Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10181 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10181 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13510/2023 R.G., proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME domiciliata come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME domiciliata come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
–
controricorrente
–
per la cassazione della sentenza n. 80/2023 della CORTE d’APPELLO di Cagliari -sezione distaccata di Sassari, pubblicata il 10.3.2023;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10.1.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Sassari con sentenza pubblicata il 5.4.2022 rigettò l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta da NOME COGNOME con cui le era stato
Contratto di mutuo -Cessione del credito -Onere della prova
ingiunto il pagamento di euro 8.239,46 in favore di NPL RAGIONE_SOCIALE s.p.a. a titolo di restituzione di somme concesse a mutuo, compensando parzialmente le spese di lite. In sede di opposizione NOME COGNOME premesso di avere sottoscritto un contratto di mutuo con la Cofidis s.p.a. e non con l’opposta, eccepì la mancanza di prova del rapporto di mutuo; il difetto di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE s.p.a.; la mancata comunicazione di decadenza dal beneficio del termine; la mancanza di prova dell’importo effettivamente dovuto; la violazione del c.d. merito creditizio di cui agli art. 124 bis T.U.B. e 1176 c.c.
RAGIONE_SOCIALE rilevato che si era resa cessionaria del credito ingiunto, chiese il rigetto dell’opposizione osservando come l’opponente al momento della stipulazione del mutuo non avesse fornito elementi oggettivi, dai quali desumere che non fosse meritevole di ottenere il credito e che tale condizione fosse nota all’istituto finanziatore.
Il Tribunale di Sassari, riconosciuta la legittimazione attiva dell’opposta e la corretta indicazione del quantum debeatur , escluse l’esistenza di una violazione del c.d. merito creditizio e, in generale, degli obblighi di correttezza e diligenza professionale. Aggiunse il primo giudice che in base alla documentazione prodotta dall’opponente non risultava provato che la stipulazione del contratto di mutuo avesse mutato significativamente la sua condizione economica, ovvero le avesse procurato un danno.
La Corte d’Appello di Cagliari -sezione distaccata di Sassari con sentenza pubblicata il 10.3.2023 rigettò l’appello proposto da NOME COGNOME e quello incidentale svolto da RAGIONE_SOCIALE compensando per 1/3 le spese del grado e ponendo il residuo a carico dell’appellante principale.
Osservò la Corte d’appello , per quanto ancora rileva in questa sede, che: la prova della stipulazione del contratto tra NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE era di natura documentale ed emergeva dalle stesse deduzioni dell’appellante , avendo la prima dichiarato di aver versato l’importo di euro 4.986 corrispondente a 36 rate di euro 138,50;
contrattualmente era prevista la possibilità per il mutuante di cedere il credito a terzi e la cessione intervenuta, documentalmente provata, era stata comunicata
alla debitrice il 20.10.2020, sì che non era rilevante la mancata pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 58 t.u.b. ;
il credito oggetto di richiesta monitoria era provato documentalmente nella sua composizione di capitale, interessi e spese sulla base del contratto di finanziamento e dell’estratto conto certificato , mentre le contestazioni svolte dall’opponente erano generiche e non investivano la correttezza della contabilizzazione.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre NOME COGNOME sulla base di due motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1326, comma quinto, cod. civ. e 58 t.u.b.
La ricorrente si duole che Corte d’appello ha erroneamente applicato l’art. 2697 c.c. per aver ritenuto provato il trasferimento in blocco di crediti da RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, nonostante: il mancato perfezionamento del contatto ex art. 1326, comma quinto, cod. civ. per difformità materiale ed oggettiva dell’accettazione rispetto alla proposta (nella prima pagina dell’accettazione si indica il numero di 341 pagine, a fronte delle 371 pagine di proposta); la mancanza della pubblicità prevista dall’art. 58 t.u.b. oltre che della comunicazione della cedente ; l’assenza nella proposta di cessione in blocco di riferimenti idonei ad individuare i rapporti ceduti in un determinato arco di tempo; l’irrilevanza de l «mero foglio» in calce alla proposta di cessione in blocco, dove pur compare il riferimento al rapporto in contestazione, in assenza di prova della sua provenienza e dell’allegazione al contratto di trasferimento dei crediti.
1.1. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
1.2. In ordine alla prospettata violazione dell’art. 2697 cod. civ. , mette conto richiamare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, ai sensi del quale la violazione di tale norma si configura se il giudice di merito applica la
regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (v., Cass., sez. un., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto; Cass., VI-3, 23 ottobre 2018, n. 26769; sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313; 15 ottobre 2024, n. 26739).
La Corte d’appello nel pervenire alla sua decisione ha indicato gli elementi di natura documentale offerti dall’appellata in primo grado, in base ai quali ha ritenuto provata la cessione del credito nei confronti della ricorrente e l’irrilevanza dell’assenza dell’adempimento pubblicitario previsto dall’art. 58 t.u.b., a fronte dell’intervenuta comunicazione diretta al debitore ceduto ai sensi dell’ art. 1264 cod. civ.
In particolare, si legge a pagina 3 (da riga 14) che ‘ le parti avevano espressamente previsto la possibilità per il mutuante di cedere il credito, come risulta dall’art. 7 delle condizioni generali di prestito (‘ la Cofidis potrà cedere il presente contratto o i diritti da esso derivanti con le relative garanzie dandone comunicazione scritta al Cliente ai sensi di legge’ ), la cessione de qu(a) risulta documentalmente provata e ritualmente comunicata all’odierna appellante. Difatti, quanto al contratto di cessione, risulta in atti la proposta di cessione con la relativa accettazione (cfr. doc. 3 fascicolo monitorio e doc. 10 fascicolo parte opposta) nonché l’elenco dei crediti ceduti fra i quali è inserito al n. 112258 quello della Derosas (cfr. doc. 11). Risulta, inoltre, allegata agli atti anche la comunicazione della cessione del credito e, in specie, la raccomandata in data 20.10.2020 ricevuta dall’appellante il successivo 21.10.2020 (cfr. doc. 4), talch é la stessa deve ritenersi regolarmente perfezionata ed opponibile alla Derosas ‘.
Nel pervenire a tale decisione la Corte d’appello ha fatto puntuale applicazione del principio di diritto enunciato da Cass., sez. I, 20 settembre 2020, n, 20495, richiamata espressamente, in base al quale ‘L’art. 58, comma 2, del d.lgs., n. 385 del 1993 ha inteso agevolare la realizzazione della cessione «in blocco» di rapporti giuridici, prevedendo, quale presupposto di efficacia della stessa nei confronti dei debitori ceduti, la pubblicazione di un avviso nella
Gazzetta Ufficiale, e dispensando la banca cessionaria dall’onere di provvedere alla notifica della cessione alle singole controparti dei rapporti acquisiti. Tale adempimento, ponendosi sullo stesso piano di quelli prescritti in via generale dall’art. 1264 c.c., può essere validamente surrogato da questi ultimi, e segnatamente dalla notificazione della cessione, che non è subordinata a particolari requisiti di forma, e può quindi aver luogo anche mediante l’atto di citazione con cui il cessionario intima il pagamento al debitore ceduto, ovvero nel corso del giudizio’ (v., inoltre, già in precedenza Cass., sez. I, 17 marzo 2006, n. 5997).
1.3. Il motivo, altresì, si espon e al rilievo dell’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., là dove la ricorrente deduce profili non risultanti dalla sentenza impugnata: la non coincidenza tra il numero di pagine dell’accettazione rispetto a quello della proposta di cessione; l’assenza di prova circa la provenienza del «mero foglio» prodotto in calce alla proposta.
Secondo un indirizzo costante di questa Corte (v., indicativamente, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 1° luglio 2024, n. 18018; Sez. Un., 29 gennaio 2024, n. 2607; 17 febbraio 2023, n. 5131; 23 settembre 2021, n. 25909; 24 gennaio 2019, n. 2038; 13 giugno 2018, n. 15430; 28 luglio 2008, n. 20518), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (v., Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804; 24 gennaio 2019, n. 2038; 9 agosto 2018, n. 20694; 18 ottobre 2013, n. 23675). In quest’ottica, la parte ricorrente ha l’onere -nella specie rimasto assolutamente inadempiuto -di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado (v., Cass. 10
maggio 2005, n. 9765; 12 settembre 2000, n. 12025). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito (v., Cass. 13 settembre 2007, n. 19164; 9 luglio 2013, n. 17041; 25 ottobre 2017, n. 25319; 20 maggio 2018, n. 20712; 6 giugno 2018, n. 14477).
Nella specie, essendo le prospettazioni sopra riferite basate su circostanze fattuali, è palese che si sarebbe dovuto indicare se, dove e come il giudice di appello ne fosse stato investito, ma di un tanto non vi è traccia nel ricorso, né nella sezione dedicata allo svolgimento del processo, nel corpo del motivo.
Con il secondo motivo è denunciata ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2697, 2729, 2726 e 1832 c.c. e art. 50 tub), in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3) c.p.c.’.
La ricorrente censura la decisione della Corte d’appello, là dove ha ritenuto provata, in mancanza dell’atto di quietanza o della ricevuta di bonifico, l’erogazione del mutuo, il perfezionamento del contratto e l’insorgere del credito. Erroneamente è stata ritenuta raggiunta la prova dell’erogazione de l denaro sulla base della dichiarazione del mutuatario di aver pagato un certo numero di rate, ma la valutazione presuntiva operata dal giudice di secondo grado, diversamente da quanto previsto dall’art. 2729 cod. civ. , non poggia su una pluralità di elementi gravi, precisi e concordanti. Peraltro, l’unico elemento valorizzato si legava alla grave condizione di sovraindebitamento della ricorrente, che per il suo ricorso ‘psicotico e compulsivo’ al credito non era nelle condizioni di far chiarezza tra i numerosi rapporti accessi.
Inoltre, erroneamente alla base della decisione era stato posto ‘l’estratto conto certificato in atti ‘, sebbene NPL RAGIONE_SOCIALE s.p.a. non fosse munita del potere di autocertificazione ex art. 50 t.u.b., né potesse farsi applicazione dell’art. 1832 cod. civ., trattandosi di norma riferita al contratto di conto corrente.
2.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Richiamato quanto detto nel paragrafo 1.2. a proposito della modalità in cui è possibile prospettare la violazione dell’art. 2697 cod. civ. , la quale si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, la Corte d’appello nel pervenire alla sua decisione ha indicato gli elementi di natura documentale, in base ai quali ha ritenuto provata la conclusione del contratto (v. pagina 2 della motivazione ultimo capoverso) e l’entità del credito preteso in via monitoria (v. pagina 4, terzo, quarto e quinto capoverso, della motivazione).
Anche in tale circostanza, pur richiamando la motivazione indicata dalla Corte d’appello in ordine all’entità del credito azionato , la ricorrente non la investe in alcun modo, ossia non enuncia un contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, limitandosi a sostenere che non sarebbero stati provati ‘l’erogazione del mutuo dal mutuante al mutuatario e quindi il perfezio namento del contratto e l’insorgere del credito, in mancanza dell’atto di quietanza o della ricevuta di bonifico’ , senza aggredire le specifiche motivazioni rese dal giudice d’appello (quanto alla conclusione del contratto , pagina 2 ultimo capoverso; quanto all’entità del credito in contestazione, pagina 4, terzo, quarto e quinto capoverso).
La ricorrente, pertanto, ha prospettato la censura in termini non aderenti alla sentenza impugnata, di qui l’inammissibilità del motivo dovendosi senz’altro dare seguito ai consolidati principi di diritto, in base ai quali ‘La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al «decisum» della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, comma primo, n.4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio» (v., Cass., sez. 6-I, 7 settembre 2017, n. 20910); ‘La proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono
rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.’ (v. , Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074; sez. VI-I, 7 settembre 2017, n. 20910).
2.2. La ricorrente denuncia, altresì, la violazione dell’art. 2729 cod. civ. , ma lo fa erroneamente, posto che la Corte d’appello non ha fondato la decisione in ordine al perfezionamento del contratto sulla base di un ragionamento presuntivo , ma alla luce del ‘contratto finanziamento allegato come doc. 1 alla comparsa di costituzione in primo grado’ (pagina 2 ultimo capoverso della motivazione), nonché delle deduzioni della appellante , ‘la quale allegava a pagina 6 dell’atto di opposizione di aver versato 36 del mutuo («Ella ha infatti versato le seguenti somme : € 4986 salvo errore coincidente con il pagamento di 36 rate per € 138.50 ») ‘ (pagina 3, primo capoverso, della motivazione); ‘ Invero, a fronte dell’indubbia stipulazione del contratto e della consegna delle somme mutuate -posto che la RAGIONE_SOCIALE ammetteva di avere provveduto a restituire una parte delle rate dovute e, quindi, della sussistenza dell’obbligo di restituzione delle stesse in capo alla debitrice secondo le specifiche previsioni negoziali in punto di interessi, spese e rateizzazione del credito, era onere della debitrice allegare e provare i fatti estintivi della relativa obbligazione’ (v. pagina 4, quinto capoverso, della motivazione).
2.3. Da ultimo, la ricorrente deduce profili non risultanti dalla sentenza impugnata: la sua condizione di sovraindebitamento, che per il suo ricorso ‘psicotico e compulsivo’ al credito non era nelle condizioni di far chiarezza tra i numerosi rapporti accessi; ‘l’estratto conto certificato in atti’ .
Anche in questo caso, come già detto a chiusura del paragrafo 1.3., in presenza di prospettazioni basate su circostanze fattuali, si sarebbe dovuto indicare se, dove e come il giudice di appello ne fosse stato investito, ma di un tanto non vi è traccia nel corpo del ricorso, né nella sezione dedicata allo svolgimento del processo, né nel motivo.
3. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte