Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14893 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14893 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7007-2024 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
CONSORZIO PRODUTTORI RAGIONE_SOCIALE VALLE DELL’ATERNO E GRAN SASSO RAGIONE_SOCIALE COOP. IN LIQUIDAZIONE;
– intimata – avverso il decreto n. cronologico 878/2024 del TRIBUNALE di L’AQUILA, del 20/02/2024 R.G.N. 1686/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Fallimento
R.G.N.7007/2024
COGNOME
Rep.
Ud.04/03/2025
CC
RILEVATO CHE
Il Tribunale di L’Aquila ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Consorzio RAGIONE_SOCIALE Aquilana Valle dell’Aterno e Gran Sasso d’Italia RAGIONE_SOCIALE, proposta da un ex-dipendente a titolo di retribuzioni e t.f.r., in quanto presentata in data 12/12/2018, ben oltre il termine di sessanta giorni ex art. 208 l. fall. dalla pubblicazione del decreto in G.U. (08/03/2016) e oltre i dodici mesi dalla data del deposito dello stato passivo (28/11/2016), pur essendo pacifico che il creditore non avesse ricevuto l’avviso ex art. 207 l. fall., avendo «il Commissario liquidatore dedotto che il creditore era informato dell’esistenza della procedura indipendentemente dalla ricezione del predetto avviso, in base alla pubblicazione del provvedimento di liquidazione in Gazzetta Ufficiale».
L’opponente ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo e la Corte di Cassazione (ord. n. 26396/2021) ha cassato il decreto impugnato ritenendo che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento che disponeva la liquidazione coatta amministrativa fosse insufficiente a desumere la effettiva conoscenza della pendenza della procedura concorsuale e ha, inoltre, osservato che il mancato invio della comunicazione ex art. 207 l. fall. costituisse causa di ritardo non imputabile al creditore a meno che il Commissario Liquidatore non avesse provato la concreta conoscenza della procedura da parte di costui.
Riassunto il giudizio il Tribunale di L’Aquila, adito per un nuovo esame, ritenuta la tempestività della istanza, ha rilevato l’infondatezza della pretesa del COGNOME precisando che: a) le buste paga non potevano essere reputate prova idonea dei dati esposti, con riferimento alla sussistenza di un rapporto di lavoro, alle retribuzioni e al numero di ferie non godute, perché non prodotte integralmente dall’inizio del rapporto sino alla cessazione e perché prive della sottoscrizione da parte del datore di lavoro; b) la Certificazione Unica prodotta era anche essa in forma parziale (solo per l’anno 2016) e non recava alcuna indicazione o riferimento alla società cooperativa opposta per cui non era possibile ritenere la riconducibilità a
quest’ultima; c) il verbale di riunione del 2.7.2014, pur sottoscritto dal COGNOME quale dipendente e dal Presidente del C.d.A. della RAGIONE_SOCIALE, ove si faceva riferimento alla intenzione del Consiglio di Amministrazione di azzerare le passività con i dipendenti, era corredato da un brogliaccio che, privo di sottoscrizione, timbro ed intestazione, non garantiva la provenienza dello stesso al datore di lavoro.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto per cassazione affidato a cinque motivi.
L’intimato non ha svolto attività difensiva.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, la violazione dell’art. 115 cpc, il travisamento della prova, la violazione dell’art. 116 cpc e la violazione del vincolo di valutazione della prova; si deduce che il Tribunale era caduto in errore nella ricognizione del contenuto oggettivo della prova in ordine al verbale del 2.7.2014, da cui risultava che il COGNOME era dipendente del Consorzio in termini di assoluta certezza, valutando, quindi, erroneamente secondo il suo prudente apprezzamento una prova legale costituita dalla confessione della società in ordine alla sussistenza di un rapporto di lavoro tra le parti.
Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli art. 2697 e 2702 cc per avere erroneamente ritenuto il Tribunale che, per la efficacia probatoria delle buste paga, fosse necessaria la sottoscrizione del datore di lavoro quando, invece, in mancanza di questa era sufficiente anche solo la presenza della sigla e del timbro di questi.
Con il terzo motivo si obietta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, la violazione dell’art. 115 cpc, il travisamento della prova, la violazione dell’art. 116 cpc e la violazione del vincolo di valutazione della prova, per non avere il Tribunale ritenuto sussistente il rapporto
di lavoro intercorso tra le parti perché non erano state prodotte in giudizio tutte le buste paga ma solo quella di ottobre 2015 da cui si evinceva, però, l’inizio e la cessazione del rapporto stesso.
Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 4 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cc, per non avere il Tribunale ritenuto sufficiente la documentazione, prodotta ai fini di dimostrare il credito dovuto per il trattamento di fine rapporto, costituita dalla busta paga depositata e dalla Certificazione Unica del 2016 perché non riguardanti l’intero rapporto, quando, nel procedimento di opposizione allo stato passivo, vige il generale principio per il quale il creditore deve provare la fonte del suo diritto mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa.
Con il quinto motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 115 cpc, del travisamento della prova, della violazione dell’art. 116 cpc e della violazione del vincolo di valutazione della prova, per avere il Tribunale ritenuto necessaria l’intera produzione dei CU per tutti gli anni lavorativi per provare il rapporto quando, invece, alla pag. 2 del modello si evinceva la data di inizio (1.2.1982) e quella di cessazione (16.10.2015).
I motivi, che per la loro connessione logico-giuridica possono essere esaminati congiuntamente, non sono fondati.
E’ opportuno ribadire che i l travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (“demonstrandum”), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (“demonstratum”), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano
oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Cass. n. 9507/2023). Il travisamento del contenuto oggettivo della prova ricorre, quindi, in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio (Cass. n. 5792/2024).
Nel sistema della legge fallimentare, poi, il procedimento di verificazione dello stato passivo ha natura giurisdizionale e decisoria ed è strutturato sullo schema del processo di cognizione, sia pure con gli adattamenti imposti dal carattere sommario della cognizione e dalla attribuzione al giudice delegato di poteri inquisitori, e di detto procedimento l’eventuale giudizio di opposizione costituisce lo sviluppo in sede contenziosa per l’accertamento dell’esistenza e dell’efficacia, nei confronti del fallimento, del credito di cui si chiede l’ammissione. Ne consegue che vi trova applicazione il principio generale sull’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ., che non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo, con la precisazione che, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (Cass. n. 3765/2007).
Ciò premesso, osserva questo Collegio che, nel caso in esame, il Tribunale ha svolto un accurato esame di merito della documentazione prodotta e ha evidenziato scrupolosamente, in relazione ad ogni documento posto a sostegno della pretesa, i profili di inidoneità a dimostrare i crediti vantati.
In particolare, con riguardo alle buste paga, i giudici dell’opposizione hanno sottolineato che le stesse non solo non riguardavano tutto il periodo lavorativo, ma erano anche prive della sottoscrizione da parte del datore di lavoro.
E dall’esame di quella riportata nel corpo del ricorso (nella articolazione del terzo motivo), deve evidenziarsi che effettivamente essa è priva di sottoscrizione e timbro necessari per svolgere una necessaria verifica della stessa.
Ne consegue che la ritenuta inidoneità probatoria della documentazione, con riguardo alla sussistenza del rapporto di lavoro, alle retribuzioni non corrisposte e al numero di ferie non godute, è frutto di una attività valutativa del giudice di merito e non di un travisamento della prova nel senso sopra delineato.
Analogamente per la certificazione dell’anno 2016 il Tribunale ha rilevato, oltre alla mancanza di qualsiasi riferimento per ricondurre il documento alla società cooperativa (anche in questo caso ciò risulta dal modello riportato nel motivo di ricorso per cassazione quinto motivo), pure l’unicità dell’anno di riferimento (solo il 2016) per cui non era assolutamente possibile dimostrare la esatta entità dei crediti, di cui si chiedeva l’ammissione, vantati per un notevole periodo (1982-2015).
Infine, anche con riguardo alle risultanze del verbale del 2.7.2014, va osservato che il Tribunale non ha escluso la veridicità di esso circa il fatto che il COGNOME lo ha sottoscritto quale dipendente; ha, però, sottolineato che le asserite passività con i dipendenti erano state poi conteggiate su un brogliaccio che, non recando alcuna sottoscrizione né timbro di congiunzione con il verbale né intestazione, non dava alcuna garanzia della provenienza dello stesso da parte del datore di lavoro.
E’, pertanto, agevole rilevare che si verte in una tipica attività di valutazione delle prove (non legali), svolta secondo il prudente apprezzamento del giudice, adeguatamente motivata, di fronte alla quale le asserite violazioni degli artt. 115 e 116 cpc e dell’art. 2697 c od. civ. sono prive di fondamento.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio non avendo l’intimata società svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla in ordine alle spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 marzo 2025