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Onere della prova: chi deve provare il vizio del bene?

Una società acquista materiale isolante che si rivela difforme dalle specifiche tecniche, causandole danni. Le corti di merito rigettano la richiesta di risarcimento per mancato assolvimento dell’onere della prova. La Corte di Cassazione conferma la decisione, ribadendo che l’onere della prova del vizio del bene spetta al compratore. Le dichiarazioni contenute nella comparsa di costituzione del difensore del venditore non costituiscono confessione e non invertono tale onere.

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Onere della Prova: Chi Paga se il Prodotto è Difettoso? La Cassazione Chiarisce

Quando si acquista un bene per la propria attività, la sua conformità alle specifiche promesse è fondamentale. Ma cosa accade se il prodotto si rivela difettoso e causa danni ingenti? A chi spetta dimostrare il vizio? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale del contenzioso commerciale: l’onere della prova. La decisione sottolinea un principio fondamentale: spetta al compratore dimostrare non solo il danno, ma anche il difetto del bene e il nesso causale, anche di fronte a quelle che potrebbero sembrare ammissioni della controparte.

I Fatti: Una Fornitura Non Conforme e la Richiesta di Risarcimento

Il caso riguarda un’azienda, che chiameremo “Azienda Committente S.r.l.”, la quale aveva acquistato da un’altra società, la “Azienda Fornitrice S.r.l.”, un materiale isolante speciale. Questo prodotto era destinato a un’importante commessa internazionale per un impianto di rigassificazione e, secondo la scheda tecnica, doveva avere una percentuale di assorbimento d’acqua non superiore al 2%.

Successivamente alla fornitura, il cliente finale della Committente contestava gravi problemi di tenuta del materiale, scoprendo che la sua capacità di assorbimento dell’umidità era del 12%, ben sei volte superiore a quanto dichiarato. L’Azienda Committente era quindi costretta a sostenere ingenti spese per verifiche tecniche, sostituzione del materiale e manodopera, oltre a subire un danno d’immagine. Di conseguenza, citava in giudizio l’Azienda Fornitrice per ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Il Giudizio di Merito e il Principio dell’Onere della Prova

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato la domanda della Committente. La motivazione di entrambe le corti è stata la stessa: la società acquirente non era riuscita a fornire una prova sufficiente e inequivocabile né della difformità del prodotto (ovvero che l’assorbimento fosse realmente del 12% anziché del 2%) né del fatto che tale difformità fosse la causa esclusiva o prevalente dei problemi riscontrati nell’impianto.

In sostanza, i giudici di merito hanno applicato rigorosamente il principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), secondo cui chi agisce in giudizio per far valere un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Il Ricorso in Cassazione: Una Presunta Ammissione Può Invertire l’Onere della Prova?

L’Azienda Committente ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo due argomenti principali:

1. Errata valutazione delle prove: Le corti inferiori avrebbero ignorato elementi probatori decisivi, come relazioni tecniche e corrispondenza.
2. Violazione delle regole sull’onere della prova: La Fornitrice, nella sua comparsa di costituzione in primo grado, avrebbe di fatto “ammesso l’errore nella scheda”. Secondo la ricorrente, questa ammissione avrebbe dovuto invertire l’onere della prova, costringendo la Fornitrice a dimostrare di non essere in colpa, secondo l’art. 1218 c.c. sulla responsabilità del debitore.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo chiarimenti cruciali.

In primo luogo, ha dichiarato inammissibile la censura relativa alla valutazione delle prove. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio sui fatti; il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge. Inoltre, essendo le sentenze di primo e secondo grado giunte alla stessa conclusione fattuale (la cosiddetta “doppia conforme”), era preclusa la possibilità di contestare l’omesso esame di fatti decisivi.

Il punto centrale della sentenza riguarda però il secondo motivo. La Corte ha stabilito che la frase contenuta nell’atto difensivo dell’avvocato della Fornitrice non poteva essere considerata una confessione. La confessione, per avere valore di prova legale, deve provenire dalla parte personalmente. Le dichiarazioni fatte dal difensore in un atto processuale possono al massimo essere considerate elementi indiziari, liberamente valutabili dal giudice, ma non sono sufficienti a sollevare l’altra parte dall’onere della prova che le incombe.

Richiamando un importante precedente delle Sezioni Unite (n. 11748/2019), la Corte ha ribadito che, nei contratti di compravendita, è sempre il compratore a dover provare l’esistenza del vizio della cosa venduta. Solo una volta fornita tale prova, scatta la presunzione di colpa del venditore, il quale dovrà a sua volta dimostrare di aver adempiuto correttamente o che l’inadempimento è dovuto a cause a lui non imputabili.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per tutte le imprese. Quando si contesta la fornitura di un prodotto difettoso, non è sufficiente lamentare un danno. È indispensabile raccogliere e presentare in giudizio prove concrete, oggettive e inequivocabili che dimostrino tre elementi fondamentali: l’esistenza del difetto, il danno subito e il legame di causalità diretta tra il difetto e il danno. Affidarsi a presunte ammissioni contenute negli atti difensivi della controparte è una strategia rischiosa e, come dimostra questo caso, spesso perdente. L’onere della prova rimane saldamente sulle spalle di chi agisce per il risarcimento.

A chi spetta l’onere della prova in caso di vizi della cosa venduta?
In base alla sentenza e alla giurisprudenza consolidata, l’onere di provare l’esistenza del difetto del bene acquistato spetta sempre al compratore che agisce in giudizio per il risarcimento del danno.

Una dichiarazione dell’avvocato di controparte in un atto difensivo vale come ammissione dei fatti?
No, non ha il valore di una confessione giudiziale. Tali dichiarazioni possono essere liberamente valutate dal giudice come semplici elementi indiziari, ma non sono sufficienti a invertire l’onere della prova a carico di chi lamenta il vizio.

È possibile impugnare per Cassazione una sentenza per un’errata valutazione dei fatti se le decisioni di primo e secondo grado sono identiche?
No, di regola non è possibile. In caso di “doppia conforme”, ovvero quando la sentenza d’appello conferma la decisione di primo grado sulla base della medesima ricostruzione dei fatti, è precluso il ricorso per cassazione per il motivo di omesso esame di un fatto decisivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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