Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3938 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3938 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 13/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 23777/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
–
ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Milano, INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, con i quali elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME.
-controricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, NOME COGNOME
-intimati –
avverso la sentenza della Corte della Corte di appello di Bologna, depositata in data 17.1.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/10/2023 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
1.Il Tribunale di Bologna -decidendo con la sentenza n. 443 del 20 febbraio 2013 la causa risarcitoria intentata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME -respingeva integralmente la domanda, rigettando altresì le riconvenzionali proposte dalle convenute ai sensi dell’art. 96 c.p.c. Aveva la società oggi ricorrente sostenuto che: (i) i funzionari RAGIONE_SOCIALE nel dicembre 2004 le avevano taciuto l’imminente cessione del credito alla RAGIONE_SOCIALE, intervenuta effettivamente il 24 dicembre 2004; (ii) i funzionari della banca non erano stati in buona fede; (iii) la RAGIONE_SOCIALE, dopo appena un mese dall’acquisito del credito, le aveva notificato un precetto di euro 14.525.494,16, oltre interessi di mora; nell’incontro del 15 febbraio 200 5 le era stato comunicato dell’intenzione della RAGIONE_SOCIALE all’acquisito degli immobili del compendio turistico di cui era proprietaria per il prezzo di euro 18,5 milioni, dal quale avrebbe dovuto essere detratto il credito di euro 14,5 milioni; (iii) tale proposta era stata respinta in considerazione del fatto che i soci di riferimento della RAGIONE_SOCIALE e delle precedente società interessata all’acquisto a valori ritenuti incongrui, la TARGA_VEICOLO RAGIONE_SOCIALE, erano i medesimi; (iv) a seguito del fallimento delle trattative, la RAGIONE_SOCIALE aveva notificato un secondo precetto di euro 16.439.5 32,73, al quale era seguita un’ esecuzione immobiliare; (v) tale esecuzione era stata tuttavia estinta da essa ricorrente mediante il versamento di euro 19.990.079,16, effettuato il 21 dicembre 2016; (vi) il credito quantificato dalla banca alla data del 9 settembre 2004 era invece pari alla minor somma di euro 16.797.753,97; (vii) a causa della violazione dei precetti di buona fede e correttezza da parte di RAGIONE_SOCIALE,
nonché della divulgazione di fatti contabili riservati, aveva visto sfumare la possibilità di subentro della RAGIONE_SOCIALE nella titolarità del credito ed era stata costretta a pagare un maggiore importo ad estinzione del dovuto, pari ad euro 4.990.079,16, ovvero quanto meno euro 3.192.325,19; (viii) la violazione dei canoni di correttezza e di buona fede era imputabile a tutti i convenuti; (ix) la lievitazione del debito era addebitabile anche all’ applicazione di interessi non dovuti da parte della banca erogatrice.
Avverso la predetta sentenza di primo grado interponeva appello la RAGIONE_SOCIALE e la Corte di appello di Bologna, nella resistenza dei predetti convenuti appellati, rigettava l’appello così proposto e di nuovo dunque la domanda risarcitoria coltivata da parte attrice.
La Corte territoriale rilevava che: a) il primo giudice aveva in primo luogo ritenuto che la cessione del credito non fosse frutto di un disegno preordinato diretto a danneggiare la società attrice, ma fosse conseguenza della necessità della banca di monetizzare il credito il più presto possibile, anche perché la società attrice si era dimostrata ripetutamente inadempiente; b) tale motivazione non era stata sottoposta a critica da parte dell’appellante, la quale aveva invece ripetuto semplicemente la tesi già svolta in primo grado della violazione dei canoni di correttezza e di buona fede; c) l’appellante non aveva sottoposto a censura neanche il secondo punto logico posto alla base della decisione da parte del primo giudice, ossia che nessuna informazione fosse dov uta da RAGIONE_SOCIALE in ordine all’ imminente cessione del credito e che comunque la società appellante era stata informata, nell’incontro del dicembre 2004, del fatto che la banca avesse intenzione di cartolarizzare il credito, operazione che implicava comunque il cambio della titolarità del credito stesso; d) anche tale ultimo assunto era rimasto priva di critica da parte dell’appellante, la qu ale, per contro, neanche aveva enunciato quale fosse la norma di comportamento violata da RAGIONE_SOCIALE, né tanto meno a chiarire perché le fosse dovut a l’informazione in ordine all’ imminente cessione; e) quand’anche si fosse voluto aderire alla tesi dell’appellante, il pregiudiz io concretamente derivato dall’ omessa informazione avrebbe potuto, al più, essere individuato nelle spese e negli oneri sostenuti per le trattative intercorse con la RAGIONE_SOCIALE, abbandonate a seguito dell’ alienazione del
credito, ma di tale pregiudizio non era stata fornita prova; f) anche in relazione all’ulteriore profilo della divulgazione dei dati patrimoniali della RAGIONE_SOCIALE , quest’ultima non aveva contrastato in alcun modo l’affermazione del primo giudice , secondo cui si trattava di dati contabili risultanti dai bilanci e dunque a disposizione del pubblico e che l’invito alla divulgazione degli stessi era avvenuto per iniziativa della stessa RAGIONE_SOCIALE; g) la domanda in ordine alla presunta applicazione di interessi non dovuti doveva essere disattesa perché formulata in modo del tutto generico, senza alcun riferimento a dati temporali e a clausole contrattuali; h) in tal modo anche le istanze istruttorie reiterate in appello dovevano essere considerate superflue.
La sentenza, pubblicata il 17.1.2019, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697, in materia di onere della prova a carico della parte che agisce in giudizio.
1.1 Il motivo è in realtà inammissibile in quanto meramente ripropositivo delle doglianze, già solo genericamente proposte in appello, e qui di nuovo formulate, senza alcun confronto critico con le rationes decidendi che sorreggono il provvedimento impugnato, per come sopra riportate nella ricostruzione della odierna vicenda processuale.
1.2 Secondo la ricorrente, la Corte di appello non avrebbe infatti chiarito la ragione per la quale non aveva accolto il suo rilievo di non essere stata posta in grado di estinguere l’esposizione senza danni, esponendola ad un pagamento notevolmente superiore rispetto a quello che sarebbe stato possibile effettuare prima della cessione del credito.
1.3 Sostiene sempre la società ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE aveva sicuramente concorso ad incrementare i danni ritenuto che, come documentalmente
provato, era stata costretta ad estinguere il suo debito, versando una somma decisamente più consistente rispetto a quella dovuta in precedenza.
1.4 Aggiunge inoltre la ricorrente che la banca convenuta avrebbe applicato illegittimamente tassi di interessi anatocistici, e che la situazione di danno sarebbe stata altresì aggravata anche dalla sua segnalazione alla Centrale rischi.
1.5 Come già sopra evidenziato, le censure proposte dalla ricorrente non superano il vaglio di ammissibilità, in quanto meramente ripropositive dei motivi di appello e perché le stesse non si confrontano con le rationes decidendi della motivazione impugnata, ove era stata evidenziata la genericità di contestazione contenuta nei motivi di gravame e la mancata comprensione in sede di appello che il rigetto delle pretese risarcitorie era stato determinato dalla mancanza di un obbligo di preventiva comunicazione della cessione del credito da parte della cessionaria e dalla mancata prova di un effettivo pregiudizio, p er la dedotta circostanza dell’ interruzione delle trattative con RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo mezzo si denuncia invece omesso esame di fatti decisivi in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5., c.p.c., in relazione alla erronea valutazione dei mezzi di prova documentale e all’integrale difetto di attività istruttoria.
2.1 Il motivo è integralmente inammissibile.
Sul punto è necessario ricordare che, secondo la uniforme giurisprudenza espressa da questa Corte, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente,
il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Orbene, rileva il Collegio che la ricorrente, lungi dall’enucleare un fatto storico, decisivo ed oggetto di dibattito processuale, nel cui omesso esame sarebbe incorsa la Corte territoriale, richiede invece un nuovo apprezzamento da parte di questa Corte di legittimità di singoli atti istruttori di natura documentale che, nella sua prospettiva difensiva, dovrebbero orientare la decisione di merito in modo difforme da quella oggetto della odierna impugnazione, così proponendo censure che si pongono ben al di là del perimetro delimitante l’area di cognizione del giudizio di legittimità (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/04/2017, 8758; Cass., 02/08/2016, n. 16056; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34476; Cass., 04/03/2021, n. 5987).
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 91 e seg. cpc., sul rilievo che il giudice di appello avrebbe duplicato la liquidazione delle spese in favore dei due diversi appellati nonostante le difese degli stessi fossero identiche.
3.1 Il motivo è infondato perché risulta dirimente la circostanza che i difensori delle due parti appellate erano diversi, con conseguente mancata violazione dell’art. 4, 2 comma, dm 55/2014, di cui peraltro neanche si invoca effettivamente la violazione da parte della ricorrente.
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 30.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 qu ater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 27.10.2023