito per la sanatoria del vizio dello ius postulandi dal momento che la predetta società RAGIONE_SOCIALE, già in liquidazione, risulta ormai essere estinta per intervenuta cancellazione dal registro delle imprese. A riguardo, si deve aggiungere che gli apporti giurisprudenziali di legittimità del 2010 e del 2013 hanno fugato ogni dubbio sul fatto che
l’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese determina il venir meno dell’ente, indipendentemente dall’esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti, e che la cancellazione implica la rinuncia all’esercizio di mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei diritti di credito controversi o illiquidi la cui inclusione nel bilancio di liquidazione avrebbe necessitato di un’ulteriore attività giudiziaria o stragiudiziale da parte del liquidatore.
1.1. Entrambe le censure sono infondate.
Quanto all’assenza di rappresentanza legale e, conseguentemente, di ius postulandi , questa Corte ha avuto già occasione di affermare che la procura generale ad litem , espressamente prevista dall’art. 83, comma 2, cod. proc. civ., se proveniente dall’organo della società abilitato a conferirla, resta valida e imputabile all’ente finché non venga revocata, indipendentemente dalle vicende modificative dell’organo che l’ha rilasciata, trattandosi di atto dell’ente e non della persona fisica che lo rappresentava; ciò vale anche nel caso in cui la società sia posta in liquidazione ed il legale rappresentante, che abbia rilasciato la procura, sia sostituito dal liquidatore (Sez. 5 – , Ordinanza n. 32880 del 13/12/2019, Rv. 656345 -01; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 17216 del 12/07/2017, Rv. 645040 -01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11847 del 22/05/2007, Rv. 597942 – 01).
1.2. Per quel che attiene alla seconda censura, relativa all’intervenuta cancellazione della società dal registro delle imprese in corso di giudizio, già nel 2010 questa Corte ha pronunciato tre sentenze, rese a Sezioni Unite (richiamate nel mezzo di gravame), con le quali ha chiarito che, anche nelle società di persone, la cancellazione determina il venir meno della loro capacità e soggettività, se pure soltanto con effetto dichiarativo e non costitutivo, negli stessi termini
in cui analogo effetto (costitutivo) si produce per le società di capitali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4060 del 22/02/2010, Rv. 612083 -01; n. 4061 e 4062; Cass. Sez. 1, n. 26196 del 19.12.2016, Rv. 642761 – 01; Cass. Sez. 3, n. 12155 del 14.06.2016). L’art. 2495, comma 2, cod. civ. ammette la cancellazione e, quindi, l’estinzione di una società dal registro delle imprese anche se essa ha ancora debiti verso terzi: proprio per questa evenienza dispone espressamente il comma secondo per il quale, ferma appunto restando l’estinzione della società, gli eventuali creditori insoddisfatti possono sempre agire contro gli ex soci, nei limiti di quanto da questi ultimi percepito ad esito della liquidazione; e contro i liquidatori, ove il mancato pagamento sia dipeso da loro colpa. Nulla, invece, espressamente dispone con riguardo ai processi pendenti in cui sia parte la società della cui estinzione si tratta, né è possibile rinvenire altrove una norma che disciplini in modo diretto la fattispecie.
1.2.1. I successivi interventi di questa Corte (anch’essi richiamati nel mezzo di gravame) hanno inteso risolvere tale problema, in funzione della tutela di interessi ritenuti prevalenti: da un lato, la rapida conclusione del procedimento estintivo della società e, quindi, la certezza dei rapporti giuridici; dall’altro, la salvaguardia delle ragioni dei creditori della società in liquidazione in presenza di debiti certi ed esigibili. Con ulteriori tre sentenze gemelle questa Corte ha, poi, enunciato il principio di diritto per cui: «Dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del
creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nel limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate , fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013, Rv. 625323 -01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 6071 del 12/03/2013, Rv. 625328 -01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 6072 del 12/03/2013, Rv. 625329 – 01).
La stessa formulazione del principio di diritto chiarisce che la rinuncia al trasferimento agli ex soci dei diritti (e beni) «incerti», non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, può a sua volta escludersi laddove sia posta in essere un’attività ulteriore, nel caso di specie giudiziale, il cui espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società non vi abbia rinunciato. A séguito della cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, la successione dei soci non opera in relazione ai crediti illiquidi e inesigibili non compresi nel bilancio finale di liquidazione, i quali si presumono tacitamente rinunciati a beneficio della sollecita definizione del procedimento estintivo della società, salva, però, la prova contraria da parte di colui che intenda far valere la corrispondente pretesa (con riferimento alle società di persone: Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 21071 del 18/07/2023, Rv. 668748 – 01).
1.2.2. Nel caso che ci occupa, la società è stata dichiarata estinta al termine del procedimento giudiziario; inoltre, nulla fa presumere che il credito maturato a séguito della sentenza della Corte d’Appello, che costituisce titolo esecutivo, sia stato rinunciato dai soci, successori a titolo universale della società cancellata dal registro delle imprese.
Con il secondo motivo si deduce difetto di prova del fatto costitutivo dell’obbligazione; violazione falsa applicazione delle norme sostanziali, art. 1218 cod. civ., e processuali, art. 645 cod. proc. civ.; violazione della ripartizione dell’onere della prova ex art. 2967 cod. civ. – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Precisato che la fattura non può costituire un valido elemento di prova delle prestazioni eseguite, degradando piuttosto a mero indizio, incombe su chi fa valere un diritto (ossia sulla resistente RAGIONE_SOCIALE) dare prova del fatto costitutivo e fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa (Cass. n. 13533 del 2001). Anche alla luce del principio di riferibilità o di vicinanza della prova, la consegna o il ritiro della merce dovevano essere dimostrati, correttamente e in maniera rigorosa, dall’opposta RAGIONE_SOCIALE e non già dalla COGNOME; l’errore in cui è in corsa la Corte d’Appello si rinviene, dunque, nella parte in cui l’opponente è stata onerata della prova negativa del difetto di consegna della merce.
Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. -art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) cod. proc. civ. La ricorrente precisa che la mancanza della prova del fatto costitutivo dell’obbligazione è attestata anche dalla pacifica mancanza di qualsiasi documento di trasporto della merce portata indicata fattura commerciale; del resto, le diverse deduzioni sul trasporto della merce non sarebbero fondate sull’ id quod plerumque accidit , posto che il grossista si esporrebbe al trasporto di
merce dal luogo di fornitura fino alla rivendita senza dichiarazione di ricezione del venditore, né documenti di trasporto atti a soddisfare eventuali controlli fiscali.
Con il quarto motivo si deduce difetto di prova documentale; violazione dell’art. 2702 cod. civ. e degli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., anche con riferimento all’art. 116 cod. proc. civ.; violazione dell’onere della prova, di cui all’art. 2967 cod. civ. – art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) cod. proc. civ. La ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha attribuito validità giuridica a fini probatori al block notes servito come annotazione alla COGNOME, ma privo di sua sottoscrizione; documento, del resto, contestato nella sua veridicità e validità dall’opponente, contrariamente a quanto affermato in sentenza.
Il secondo, terzo e quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, per evidente connessione logica, e sono tutti inammissibili per le ragioni che seguono.
La Corte territoriale ha ritenuto provati i fatti costitutivi della pretesa che la creditrice era tenuta ad allegare e provare. In particolare, ha considerato decisiva la prova testimoniale di una storica dipendente di RAGIONE_SOCIALE, che ha ricostruito le visite frequenti della COGNOME presso l’azienda, dove aveva l’abitudine di annotare puntualmente su block notes (prodotti in giudizio) i capi di abbigliamento scelti; il fatto, poi, che la partita di merce oggetto di contestazione non sia stata affidata al trasporto della RAGIONE_SOCIALE si spiega -prosegue la Corte – con le risultanze probatorie ulteriori, dalle quali risulta che dal gennaio 2007 al novembre 2008, anche per le forniture regolarmente pagate dalla ricorrente, non siano più stati emessi DDT.
5.1. L’argomentazione della Corte territoriale per un verso applica correttamente la distribuzione degli oneri di prova dell’inadempimento
di una obbligazione, ex art. 1218 cod. civ.: il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa (per tutte: Cass. Sez. U, sentenza n. 13533 del 30/10/2001, RV 549956 -01, richiamata in ricorso).
5.2. Per altro verso, il giudice di seconde cure forma il suo convincimento, con riferimento alla fondatezza della pretesa della società creditrice, a ttraverso l’esame delle risultanze probatorie affidato ad un ragionamento logico-giuridico scevro da incongruenze o errori.
La sentenza gravata ha posto a fondamento della propria decisione elementi presuntivi corrispondenti ai caratteri imposti dalla legge per assurgere al livello di prova dei fatti ignoti (sul ragionamento presuntivo, v. ex multis : Cass. Sez. 2, n. 8829 del 29.03.2023, Rv. 667508 – 02; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 – 01; Sez. L, Sentenza n. 18611 del 30/06/2021, Rv. 661649 – 01; Sez. 6-3, Ordinanza n. 3541 del 13/02/2020, Rv. 657016 -01).
Com’è noto, l’art. 2729 cod. civ. si cura di precisare come debba manifestarsi la prudenza del giudice rispetto all’uso delle presunzioni semplici, stabilendo che il decidente deve ammettere solo presunzioni che siano «gravi, precise e concordanti». Nel caso che ci occupa, gli indizi valorizzati dalla Corte d’Appello (la frequente presenza della COGNOME nel negozio di Frosinone; le annotazioni sul block notes affidate ad una testimonianza attendibile riguardante la loro funzione, ossia la selezione dei capi di abbigliamento da acquistare; le forniture intercorse tra gennaio 2007 e novembre 2008, per le quali non erano
più stati emessi documenti di trasporto, benché regolarmente ricevute da ll’acquirente e da questa pagate) e da essa utilizzati quali fatti noti, risponde ai requisiti della gravità e concordanza, parametri riferiti il primo al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto (consegna della merce) rispetto ai fatti noti posti a fondamento della deduzione, mentre il secondo grado di probabilità richiede che il fatto ignoto sia desunto da una pluralità di indizi gravi (e precisi), univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza.
Né ha pregio la tesi sostenuta nel quarto motivo di gravame, in merito al valore attribuito al block notes : si tratta, invero, del libero apprezzamento di un mezzo di prova che, come sopra evidenziato, ha contribuito alla formazione del convincimento secondo il prudente apprezzamento di un elemento indiziario.
5.3. In definitiva, esclusa la violazione di legge, le doglianze si traducono in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tese all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. Come è noto, invero, in tema di procedimento civile sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019).
La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono
sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. qualsiasi censura volta a criticare il convincimento che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2,cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5) cod. proc. civ. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
6. Il Collegio rigetta il ricorso.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese di questa fase processuale, in mancanza d’attività difensiva della controparte.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda