Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20300 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20300 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
programma; onere della prova.
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 31/01/2025 CC Cron. R.G.N. 22147/2019
COGNOME
Consigliere-Rel.
NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 22147/2019 R.G., proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, come per legge;
-ricorrente-
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-intimato- avverso la sentenza n. 405/2019 della Corte d’Appello di Cagliari, pubblicata in data 08.05.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31.01.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza del 15.6.2017 il Tribunale di Cagliari rigettava la domanda della RAGIONE_SOCIALE, proposta nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico -avente ad oggetto: l’accertamento dell’inesistenza di una sua responsabilità per colpevole inadempimento con riferimento all’osservanza del progetto di realizzazione di un programma d’investimento pari a lire 2.457.000.000, disposto con decreto ministeriale del 14.9.1998, finalizzato al recupero di un proprio opificio da destinare alla produzione di prodotti caseari, ubicato a Macomer, da effettuarsi nel periodo 1998/1999; l’accertamento dell’inadempimento del Ministero; l’istanza di annullamento o d’inefficacia del decreto che aveva disposto la revoca delle agevolazioni riconosciute ex l. n. 488/1992; l’accertamento del diritto della società di restare beneficiaria dei finanziamenti suddetti; l’istanza d’annullamento o d’inefficacia del provvedimento che aveva disposto la restituzione delle somme erogate; la condanna del Ministero al risarcimento dei danni per inadempimento, nonché al risarcimento dei danni subiti a seguito del provvedimento di revoca -osservando che: in conformità della sentenza del Consiglio di Stato del 26.2.2016, in tema di agevolazioni finanziarie ex l. n. 488/92, era sufficiente la notizia di reato a far venir meno il rapporto di fiducia con l’Amministrazione e quindi a giustificare la revoca delle agevolazioni già concesse; era al riguardo irrilevante la sentenza assolutoria relativa agli accertamenti della GDF, in quanto la legittimità di un provvedimento amministrativo andava accertata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, con conseguente irrilevanza dei provvedimenti successivi; il giudizio penale svoltosi nei confronti del rappresentante legale della società si era concluso con una pronuncia di prescrizione dei reati, per cui non poteva dirsi dimostrata l’insus-
sistenza di ragioni idonee ad incrinare il suddetto rapporto fiduciario inerente ai finanziamenti elargiti; la c.t.u. espletata aveva dimostrato che non tutti i titoli di spesa giustificativi dell’erogazione provvisoria dei finanziamenti erano idonei a dimostrare l’esecuzione delle opere, l’acquisto dei macchinari e il rispetto dei tempi d’utilizzo degli stessi finanziamenti previsti nel relativo bando (gli accertamenti avevano riguardato fatture per operazioni inesistenti, titoli di spesa sovrafatturati, acquisto di macchinari usati, computi metrici attestanti voci di spesa artatamente incrementate, false quietanza liberatorie).
Con sentenza dell’8.5.2020, la Corte territoriale accoglieva l’appello della RAGIONE_SOCIALE dichiarando accertata l’insussistenza dei presupposti della revoca dei finanziamenti riconosciuti all’appellante con DM del 14.9.98, operata il 21.2.08 con DM n.B2/RC/9, il diritto della società a trattenere le somme ricevute quale beneficiaria delle agevolazioni, a conseguire il saldo, oltre interessi, e rigettando la domanda risarcitoria.
Al riguardo, la Corte osservava che: ferma la giurisdizione del Giudice ordinario, non potevano trarsi elementi specifici a carico della società dagli accertamenti della GdF; non erano condivisibili le conclusioni del c.t.u. poste a fondamento della sentenza impugnata, poiché non emergeva, in primo luogo, che l’opera fosse stata realizzata in difformità dal programma (salvo che per una variante approvata dalla banca concessionaria); circa le opere eseguite, come dimostrato dai documenti acquisiti, in taluni casi non era stato possibile effettuare una valutazione di congruità dei costi fatturati, trattandosi di opere non ispezionabili, e in altri casi non era stato possibile valutare la congruità e la rispondenza all’effettivo utilizzo dell’entità dei materiali fatturati, mancando la descrizione del pregresso stato dei luoghi; laddove era stato possibile effettuare una verifica, il c.t.u. aveva
ritenuto la congruità dei materiali utilizzati e delle lavorazioni occorse, evidenziando la parvità di alcune difformità riscontrate tali da non incidere sulla quantificazione dei costi; quanto ai macchinari non rinvenuti sul posto, a distanza di dieci anni dagli acquisti, essi erano soggetti ad obsolescenza e presentavano costi contenuti, sicché era verosimile che gli stessi fossero stati dismessi; in definitiva, sulla base dell’esame delle risultanze peritali doveva dunque ritenersi che l’indagine non avesse fatto emergere gli inadempimenti contestati, considerando altresì che lo scarso dettaglio delle fatture emesse da alcune imprese fornitrici, ed anche la relativa omessa contabilizzazione da parte di quest’ultime, non integravano indizi gravi e precisi di sovrafatturazione o di fatturazione per operazioni inesistenti, attesa l’accertata realizzazione delle opere e degli impianti oggetto del bando, mentre alcune difformità non erano state ritenute rilevanti, mentre la mancanza dei beni di maggior valore non era stata oggetto di contestazione; in definitiva, gli elementi emersi, esaminati nel loro complesso, inducevano ad escludere il contestato inadempimento della società beneficiaria; infine, non erano stati provati i danni lamentati.
Il Ministero dello Sviluppo Economico ricorre per cassazione avverso la suddetta sentenza, con cinque motivi, illustrati da memoria. La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto che la pronuncia del Consiglio di Stato del 28.1.2016 non potesse costituire valido precedente per decidere la causa. In particolare, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, a differenza del Tribunale, aveva escluso la rilevanza del suddetto precedente in quanto emesso in sede consultiva, su parere richiesto dal Ministro, in relazione ad un ricorso straordinario al
Presidente della Repubblica (il CdS aveva affermato, nella citata pronuncia, che in tema di agevolazioni finanziarie, ex l. n. 488/1992, per far venir meno il rapporto di fiducia con l’Amministrazione, e per la revoca delle agevolazioni concesse, era sufficiente la notizia di reato, ciò in quanto la stessa revoca trovava il suo fondamento nella natura del procedimento, basato in larga parte sulle autodichiarazioni e, dunque, sul rapporto fiduciario tra parte pubblica e privata), sebbene la fattispecie trattata fosse identica a quella per cui è causa.
Il secondo motivo denunzia violazione degli art. 2697 e 1218, c.c., per aver la Corte d’appello, invertendo l’onere della prova, ritenuto che il Ministero non avesse dimostrato l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE in quanto, dopo aver correttamente affermato che era il soggetto finanziato a dover provare il proprio adempimento – dovendo il Ministero limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento – avrebbe poi contraddittoriamente affermato che lo stesso Ministero non aveva fornito la prova piena dell’inadempimento della società, sulla base dell’asserita inidoneità probatoria degli accertamenti della GdF.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 116 c.p.c., 2700 c.c., 8 DM n. 527/1995, per aver la Corte di merito ritenuto che gli atti d’indagine della GdF non potessero legittimare il provvedimento di revoca delle agevolazioni concesse, lamentando che la sentenza impugnata non aveva tenuto conto degli accertamenti compiuti dal Ministero attraverso la polizia tributaria, fondati su verbali della PG, che fanno fede fino a querela di falso per quanto attiene ai fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti e, pertanto, utilizzabili nell’ambito di un procedimento amministrativo, poiché da essi si evinceva una serie d’irregolarità amministrative-contabili che, anche indipendentemente dalla loro rilevanza penale, giustificavano la revoca delle agevolazioni.
Il quarto motivo deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116, c.p.c., 2697, 1218, c.c., per aver la Corte d’appello posto a fondamento della pronuncia le risultanze della c.t.u.
Al riguardo, il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia erroneamente percepito il contenuto della c.t.u., che presentava valutazioni perplesse e dubbie, rilevando in particolare talune delle irregolarità contestate alla società (v. pagg. 32-33 del ricorso) dalle quali si sarebbe dovuto trarre la diversa conclusione del mancato assolvimento dell’onere della prova da parte della società in ordine al proprio inadempimento.
Pertanto, il ricorrente assume che la sentenza impugnata sia incorsa in un errore di percezione riguardante la ricognizione del contenuto oggettivo della prova, investendo un fatto oggetto di discussione tra le parti, per aver deciso sulla base di prova non offerte.
Il ricorrente lamenta altresì che proprio l’impossibilità acclarata dal c.t.u. di verificare numerose lavorazioni e il carattere complessivamente dubbio degli esiti dell’accertamento peritale avrebbero dovuto indurre il giudicante a corroborare la presunzione, risultante dalla stessa c.t.u., in ordine alla difformità delle opere dal programma di finanziamento, considerato anche che le prove orali dedotte dalla società erano state ritenute generiche ed inammissibili.
Il quinto motivo deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 99, 112, 115 c.p.c., 2697 c.c., per aver la Corte d’appello ritenuto che esulassero dall’oggetto del giudizio le ulteriori inadempienze accertate dal c.t.u., in quanto non espressamente menzionate nella motivazione del provvedimento di revoca. In particolare, il ricorrente assume che il giudizio in questione – avente ad oggetto l’accertamento negativo del diritto del Ministero – non era circoscritto ai motivi posti a fondamento del suddetto provvedi-
mento di revoca, poiché esso aveva per oggetto l’insussistenza della responsabilità dell’impresa e il diritto del Ministero di recuperare le agevolazioni concesse, tenendo conto che all’esito della c.t.u. non era stato raggiunto l’incontrovertibile accertamento dell’inesistenza della responsabilità della società.
Il primo motivo è infondato.
La Corte territoriale non era obbligata a tener conto del precedente di cui al parere del Consiglio di Stato n. 50/2016, sia perché non pertinente alla fattispecie, sia in virtù dei principi enunciati nella sentenza delle SU n. 16602/2016 – emessa in sede di regolamento di giurisdizione sulla questione inerente alla revoca dei contributi, e richiamata nella sentenza impugnata – la quale esclude che il rinvio a giudizio possa costituire una prova piena dell’inadempimento della società beneficiaria delle agevolazioni.
Invero, le Sezioni Unite hanno affermato, al riguardo, che: ‘… l’ulteriore rilievo contenuto nello stesso atto di revoca, secondo cui dette irregolarità comportavano anche una notitia criminis . sufficiente «a far venir meno il rapporto di fiducia con l’Amministrazione», indipendentemente dall’esito del procedimento penale nel frattempo instaurato per i medesimi fatti, non è sufficiente a trasformare l’addebito di inadempimento di obblighi (con modalità eventualmente delittuose) in una discrezionale valutazione di sopravvenuto pubblico interesse alla revoca” .
Il secondo motivo è fondato.
La Corte d’appello ha correttamente affermato che: “premesso che la revoca delle agevolazioni deve essere fondata su un nesso fra gli obblighi nascenti dall’erogazione dei contributi e le condotte contestate, integranti irregolarità e inadempimenti rispetto a tali obblighi, a fronte di specifiche
contestazioni fondate su dati concreti e gravi, il soggetto finanziato ha l’onere di dimostrare l’insussistenza degli inadempimenti specificamente ascrittigli”.
Tuttavia, la Corte non ha tratto dal richiamato principio la corretta conclusione, erroneamente applicando il principio di distribuzione dell’onere della prova in tema di responsabilità contrattuale, ex art. 1218 c.c.
Anzitutto, va rilevato che, nell’affermare che spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’opposizione avverso la cartella esattoriale emessa da una provincia per il recupero di somme erogate a titolo di contributo industriale, di cui sia stata disposta la revoca a seguito dell’inadempimento da parte del beneficiario dell’obbligo di occupare la forza lavoro minima concordata, le Sezioni Unite hanno altresì statuito che la controversia non era riconducibile alla giurisdizione tributaria, prevista dall’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come modificato dall’art. 12 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in quanto la provincia non agiva in qualità di ente impositore, ma faceva valere un’obbligazione traente origine da un inadempimento contrattuale (SU n. 11625/2006).
Premesso dunque che la fattispecie deve essere inquadrata nell’ambito della responsabilità contrattuale, il Ministero ha allegato e prodotto il provvedimento di concessione dei finanziamenti, lamentando il relativo inadempimento, mentre la società beneficiaria non ha fornito la prova liberatoria, avente ad oggetto l’insussistenza degli inadempimenti specificamente ad essa ascritti.
Al riguardo, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo
diritto e il relativo termine di scadenza, ma non l’inadempienza dell’obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l’onere di provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Il medesimo principio, applicabile anche nell’ipotesi d’inesatto adempimento, si estende anche alle obbligazioni di risultato (Cass. n. 13685/2019; n. 826/2015; SU, n. 13533/2001).
E’ stato altresì affermato che il provvedimento di revoca si limita ad accertare il venire meno di un presupposto già previsto in modo puntuale dalla legge, senza alcuna valenza costitutiva, sorgendo il credito come privilegiato ex lege dal «momento in cui viene concesso ed erogato il beneficio e dovendosi, di conseguenza, intendere la revoca del contributo solo come condizione affinché si possa agire per il recupero del credito (Cass. 8882/ 2020, 5430/2022).
Nella specie, la Corte d’appello ha affermato, tra l’altro, che: in taluni casi non era stato possibile effettuare una valutazione di congruità dei costi fatturati, trattandosi di opere non ispezionabili, e in altri casi non era stato possibile valutare la congruità e la rispondenza all’effettivo utilizzo dell’entità dei materiali fatturati, mancando la descrizione del pregresso stato dei luoghi; laddove era stato possibile effettuare una verifica, il c.t.u. aveva ritenuto la congruità dei materiali utilizzati e delle lavorazioni occorse, evidenziando la parvità di alcune difformità riscontrate tali da non incidere sulla quantificazione dei costi; quanto ai macchinari non rinvenuti sul posto, a distanza di dieci anni dagli acquisti, essi erano soggetti ad obsolescenza e presentavano costi contenuti, sicché era verosimile che gli stessi fossero stati dismessi; in definitiva, sulla base dell’esame delle risultanze peritali doveva dunque ritenersi che l’indagine non avesse fatto emergere gli inadempimenti contestati, considerando altresì che lo scarso dettaglio
delle fatture emesse da alcune imprese fornitrici, ed anche la relativa omessa contabilizzazione da parte di quest’ultime.
Ora, il riferimento alle varie citate condotte inadempienti della società destinataria dei contributi avrebbe, di per sé, determinato l’onere di quest’ultima di dimostrare la mancanza di colpa, ovvero la non imputabilità delle stesse condotte, secondo la predetta regola sulla distribuzione dell’onere della prova, ex art 1218 c.c.
Invece, la Corte d’appello, pur rilevando, in particolare, che non era stato possibile verificare la congruità dei costi e l’effettivo utilizzo dei materiali oggetto del progetto, per la mancanza della descrizione dello stato dei luoghi, ha ritenuto di fatto che tali situazioni non fossero riconducibili alla società, mentre avrebbe dovuto motivare sugli argomenti per i quali si affermava assolto, da parte del debitore, l’onere della prova liberatoria.
Pertanto, la Corte di merito ha omesso tale accertamento, limitandosi, come detto, ad escludere apoditticamente che le mancate suddette verifiche fossero da ascrivere alla responsabilità della società.
Gli altri motivi sono assorbiti dall’accoglimento del secondo.
Per quanto esposto, in accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Cagliari, anche per le spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso e accoglie il secondo motivo, nei limiti di cui in motivazione, assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 31 gennaio 2025.
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME