Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27708 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27708 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10133/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale in atti.
-RICORRENTE- contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale in atti.
-CONTRORICORRENTE- avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 452/2019 depositata il 30/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza 452/2019/2017, la Corte di appello di Napoli ha accolto l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da NOME COGNOME per il pagamento dei compensi professionali, ponendo a carico di quest’ultimo le spese legali.
Il ricorrente aveva sostenuto di aver ricevuto l’incarico di tenuta della contabilità della società nel 2002 da NOME COGNOME,
amministratore della RAGIONE_SOCIALE, e di aver proceduto a tutti gli adempimenti fiscali e contabili conseguenti.
Il Tribunale, pur rilevando che con modifica statutaria adottata nel RAGIONE_SOCIALE era entrata a far parte della società NOME COGNOME, nella qualità di socio accomandataria, disponendo che tutte le attività di gestione, sia ordinaria che straordinaria, dovevano essere esercitate congiuntamente dagli accomandatari e che, inoltre, il contratto professionale era stato stipulato dal solo NOME COGNOME, per cui aveva escluso che detta modifica fosse opponibile al COGNOME, che non ne era a conoscenza, ed aveva liquidato la minor somma di euro 9.264,85, per le prestazioni effettivamente svolte.
Su appello della società, la Corte di Napoli ha respinto la domanda del COGNOME, osservando che in data 6 settembre RAGIONE_SOCIALE erano stati trascritti sia l’ atto costitutivo della società, che attribuiva la qualità di unico amministratore al solo NOME COGNOME, sia la successiva modifica che aveva disposto l’ingresso di nuovi soci, tra cui l’accomandataria NOME COGNOME, e il conferimento della gestione congiunta ai due accomandatari, affermando che il COGNOME ne era a conoscenza, essendo stato nominato consulente di parte di NOME COGNOME in una causa in cui la COGNOME aveva invocato la clausola statutaria che le riconosceva il potere di amministrazione congiunta. Ha ritenuto che non vi fosse prova dello svolgimento delle attività professionali, poiché le prove orali e documentali dimostravano che le attività di tenuta della contabilità e gli adempimenti successivi erano stati svolte da altro professionista.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso in tre motivi, illustrati con memoria, cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 115 e 342 c.p.c.
Lamenta il ricorrente che la sentenza di primo grado era passata in giudicato poiché non impugnata nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto indimostrata l’iscrizione nel registro delle imprese , sin dal 6.9.RAGIONE_SOCIALE, della clausola che prevedeva l’esercizio congiunto dei poteri di amministrazione e rappresentanza in capo ai due accomandatari.
Il motivo è infondato.
L’appello verteva proprio sull ‘ opponibilità, nei confronti del COGNOME, della modifica statutaria che assegnava ad entrambi gli accomandatari il potere di gestione congiunta della società, profilo che la RAGIONE_SOCIALE aveva specificamente censurato, ritenendo sufficiente la prova della conoscenza del contenuto della nuova clausola statutaria da parte del professionista a prescindere dall’iscrizione, non essendo preclusa da un preteso giudicato interno la verifica della data di iscrizione della modifica per stabilire se fosse efficace verso i terzi contraenti.
Il giudicato può formarsi solo su di un capo autonomo della sentenza che risolva una questione avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare una decisione del tutto indipendente (Cass. 20951/2022; Cass. 40276/2021; Cass. 8645/2020; Cass. 21556/2017). La nozione di “parte della sentenza”, alla quale fa riferimento l’art. 329, comma secondo, c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno, identifica soltanto le “statuizioni minime”, costituite dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia. Sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi consente -e impone di riesaminare l’intera statuizione (Cass. 12202/2017; Cass. 24738/2018) ed espande nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che,
sebbene coessenziali alla statuizione impugnata, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. 9202/2018; Cass. 8604/2017; Cass. 1377/2016).
Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 2298, 2384 c.c. Afferma il ricorrente che la clausola statutaria che conferiva la gestione congiunta non poteva comportare un totale svuotamento dei poteri di rappresentanza in capo ai singoli accomandatari, autorizzati a contrarre i rapporti professionali funzionali alla corretta gestione dell’impresa , lamentando inoltre che la Corte di appello, nel ritenere che il ricorrente fosse a conoscenza della clausola per aver assistito il de COGNOME in una controversia riguardante proprio la nuova previsione statutaria, non abbia verificato in quale momento il COGNOME aveva assunto il ruolo di consulente di parte.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 2697 c.c. 115 c.p.c.
Nel ritenere che l’incarico di consulenza fosse stato svolto da altro professionista la Corte d’appello avrebbe violato il principio dell’onere della prova, avendo valutato esclusivamente le dichiarazioni di taluni testi, trascurando le restanti deposizioni favorevoli alle tesi del professionista.
Va esaminato con priorità il terzo motivo di ricorso, in ossequio al principio della ragione più liquida, in risposta alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio (Cass., S.U., 20932/2011; Cass., S.U., 24883/2008; Cass., S.U., 29523/2008), il cui rigetto rende superfluo l’esame del secondo motivo, posto che la sentenza si fonda su di una duplice argomentazione, ciascuna sufficiente a sostenerla.
Invero, il giudice, decidendo su una questione che, benché logicamente pregiudiziale sulle altre, attiene al merito della causa, a differenza di quanto avviene qualora dichiari l’inammissibilità della domanda o il suo difetto di giurisdizione, o competenza, non si priva della “potestas iudicandi” in relazione alle ulteriori questioni
di merito, sicché, ove si pronunci anche su di esse, le relative decisioni non configurano “obiter dicta”, ma ulteriori “rationes decidendi”, che la parte ha l’interesse e l’onere d’impugnare, in quanto da sole idonee a sostenere il “decisum”. L’inammissibilità o l’infondatezza del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, essendo consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura respinta (Cass. 11493/2018; Cass. 15399/2018; Cass. 5102/2024).
3.1. Il ricorrente insiste nel sostenere di aver personalmente svolto le prestazioni di contabilità, assunto che la sentenza ha respinto, giudicando credibili le deposizioni del teste indicato dalla società, confermate anche dalla documentazione acquisita, sostenendo che il ricorrente si era limitato a produrre la parcella senza specificare e provare le singole attività, con apprezzamento di merito cui il ricorso intende contrapporre una diversa valutazione della prova ed un giudizio di sufficienza delle testimonianze contrarie, deduzioni precluse in cassazione, non potendosi contestare che il giudice, nel valutare le prove, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.. (Cass., S.U., 20867/2020).
Il ricorso è respinto, con addebito delle spese.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in € 2.400,00 compensi ed
€. 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, del giorno 11.2.2025.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME