Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30138 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30138 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/11/2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al N. 18254/2022 R.G., proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 54/2022 pubblicata il
10.1.2022;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 26.9.2025 dal AVV_NOTAIO relatore AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE -già conduttrice in locazione ad uso commerciale di un capannone industriale sito in Anzola dell’Emilia, dal quale era stata sfrattata per morosità, in data 28.10.2010, a seguito di convalida -convenne in giudizio la propria RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Tribunale di Bologna, esponendo che parte dei beni di essa conduttrice erano rimasti custoditi nel suddetto capannone, dopo l’esecuzione dello sfratto; che il 5.11.2010 si era sviluppato un violento incendio, di natura dolosa; che la relativa indagine penale era stata archiviata; che essa conduttrice aveva stipulato contratto di assicurazione all risk con la RAGIONE_SOCIALE convenuta; che la richiesta di indennizzo inoltrata, anche per il furto della merce subito in occasione dell’incendio, non era stata riscontrata. Ciò posto, la società chiese la condanna della convenuta al pagamento della somma di € 410.532,89, pari all’importo dei danni causati dall’incendio e dal furto.
Si costituì la RAGIONE_SOCIALE, assumendo di avere proposto opposizione alla archiviazione in sede penale e chiedendo quindi disporsi preliminarmente la sospensione del procedimento civile. Nel merito, contestò la sussistenza della copertura assicurativa, richiamando l’art. 8 delle condizioni generali di polizza, che escludeva l’indennizzabilità dei danni in caso di comportamento doloso o comunque non cristallino dell’assicurato , posto che la società attrice aveva quantificato i danni sulla base di una perizia di parte del tutto inattendibile, perché svolta dal perito sui dati tratti dal programma di gestione del magazzino e sulle dichiarazioni della stessa parte interessata. La convenuta rilevò, poi, altre circostanze denotanti, in thesi , il sospetto della sussistenza del dolo in capo alla
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attrice, e concluse per il rigetto della domanda, nonché per la condanna della attrice per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.
Il Tribunale di Bologna respinse la domanda attorea con sentenza del 9.9.2014, per non aver l’attrice fornito la prova del danno, atteso che: 1) la merce rimasta nel magazzino era sostanzialmente priva di valore, come risultava dalla dichiarazione liberatoria del 4.11.2010, rilasciata al custode giudiziale geom. NOME COGNOME da tale NOME COGNOME, dalla stessa società incaricata di rappresentarla in sede di esecuzione dello sfratto, nel verbale di consegna in pari data; 2) comunque non risultava l’esistenza di merce nel magazzino, al momento del sinistro, né poteva desumersi il suo valore, e ciò anche in relazione agli arredi e ai macchinari asseritamente relitti.
RAGIONE_SOCIALE propose gravame e, nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 10.1.2022, lo rigettò. Osservò la Corte felsinea che , anzitutto, era fondata l’eccezione di inammissibilità del primo motivo d’appello (relativo alla mancata ammissione delle prove orali richieste dall’assicurata in primo grado) per difetto di specificità ex art. 342 c.p.c., non essendosi indicata la rilevanza e la decisività delle istanze stesse in ordine alla soluzione delle controversia; che comunque i restanti motivi -tutti attinenti alla omessa o erronea valutazione delle prove documentali, e alla rilevanza della dedotta falsità della suddetta dichiarazione liberatoria, con riguardo alla finale valutazione del primo giudice circa il difetto di prova del danno -erano infondati, posto che non era possibile stabilire con precisione ‘ quali e quanti beni, e di che valore, fossero ancora custoditi nel capannone quando è stato appiccato l’incendio ‘ , tanto non potendo desumersi né dalle fotografie scattate dopo
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l’incendio , né dalla perizia di parte, fondata su dati unilaterali privi di efficacia probatoria, mentre dalla relazione dei VV.FF. intervenuti in loco risultava trattarsi di ‘ incendio di capi di abbigliamento in modesta quantità ‘ (così la sentenza impugnata, pp. 5 e 6).
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta di quattro motivi, cui resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, che ha pure depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo si denuncia ‘ NOME in procedendo – violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 cpc sulla valutazione di inammissibilità del motivo di appello sub A dell’atto di appello redatto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE ‘. Si sostiene che, in realtà, era stata prodotta copiosa documentazione atta a smentire la dichiarazione liberatoria rilasciata dalla COGNOME al geom. COGNOME, emergendo da essa -e ‘ dalle deduzioni testimoniali ‘ che con la stessa si intersecavano -fatti incompatibili con quanto apparentemente dichiarato dalla propria incaricata (che aveva avanzato, contro il custode giudiziale, apposita denuncia penale per l’alterazione postuma del verbale) . Si trattava, dunque, di fatti decisivi ai fini della soluzione della controversia, che essa società aveva articolato nella propria memoria istruttoria del 7.10.2013, sicché essa aveva specificamente criticato la decisione del primo giudice di non procedere al chiesto approfondimento istruttorio, senza tuttavia adottare alcuna motivazione.
1.2 -Con il secondo motivo si denuncia ‘ NOME in procedendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 4 cpc e art 360 comma 1, n 5 c.p.c. ‘, per aver la Corte d’appello adottato la decisione in assenza degli atti di parte (faldoni nn. 1, 2 e 3) prodotti con la citata memoria istruttoria del 7.10.2013, come si desume dal fatto che, allorché essa società ritirò il proprio fascicolo di parte del giudizio d’appello, dopo la pubblicazione della sentenza, detti faldoni non erano allo stesso acclusi. La Corte felsinea, dunque, avrebbe dovuto ricercare detti documenti, anziché decidere senz’altro la causa , omettendo di attivare i propri poteri istruttori al riguardo.
1.3 -Con il terzo motivo si lamenta ‘ NOME in Judicando – violazione e falsa applicazione art. 112 cpc in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. ‘ , per aver la Corte territoriale ritenuto l’applicabilità dell’art. 8 delle condizioni generali di contratto , benché nei propri scritti difensivi la RAGIONE_SOCIALE non avesse mai chiesto di accertarne i presupposti, ma solo di rigettare la domanda attorea per carenza di prova e, in subordine, la liquidazione nei limiti del giusto e del provato. Tanto è avvenuto, secondo la ricorrente, mediante l’esame di un documento la sentenza del Tribunale penale di Bologna depositata in data 25.7.2018 nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, inammissibilmente prodotta dalla RAGIONE_SOCIALE con la comparsa conclusionale del 5.7.2021, senza però aver mai chiesto di essere rimessa in termini.
1.4 -Con il quarto motivo si denuncia ‘ NOME in Iudicando – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., – omessa pronuncia sui punti F e H del gravame attoreo ‘ , rispettivamente concernenti la stima dei macchinari e degli arredi relitti, nonché la valutazione della dichiarazione liberatoria della COGNOME, con riguardo agli stessi. Si sostiene che
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la decisione d’appello sia stata emessa con esclusivo riferimento alle merci di abbigliamento, senza recare alcuna pronuncia su macchinari e arredi presenti nel capannone al momento dell’incendio.
1.5 -Con il quinto motivo, infine, si denuncia ‘ NOME in Iudicando – violazione e falsa applicazione dell’art 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, c p. c. omessa e contraddittoria motivazione della sentenza ‘. Sussisterebbe, secondo la ricorrente, una intrinseca contraddizione tra l’affermazione secondo cui il verbale del 4.11.2010 non avrebbe rilevanza probatoria, giacché l’assicurata non ha comunque fornito la prova del fatto costitutivo della propria pretesa, e quella per cui detto verbale avrebbe piena efficacia probatoria, non essendo stata proposta querela di falso ex art. 221 c.p.c.
2.1 -Il primo motivo è inammissibile sotto plurimi profili ed è comunque infondato.
Anzitutto, la ricorrente non riproduce (né riassume) il contenuto dell’ordinanza riservata del 18.2.2014, con cui il Tribunale non ammise -a dire della ricorrente, senza alcuna motivazione -le istanze istruttorie. Il che, a fronte della decisione d’appel lo per cui, con detta ordinanza, il Tribunale ritenne implicitamente l’irrilevanza delle istanze avanzate dalla società odierna ricorrente, implica la violazione del l’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis .
In secondo luogo, la ricorrente non riproduce esattamente il capitolato orale non ammesso, né indica i testi che avrebbero dovuto escutersi, con ciò non consentendo a questa Corte di valutare la potenziale decisività della censura
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366, primo comma, n.
dalla sola lettura del ricorso, ancora in violazione del l’art. 6, c.p.c., ut supra .
Inoltre – posto che la C orte d’appello ha ritenuto sussistere una statuizione implicita del primo giudice sulla irrilevanza dei capitoli di prova articolati, da tanto facendo discendere la mancanza di specificità dell’appello -, la ricorrente avrebbe dovuto confrontarsi con tale percorso decisorio, rilevando o che nessuna statuizione implicita era configurabile, o al limite che tale statuizione era errata, perché i fatti erano rilevanti ai fini della decisione.
La ricorrente non ha fatto né l’una né l’altra cosa : la prima, perché non ha colto la ratio decidendi dell’impugnata sentenza ; la seconda perché, se l’avesse fatto, avrebbe finito col ‘confessa re ‘ che effettivamente il proprio appello era aspecifico, in quanto fondato sulla tesi della totale mancanza di motivazione al riguardo, da parte del Tribunale.
2.2 In ogni caso, il motivo appare comunque infondato, perché effettivamente il primo motivo d’appello è del tutto aspecifico , in violazione dell’art. 342 c.p.c., come ritenuto dalla Corte felsinea.
Infatti, la motivazione resa dalla Corte territoriale evocata nel mezzo in esame concerne un primo motivo d’appello assunto con riferimento alla mancata ammissione delle prove orali dedotte in primo grado e, sul punto, non discute affatto di documenti. La sentenza, a pag. 3, allude dunque al primo motivo (quello sub ‘A’) nei suddetti termini , evocando l’ordinanza istruttoria del primo giudice.
Ora, il motivo riporta una rubrica corrispondente e allude all’omessa istruttoria ed anche a ll’omesso esame di documenti. La motivazione censurata non allude
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invece ai documenti e, dunque, la valutazione di violazione dell’art. 342 c.p.c. risulta pienamente fondata quanto alle istanze istruttorie orali, dato che nel motivo non risulta minimamente criticata l’ordinanza istruttoria, con riguardo alla rilevanza delle dette istanze. L’allusione che, nel motivo in esame, si fa ai documenti avrebbe semmai richiesto (non riferendosi la motivazione assunta a critica ai documenti) la deduzione del vizio ai sensi dell’art. 112 c.p.c.; peraltro , la ricorrente avrebbe pure dovuto fare i conti con l’indicazione , contenuta sempre a pag. 3 della sentenza, del motivo sub ‘ B ‘ , che viene descritto come relativo a documenti.
Infine, la deduzione del la pretesa violazione dell’art. 2697 c.c. è incomprensibile, posto che si censura la motivazione resa dal giudice d’appello ex 342 c.p.c.
4.1 -Il secondo motivo è inammissibile.
Anzitutto, le norme rubricate non sono pertinenti rispetto al vizio che si denuncia (ossia, l’aver la Corte d’appello deciso la causa senza avere la disponibilità di alcuni faldoni, contenenti parte della documentazione prodotta): non risultano per nulla pertinenti, infatti, né l’art. 2729 c.c. (sulla prova indiretta), né gli artt. 115 e 116 c.p.c.
A tutto concedere, la violazione dell’art. 115 c.p.c. avrebbe pure potuto configurarsi -ad assumere per vero e provato il descritto smarrimento dei faldoni in parola – ma sul presupposto che una o più prove offerte dalla parte ed ivi contenute fossero state invece ritenute come non offerte, e sempre che la questione fosse stata oggetto di discussione tra le parti; altrimenti, così come prospettato dalla società, si tratterebbe di un vizio revocatorio ex art. 395 n. 4 c.p.c., vieppiù inammissibile in questa sede di legittimità.
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Tuttavia, il mezzo non spiega comunque quale tra i tanti documenti rientrerebbe in detta casistica e in che modo la C orte d’appello sarebbe incorsa in detto errore. Si aggiunga, infine, che la prospettazione del motivo è meramente congetturale: tutta la vicenda ivi descritta costituisce una mera supposizione, tratta dal mancato rinvenimento dei faldoni all’atto del ritiro del fascicolo di parte dopo la pubblicazione della sentenza d’appello, ma nulla è dimostrato circa l’assenza di disponibilità di detti faldoni, da parte della Corte territoriale , all’atto della decisione.
5.1 -Il terzo motivo è inammissibile, anzitutto perché la C orte d’appello fa riferimento sia alla sentenza penale di primo grado in danno dei responsabili della società ricorrente, sia a quella d’appello (che ha pronunciato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, con conferma delle statuizioni civili), su cui la ricorrente nulla osserva.
In secondo luogo, il mezzo è inammissibile perché la questione delle vicende penali è solo uno degli argomenti utilizzati dalla C orte d’appello a conferma del comportamento scorretto della società, ma non l’unico, sicché anche a non prenderla in considerazione -l’esito della decisione non muterebbe: la censura, dunque, è priva di decisività.
Peraltro, occorre pure evidenziare che la Corte territoriale, nella sostanza, neppure ha posto a fondamento della decisione le statuizioni penali, avendo rilevato che non c’era certezza sul loro passaggio in giudicato. E quindi, a ben vedere, la sua notazione non integra neppure una vera e propria ratio decidendi .
6.1 -Il quarto motivo è anzitutto inammissibile, perché in esso si fa in realtà riferimento ad una congerie di prove documentali indicate solo genericamente,
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e perché nella sostanza -ad onta della pretesa mancata pronuncia su due motivi d’appello – si lamenta l ‘ erronea valutazione delle prove, riservata al giudice di merito ex art. 116 c.p.c., e giustiziabile in questa sede nei ristretti limiti già segnati da Cass. n. 11892/2016 (confermata da Cass., Sez. Un., n. 20867/2020, e successiva giurisprudenza conforme), che il mezzo non rispetta.
In ogni caso, il motivo è infondato, perché la statuizione della Corte felsinea concerne non solo la mancata prova del valore della merce, ma in generale dei beni relitti custoditi nel capannone, dunque anche degli arredi e dei macchinari (p. 6).
7.1 -Il quinto motivo, infine, è infondato.
La C orte d’appello -senza incorrere in nessuna contraddizione -dapprima ha evidenziato che la congerie di documenti offerti dalla società non era comunque idonea a dimostrare l’entità del danno, pur a prescindere dall’utilizzo del verbale del custode giudiziario del 4.11.2010, da cui risulta la contestata dichiarazione liberatoria della COGNOME.
Successivamente, ha affermato che, in ogni caso, la valenza probatoria ex art. 2700 c.c. del verbale in parola non è stata adeguatamente avversata e che dunque detto documento spiega piena efficacia (è da intendersi: quanto al fatto che la COGNOME rese effettivamente quella dichiarazione liberatoria ivi riportata), confermando il risultato probatorio già aliunde acquisito.
Come è evidente, si tratta di argomenti che affrontano la questione della prova dell’entità del danno da prospettive diverse, ma convergenti, senza che possa configurarsi al riguardo alcuna aporia logica.
8.1 -In definitiva, il ricorso è rigettato.
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Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso, può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di .000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre lite, che liquida in € 9 rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 26.9.2025.
Il Presidente NOME COGNOME