Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21467 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21467 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2539/2023 R.G., proposto da
COGNOME NOME, VENEZIA NOME, VENEZIA NOME e VENEZIA NOME , rappresentate e difese dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliate ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
–
ricorrenti –
contro
DI NOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME domiciliati ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
-controricorrenti – per la cassazione della sentenza n. 650/2022 della CORTE d’APPELLO di Potenza pubblicata il 15.11.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 29.4.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Revocatoria ordinaria -Prova del credito Insussistenza
ad. 29.4.2025
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore NOME COGNOME e quest’ultimo anche in proprio, convenivano dinanzi al Tribunale di Matera COGNOME e COGNOME NOME, per sentire dichiarare inefficace, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. , l’atto di donazione del 4.2.1999, trascritto il 22.2.1999 presso la Conservatoria dei RR.II. di Matera ai nn. 1337/1030, con il quale COGNOME aveva donato al figlio NOME i beni immobili e i diritti immobiliari ivi analiticamente indicati.
Deduceva il Venezia che RAGIONE_SOCIALE era stata attinta da due decreti ingiuntivi chiesti dall’avv. NOME COGNOME, rispettivamente, di Lire 46.195.500 e lire 90.376.000, e che le opposizioni svolte erano state rigettate . In seguito l’avv. COGNOME aveva notificato due atti di precetto , rispettivamente, di Lire 180.374.821 e Lire 249.561.038, che, rimasti senza esito, erano stati posti in esecuzione.
Risultati negativi i tentativi di esecuzione, il creditore aveva quindi presentato in data 26.11.2001 istanza di fallimento, che era stata oggetto di desistenza a seguito della transazione del 15.04.2002 tra RAGIONE_SOCIALE nella persona del liquidatore NOME COGNOME e l’avv. COGNOME Con la transazione la società si era impegnata a versare al creditore la somma onnicomprensiva di Lire 183.000.000, integralmente e personalmente corrisposta dal Venezia mediante quattro assegni bancari, giacché il socio Di NOME COGNOME sebbene concorde con la transazione stipulata, accusando una momentanea difficoltà finanziaria, non era stato in grado di versare la quota di sua spettanza, pari al 50%.
Successivamente, non avendo il COGNOME provveduto alla restituzione del dovuto, l’attore aveva appres o che il debitore si era disfatto del suo patrimonio immobiliare donandolo al figlio NOME
COGNOME NOME contestava la domanda attorea e svolgeva riconvenzionale nei confronti del Venezia, con la quale chiedeva la restituzione alla società della somma di euro 7.175,98, oltre interessi dal 14.10.1986 al saldo, come da lodo arbitrale intercorso tra le parti, nonché di euro 80.050,81, quale ricavato della vendita di un immobile in Altamura
a lui d estinato nell’ambito della divisione dei beni societari conseguente alla liquidazione della società. Quanto all ‘azione revocatoria affermava che la società, ‘in ragione dei beni distribuiti tra essi soci’, aveva un patrimonio superiore al credito vantato dall’ Avv. COGNOME credito che non era stato volutamente onorato dal Venezia, quale liquidatore della società, che ne aveva così determinato l’aumento; contestava la sussistenza dei presupposti del consilium fraudis , giacché la società non aveva nessun credito nei suoi confronti, e ciò anche nel 1999, quando aveva donato i beni immobili di sua proprietà al figlio NOME
In sede di memoria ex art. 183 cod. proc. civ. il Venezia eccepiva la prescrizione decennale dei crediti oggetto di riconvenzionale e svolgeva altresì reconventio reconventionis , chiedendo, nella qualità di liquidatore della società e in proprio, la condanna di COGNOME al pagamento di euro 47.309,03 pari al 50% della somma versata in adempimento della transazione del 15.04.2002, nonché al pagamento del compenso a lui spettante quale liquidatore.
Dichiarata l’interruzione del giudizio per il decesso di Venezia NOME, NOME e NOME in qualità di eredi lo riassumevano, e successivamente si costituivano anche NOME, Venezia NOME e Venezia NOME.
Con sentenza n. 775/2015, pubblicata il 7.9.2015, il Tribunale di Matera accoglieva la domanda revocatoria, dichiarava l’improcedibilità delle domande svolte dal Venezia in qualità di liquidatore della società, rigettava le domande svolte da NOME COGNOME e lo condannava al pagamento di euro 47.309,03.
I n relazione all’azione ex art. 2901 cod. civ., il Tribunale riteneva sussistente sia il credito in capo al Venezia per essere stato provato il pagamento, con effetti espromissori, da parte dello stesso e dal suo conto personale della somma indicata nell’atto di transazione , sia il pregiudizio alle ragioni creditorie per effetto della sequenza di atti dispositivi fatti dal COGNOME in favore del figlio NOME
La Corte d’Appello di Potenza con sentenza pubblicata il 15.11.2022, accogliendo l’appello svolto da COGNOME e COGNOME NOME COGNOME in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda revocatoria e quella per la condanna al pagamento dell’importo di euro 47.309,03 .
Per quanto rileva ancora ai fini del presente giudizio, l a Corte d’appell o osservava che sulla base della documentazione il pagamento di euro 94.619,03 lo si doveva ritenere effettuato dalla società in liquidazione attingendo da un conto corrente della stessa. La valutazione non era contraddetta dall’annotazione a latere sulla fotocopia degli assegni bancari, perché confliggente con la scrittura successiva del 22.10.2002 ( recte , del 25.10.2002), dove erano stati espressamente indicati i titoli, le imputazioni di pagamento rispetto alle percentuali di partecipazione alla società e precisato che i pagamenti erano eseguiti a titolo personale dai soci in favore dell’avv. COGNOME Il COGNOME, e per lui gli eredi, avrebbero dovuto provare la titolarità del conto corrente di provenienza degli assegni. Concludeva la Corte d’appello che ‘le evidenze probatorie’ lascia vano intendere che il pagamento fosse avvenuto sulla base di un conto corrente della società, in nome della quale la transazione era stata sottoscritta e gli assegni consegnati al creditore. Né era dirimente che gli assegni non recassero il timbro della società, dato che tale elemento non era essenziale per la validità del titolo.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorrono SARRA NOME, VENEZIA NOME, VENEZIA NOME e VENEZIA NOME sulla base di quattro motivi. Resistono con controricorso Di NOME e COGNOME NOME
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ.
Le ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va pregiudizialmente dichiarata l’inammissibilità per tardità del controricorso.
Esso risulta essere stato infatti depositato tardivamente rispetto al momento della notifica del ricorso. Il deposito è avvenuto il 9.3.2023 e non nel termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso effettuata il 14.1.2023 con scadenza al 23.2.2023.
Termine nel quale, invece, è stata effettuata la notifica del controricorso. La modifica apportata dall’art. 3, comma 27, del d.lgs. n. 149 del 2022 dell’art. 370 cod. proc. civ., non prevede più la notifica del controricorso, ma soltanto il suo deposito entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso. Tale disposizione si applica ai giudizi introdotti successivamente al 1° gennaio 2023, poiché, in forza dell’art. 35, comma quinto, del citato d.lgs., come modificato dalla l. 197/2022, tutte le disposizioni del libro secondo del codice di rito, titolo III, capo III, nella loro nuova formulazione hanno effetto a decorrere dalla predetta data e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso ad essa successivamente notificato (v. Cass., Sez. Un., 18 marzo 2024, n. 7170).
Con il primo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., v iolazione e falsa applicazione dell’art. 11 R.D. 21.12.1933, n. 1736; violazione del principio di rigore formale delle obbligazioni cartolari; falsa applicazione della norma relativa alla riconoscibilità e spendita del nome del soggetto emittente l’assegno bancario. Inoltre, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. , è denunciato error in procedendo per carenza di motivazione su un fatto decisivo per la controversia.
Lamentano le ricorrenti che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto l’emissione degli assegni allegati alla transazione del 15.4.2002 riferibile alla società. Gli assegni allegati alla transazione recano la firma ‘della sola persona fisica’ NOME COGNOME sì che la decisione resa è in contrasto con l’art. 11 R.D. 1736/1933 , il quale stabilisce quanto all’assegno bancario che ‘ogni sottoscrizione deve contenere il nome e il cognome o la ditta di colui che si obbliga ‘. Per converso, l’assunzione di una obbligazione cartolare in nome altrui, sia per rappresentanza negoziale, sia
per rappresentanza organica, impone che la sottoscrizione avvenga con modalità idonee a renderla evidente ai terzi mediante l’apposizione sotto il timbro della società.
La sentenza, inoltre, è affetta da carenza di motivazione, poiché, pur riferendo di ‘circostanze documentali’ e di ‘evidenze probatorie’ , la corte non le ha in alcun modo esplicitate o ha reso una motivazione apparente.
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 11 R.D. 21.12.1933 n. 1736; violazione del principio di autosufficienza cartolare del titolo di credito; violazione del principio di divieto di eterointegrazione del titolo di credito.
Le ricorrenti ripropongono la doglianza espressa con il primo motivo e lamentano anche la violazione anche dell’art. 1 R.D. 1736/1933, il quale prescrive c he ‘l’assegno bancario contiene … la sottoscrizione di colui che emette l’assegno bancario (traente)’. La Corte d’appello in violazione dei principi di autonomia cartolare e autosufficienza del titolo di credito ha operato una integrazione mediante il richiamo alla dichiarazione a latere della fotocopia degli assegni e di altra dichiarazione successiva alla loro emissione. Questa eterointegrazione dei titoli ha erroneamente portato la Corte d’appello a ritenere l’esistenza di una evidenzia probatoria, atta a permettere di ritenere che il pagamento fosse avvenuto attingendo da un conto corrente della società, per conto della quale la transazione è stata sottoscritta.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.
3.1. Con essi le ricorrenti sollevano questioni legate alla natura cartolare dell’obbligazione contenuta negli assegni rilasciati dal Venezia in occasione della stipulazione della transazione con il creditore di RAGIONE_SOCIALE.n.c. Assegni rilasciati dal Venezia in qualità di liquidatore della compagine sociale. Sennonché, tali doglianze vertono su questioni non menzionate nella sentenza della Corte d’appello .
Secondo un indirizzo costante di questa Corte (v., indicativamente, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 1° luglio 2024, n. 18018; Sez. Un., 29 gennaio 2024, n. 2607; 17 febbraio 2023, n. 5131; 23 settembre 2021, n. 25909; 24 gennaio 2019, n. 2038; 13 giugno 2018, n. 15430; 28 luglio 2008, n. 20518), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (v. Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804; 24 gennaio 2019, n. 2038; 9 agosto 2018, n. 20694; 18 ottobre 2013, n. 23675). In quest’ottica, la parte ricorrente ha l’onere -nella specie rimasto assolutamente inadempiuto -di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado (cfr. Cass. 10 maggio 2005, n. 9765; 12 settembre 2000, n. 12025). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito (v. Cass. 13 settembre 2007, n. 19164; 9 luglio 2013, n. 17041; 25 ottobre 2017, n. 25319; 20 maggio 2018, n. 20712; 6 giugno 2018, n. 14477).
Nella specie, essendo la prospettazione della natura cartolare dell’obbligazione recata dai quattro assegni bancari basata su circostanze fattuali, è palese che si sarebbe dovuto indicare se, dove e come il giudice di appello ne fosse stato investito.
3.2. Il primo motivo, altresì, è infondato là dove prospetta una asserita grave carenza motivazionale , correttamente inquadrata nell’art. 360,
comma primo, n. 4, cod. proc. civ. , pur con l’implicito riferimento all’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ., assumendo il carattere apparente di quanto esposto nella sentenza impugnata in termini di ‘circostanze documentali’ e ‘evidenze probatorie’.
La Corte d’appello , tuttavia, non è affatto incorsa nel ridetto vizio avendo richiamato nel contesto documentale ‘ l ‘annotazione a latere della fotocopia degli assegni versati in atti’ e la scrittura del 22.10.2002 ‘dove vengono espressamente indicati i titoli, le imputazioni di pagamento rispetto alle percentuali di partecipazione alla società e che i pagamenti venivano effettuati a titolo personale dai soci, in favore dell’avv. COGNOME.
4. Con il terzo motivo viene denunciata:
a) ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., v iolazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 167 e 345 cod. proc. civ., anche con riferimento all’art. 2697 cod. civ.; v iolazione del principio di ‘non contestazione’ e di divieto di jus novorum in appello, error in procedendo ; b) ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 e 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2702, 2727 e 2729 cod. civ., con riferimento all’art. 2697 cod. civ.; violazione e falsa applicazione della norma sulla valenza probatoria della scrittura privata, art. 2702 cod. civ., e della valenza probatoria delle presunzioni, artt. 2727 e 2729 cod. civ., con riferimento al generale principio della ripartizione dell’onere probatorio, art. 2697 cod. civ; c) ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., error in procedendo per carenza di motivazione su un fatto decisivo per la controversia.
Le ricorrenti rilevano come in sede di memoria ex art. 183 cod. proc. civ. l’attore svolse una reconventio reconventionis deducendo la circostanza dell’intervenuto integrale pagamento dell’intera somma oggetto della transazione, perfezionata in data 15.4.20 02 tra l’ avv. COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, ad opera del solo socio COGNOME NicolaCOGNOME A fronte di tale specifica circostanziata deduzione, sarebbe stato onere del convenuto COGNOME contestare nella prima difesa utile, ossia nella memoria di replica
ex art. 183 c.p.c., depositata in data 21/03/05, la dedotta circostanza. In assenza di una tale contestazione, l’attore lo si sarebbe dovuto ritenere liberato da qualsiasi onere probatorio al riguardo, po iché, sebbene all’epoca dell’introduzione della lite non fosse ancora entrata in vigore la modifica dell’art. 115 cod. proc. civ., il principio di non contestazione risultava già applicato a livello pretorio.
La Corte d’appello, pertanto, ha violato gli artt. 167 e 112 cod. proc. civ. per aver pronunciato su una eccezione non proposta in primo grado e tardivamente avanzata in appello in contrasto con l’art. 345 cod. proc. civ.
Sotto diverso profilo ha errato la Corte d’appello nel ritenere non provato il pagamento in favore dell’avv. COGNOME da parte del Venezia , posto che gli assegni avevano efficacia di prova scritta ai sensi dell’art. 2702 cod. civ. circa la provenienza direttamente dal sottoscrittore. La Corte d’appello, inoltre, quanto alla ritenuta sussistenza di evidenze probatorie circa la provenienza degli assegni da un conto della società, ha violato gli artt. 2727 e 2729 cod. civ.
In primo luogo, mancava il presupposto per ricorrere al ragionamento presuntivo, perché riguardo al soggetto emittente i titoli ricorreva la prova documentale ex art. 2702 cod. civ. e non è ammesso il ricorso alle presunzioni, quando è esclusa la prova testimoniale in presenza di una scrittura privata non disconosciuta.
In secondo luogo , la Corte d’appello non ha evidenziato gli elementi a supporto del ragionamento presuntivo (fatti noti impiegati; la regola di esperienza per giungere all’affermazione del fatto ignoto ).
La Corte d’appello, ancora, ha violato l’art. 2697 cod. civ. quando ha affermato che il Venezia sarebbe stato onerato della prova della titolarità del conto corrente dal quale provenivano gli assegni, poiché il superamento dell’efficacia quale scrittura privata degli assegni riferibili alla persona del Venezia ricadeva sul Di COGNOME.
4.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
4.2. La prima censura postula la mancata contestazione da parte del Di COGNOME del fatto allegato in sede di articolazione della reconventio recoventionis dell’intervenuto pagamento integrale dell’intera somma oggetto della transazione, perfezionata in data 15.4.2002 tra l’avv. COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE ad opera del solo socio NOME. In assenza di una tale contestazione l’attore lo si sarebbe dovuto ritenere esonerato da qualsiasi onere probatorio. La Corte d’appello, pertanto, avrebbe violato sia l’art. 167 cod. proc. civ. sia l’art. 112 cod. proc. civ. per aver pronunciato su una eccezione non proposta in primo grado e tardivamente avanzata in appello in contrasto con l’art. 345 cod. proc. civ.
4.3. La doglianza è inammissibile.
La censura è fondata su fatti processuali dei quali si omette specifica indicazione, sia contenutistica sia quanto alla localizzazione nel fascicolo di causa degli atti dai quali essi dovrebbero risultare, in violazione dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ. (v. Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34469 e ribadito più di recente da Cass., sez. III, 1° luglio 2021, n. 18695).
Quando il motivo di impugnazione è fondato sul rilievo che la controparte ha mantenuto una condotta processuale di non contestazione, al fine di consentire a questa Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze mosse il ricorrente ha l’onere di indicare non solo con quale atto e in quale sede abbia operato la deduzione in fatto, ma anche in quale modo la circostanza sia stata provata o risultata pacifica (v., Cass., sez. I, 18 luglio 2007, n. 15961; sez. III; 28 giugno 2006, n. 10583; sez. 6-I, 12 ottobre 2017, n. 24062; sez. 6-III, 13 ottobre 2017, n. 20637; sez. II, 4 luglio 2018, n. 17474; sez. III, 5 marzo 2019, n. 6303; sez. 6-III, 4 aprile 2022, n. 10761).
Nella specie, le ricorrenti in violazione del principio di specificità hanno omesso di riprodurre il contenuto delle difese svolte dal COGNOME in concomitanza con la prima occasione utile di difesa a seguito della proposizione della reconventio reconventionis da parte del Venezia.
4.5. Va d’altro canto osservato che l a doglianza espressa dalle ricorrenti non è l’introduzione in appello di una nuova eccezione, cioè di un fatto impeditivo, modificativo o estintivo del diritto azionato, bensì la pretesa compatibilità con l’appello di un atteggiamento di contestazione di un fatto costitutivo del diritto stesso, cioè l’es sere il Venezia creditore in proprio verso il COGNOME che -si sostiene -non era stato oggetto di contestazione specifica in primo grado. Ora, il mancato svolgimento di un’attività di contestazione con il primo atto di difesa utile determina solo che il fatto non contestato non debba essere provato, ma questo non solo non è riconducibile ad un fenomeno di mancata proposizione di eccezione, e, soprattutto, non esclude -al di là di ipotesi nelle quali la contestazione può successivamente essere giustificata da ragioni sopravvenute esterne o interne al processo -che il giudice, e dunque anche la parte che non aveva contestato, possa avvalersi di eventuali risultanze istruttorie che palesino l’inesistenza del fatto non contestato (v. Cass., sez. II, 27 settembre 2017, n. 22699; Cass., sez. III, 25 novembre 2014, n. 24991; Cass., sez. II, 19 luglio 2011, n. 15982; Cass, sez. III, 12 settembre 2005, n. 18096; Cass., sez. III, 19 luglio 2005, n. 15211).
Escluso in radice che -per quanto prospettato, cioè per la sostanza della doglianza si possa parlare di novità di un’eccezione svolta in sede di appello da parte del COGNOME, si rileva anche che le ricorrenti omettono di considerare, come si legge a pagina quattro della sentenza impugnata, che con il secondo motivo di appello il COGNOME ebbe a lamentare che ‘ non vi era prova che il denaro versato all’avv. COGNOME provenisse dal conto personale del Venezia, né tale circostanza poteva essere desunta dalla mancanza di timbro s ull’assegno o dalla mancata specificazione della qualità di colui che lo aveva firmato, posto che i titoli anche se privi di requisiti erano comunque validi ‘. Sulla scorta dell’indicato motivo la Corte d’appello, condividendo la censura relativa alla valutazione delle risultanze probatorie, si è diversamente, e motivatamente, determinata in relazione al merito della domanda.
4.6. Con la seconda censura le ricorrenti si dolgono sempre della decisione della Corte d’appello , là dove è stato ritenuto non provato il pagamento in favore dell’avv. COGNOME da parte del Venezia in proprio, posto che gli assegni avevano efficacia di prova scritta ai sensi dell’art. 2702 cod. civ. circa la provenienza direttamente dal sottoscrittore; la Corte d’appello, inoltre, quanto alla ritenuta sussistenza di evidenze probatorie circa la provenienza degli assegni da un conto della società, avrebbe violato gli artt. 2727 e 2729 cod. civ.
Impropriamente le ricorrenti deducono la violazione degli artt. 2697 e 2702 cod. civ. rispetto agli assegni dati in occasione della transazione, poiché l’invocazione quale scrittura privata di un assegno investe la provenienza di esso da parte del soggetto che risulta traente. Sta di fatto che non è in discussione che gli assegni in questione siano stati sottoscritti dal Venezia, ma la veste dallo stesso rivestita, ossia se emessi quale liquidatore della società attingendo da un conto della compagine o se mediante il riversamento di sostanze proprie. Aspetto, quest’ultimo , sul quale si è appuntata la valutazione della Corte d’appello, la quale ha evidenziato che: ‘ sarebbe stato onere del Venezia provare la titolarità del conto corrente dal quale provenivano gli assegni con i quali era stato versato quanto concordato con l’Avv. COGNOME prova che poteva essere da ta, essendo il documento nella sua disponibilità, sia nel caso fosse stato relativo ad un conto personale sia che si riferisse alla Società della quale era il liquidatore. Quand’anche, sotto altro profilo si fosse voluto ritenere che il Venezia personalmente avesse versato detta somma nelle casse della società per poi procedere al pagamento, come avvenuto, in nome e per conto di questa, avrebbe dovuto dimostrare, sotto il profilo contabile societario, l’entrata e la relativa uscita, prova che non gli sarebbe stato difficile allegare essendo egli, per l’appunto, liquidatore della Società. Di tanto non vi è traccia negli atti depositati ‘ (v. pagina 9 ultimo capoverso e pagina 10 fino a riga 10). Ratio decidendi , peraltro, non aggredita dalle ricorrenti.
Non ricorre neppure la violazione delle norme in tema di presunzione, poiché la Corte d’appello , sulla base dell’esame diretto della documentazione, ha affermato che il pagamento è stato fatto attingendo da un conto della società sul rilievo che non vi era prova che questo fosse stato fatto in proprio dal Venezia.
Con il quarto motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., v iolazione e falsa applicazione dell’art. 1272 cod. civ. (falsa applicazione della norma sulla valenza del pagamento espromissorio ad opera del terzo) , nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.
La Corte d’appell o non ha considerat o che l’annotazione a latere sulla fotocopia degli assegni, indicante che i titoli ‘vengono consegnati dal sig. NOME COGNOME nella sua qualità di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE.n.c. in liquidazione volontaria’ , caratterizza in termini espromissori il pagamento contestualmente operato dalla persona fisica del socio NOME NOME. Tale elemento rende pienamente compatibile, dal punto di vista giuridico, la circostanza che i quattro titoli di pagamento, emessi da una persona fisica, siano correlati a una transazione in cui l’obbligazione di pagamento è stata assunta da una società.
5.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Si deve richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale ‘i l motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione
impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissi bilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.’ (v. Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598; 3 novembre 2017, n. 22226; 20 marzo 2017, n. 7074, in motivazione, non massimate sul punto; v., da ultima, Cass., sez. III, 12 gennaio 2024, n. 1341).
Le ricorrenti hanno omesso di sviluppare una censura pertinente rispetto alla decisione, ma si sono limitate a prospettare in modo assertorio la violazione dell’art. 1272 cod. civ. , assumendo la valenza espromissoria del pagamento sul presupposto, rimasto indimostrato, che gli assegni risulterebbero emessi dal Venezia e non dalla società. Di qui, il difetto di decisività del motivo.
All’ inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, stante la rilevata tardività del controricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della