Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28875 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28875 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12709/2021 proposto da:
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a., in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO , per procura speciale in atti;
-ricorrente-
-contro-
CURATELA DEL FALLIMENTO di COGNOME NOME, in persona del legale rappres. p.t., rappres. e di fesa dall’AVV_NOTAIO , per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza d ella Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE Calabria, n. 364 /2020, depositata in data 29.04.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10.10.2025 dal Cons. rel., AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
La curatela del fallimento di NOME COGNOME, con atto del 5.2.1995, citava in giudizio innanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE Calabria l’allora Banca Popolare di RAGIONE_SOCIALE Calabria (cui è poi subentrata la RAGIONE_SOCIALE Monte dei Paschi di Siena, odierna ricorrente in Cassazione), chiedendo la restituzione della somma di lire 1.510.000.000 per il cui ammontare i conti correnti del COGNOME presso la suddetta Banca erano (nel corso di una ispezione effettuata dalla Banca d’Italia) risultati ‘scoperti’, sicché il titolare del conto era stato indotto a ripianare questa ‘scopertura’. Nell’atto di citazione, la c uratela assumeva, in particolare, che la scopertura in questione era stata in realtà determinata (come sarebbe successivamente emerso) dalla omessa registrazione da parte della Banca Popolare di RAGIONE_SOCIALE Calabria di ingenti versamenti effettuati su vari conti dal fallito per un importo di almeno Lire 1.246.068.261.
Pertanto, l’attrice chiedeva che, a parte la condanna alla restituzione di tali somme con gli interessi dovuti, la Banca fosse condannata altresì al risarcimento dei danni ulteriori c ausati all’impresa del COGNOME la quale – a seguito dello squilibrio finanziario provocato dal l’ingente pagamento, che aveva dovuto effettuare per ripianare la supposta ‘scopertura’ – era diventata insolvente ed era stata dichiarata fallita.
Il Tribunale, con sentenza del 2006, rigettava la domanda, ritenendo che l’azione per la restituzione delle somme (qualificata come ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c.) e la domanda di risarcimento del danno fossero prescritte, dovendosi considerare come termine iniziale del corso della prescrizione la data (1984) dell’ultimo pa gamento effettuato dal COGNOME.
Con sentenza non definitiva la Corte d’appello riteneva invece sussistente la causa di sospensione del termine prescrizionale ex art. 2941 n. 8 cc, in quanto operante fino al 1994, anno in cui la curatela aveva avuto effettiva cognizione della condotta dolosa della RAGIONE_SOCIALE; ne conseguiva che la prescrizione dei diritti azionati dall’appellante, al momento della notifica dell’atto di citazione, non risultava ancora maturata.
Contestualmente, con separata ordinanza del 9/16 febbraio 2017, la stessa Corte d’Appello disponeva in ordine all’ulteriore corso d ella controversia, nominando c.t.u. al fine di ‘ accertare, sulla base della documentazione acquisita, l’effettiva situazione debitoria nei rapporti tra il fallito COGNOME e la Banca Monte dei paschi di Siena ‘.
Con sentenza n. 364 del 23/29 aprile 2020, la Corte territoriale, in accoglimento parziale delle domande della curatela del fallimento del COGNOME, statuiva che la Banca M.P.S. era tenuta al pagamento in favore dell’attrice della somma di € 639.870,34 , oltre interessi al saggio medio di rendimento dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi, ove questo fosse stato superiore al saggio degli interessi legali, dal 17 febbraio 1995 al soddisfo, condannando conseguentemente la Banca al pagamento della suddetta somma, e al pagamento per metà delle spese dei due gradi di giudizio (compensando la residua metà).
Al riguardo, la Corte osservava che la domanda era fondata in ordine ai vari casi di versamenti sul conto per i quali non emergeva la prova dell’utilizzo delle somme versate , in mancanza degli estratti-conto e di idonea documentazione contabile.
Avverso sia la sentenza non definitiva, che quella definitiva, RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione, con tre motivi, illustrati da memoria. La curatela fallimentare resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Con il primo motivo il ricorrente invoca la nullità della sentenza definitiva perché fondata su una motivazione insanabilmente contraddittoria e quindi apparente.
Il secondo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. anche in relazione agli artt. 1852, 2856 e 1857 c.c., per aver la Corte d’appello erroneamente ritenuto che gravasse sulla RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare la destinazione delle somme versate sui conti correnti, questione che invece afferiva ai fatti costitutivi la cui prova gravava sulla parte attrice.
Col terzo motivo, infine, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dallo status professionale di NOME COGNOME di soci o e componente del consiglio d’amministrazione dell’allora Banca Popolare di RAGIONE_SOCIALE Calabria, oltre che di imprenditore. Il primo motivo è infondato.
La ricorrente lamenta, anzitutto, una insanabile contradditorietà che connoterebbe la motivazione della sentenza impugnata (al punto da renderla una motivazione addirittura ‘apparente’, e pertanto nulla) e ravvisa ndola nell’avere la Corte d’appello (sulla scorta di quanto affermato anche dal c.t.u. ) rilevato da un lato una ‘grave carenza di dati disponibili’ (e dunque una situazione di ‘incertezza probatoria’), e dall’altro accolto (se pure parzialme nte) le domande proposte dalla curatela fallimentare.
La carenza di dati disponibili, secondo quanto affermato dal c.t.u., che ha poi comunque proceduto all’esame dei singoli versamenti, per la Corte ha reso impossibile rideterminare il saldo finale, imputando i singoli versamenti nelle rispettive date sul c/c, e rigettando sul punto l’istanza dell’appellante, ma i documenti disponibili hanno comunque consentito alla CTU, recepita dalla Corte territoriale, di verificare per ciascun versamento dedotto, per un verso l’esecuzione, per l’altro l’esito
del versamento. O nerando l’appellante della prova dell’esecuzione del pagamento, e la ba nca dell’utilizzo del pagamento , la Corte ha selezionato fra i pagamenti allegati quelli per i quali vi fosse la prova della mancata contabilizzazione, rigettando la domanda per quelli per cui non fosse stato assolto l’onere probatorio .
La motivazione non è pertanto contraddittoria e vi è una ratio decidendi percepibile.
Il secondo motivo è inammissibile.
La censura, formulata in temini di violazione della regola di riparto dell’onere della prova, aggredisce, in realtà, il giudizio di fatto poiché in questione è l’assolvimento dell’onere probatorio, che è valutazione riservata al giudice del merito.
Va comunque rammentato che nell’azione di adempimento, di risoluzione ed in quella risarcitoria (che hanno in comune l’elemento costitutivo fondamentale del mancato adempimento) il creditore è tenuto a provare soltanto l’esistenza del titolo, ma non l’inadempienza dell’obbligato, dovendo essere quest’ultimo a provare di avere adempiuto, salvo che non opponga un’eccezione “inadimplenti non est adimplendum”, nel qual caso sarà l’altra parte a doverla neutralizzare provando il proprio adempimento o che la sua obbligazione non era ancora dovuta (Cass., n. 7027/2001).
Il terzo motivo è infondato.
La circostanza, il cui esame sarebbe stato omesso (il fatto che il fallito fosse socio e componente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE, nonché imprenditore) è priva di decisività – nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia -, posto che trattasi di elemento meramente indiziario di equivoca e non univoca valenza probatoria.
Al riguardo, la ricorrente ha allegato a sostegno di tale critica il mero assunto secondo il quale il fallito, per le sue suddette qualità, non avrebbe potuto ignorare gli effettivi rapporti tra la RAGIONE_SOCIALE e la società, poi fallita; ma si tratta oggettivamente di elemento genericamente indiziario dell’effettiva conoscenza, da parte del fallito, della situazione dei rapporti RAGIONE_SOCIALEri con la società fallita che, di per sé, non può giovare all’attrice per escludere la mancata giustificazione dell’impiego delle somme versate sui conti correnti, rispetto alla riscontrata omessa prova al riguardo.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 7.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 10 ottobre 2025.
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME