Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20702 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20702 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3212/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
MIGLIETTA
NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI TARANTO n. 375/2020 depositata il 09/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
1.- NOME COGNOME, premesso di aver ceduto a NOME COGNOME le quote di una società di ristorazione, ha agito nei confronti di quest’ultima per ottenere la restituzione di una somma data al proprietario dei locali in cui la società di ristorazione gestiva la sua attività, e ciò a garanzia del pagamento dei canoni.
In quel giudizio NOME COGNOME ha eccepito la nullità dell’atto introduttivo, con eccezione rigettata però dal Tribunale di Taranto che invece ha accolto la domanda della NOME di restituzione della somma.
La stessa domanda di restituzione di quella somma era stata proposta dalla COGNOME, in via riconvenzionale, nel giudizio intentato dalla proprietaria dei locali e finalizzato allo sfratto per morosità della società di ristorazione che quei locali aveva in locazione.
Quel giudizio, ripreso a seguito di annullamento con rinvio della Corte di Cassazione, e’ stato definito dalla Corte di appello di Lecce con sentenza del 06/02/2018, che ha rigettato la domanda riconvenzionale sul presupposto che il cedente, in questo caso NOME COGNOME, rimaneva obbligata per i debiti della società ceduta nei confronti del proprietario locatore.
1.1.Ha proposto appello NOME COGNOME, ma l’impugnazione è stata interamente rigettata dalla Corte di appello di Taranto.
1.2.- Avverso tale decisione ricorre dunque NOME COGNOME con sei motivi di censura. Si è costituita NOME COGNOME con controricorso.
Ragioni della decisione
2.La ratio della decisione impugnata.
La Corte d’appello, dopo avere ritenuto che il ricorso introduttivo in primo grado è stato notificato ritualmente, esclude che ci sia litispendenza tra questo procedimento e quello di cui si è detto prima, avente ad oggetto lo sfratto per morosità e nel quale, come si è visto, la COGNOME aveva proposto domanda riconvenzionale per la restituzione della cauzione o della fideiussione da lei rilasciata. Ciò in quanto quella domanda riconvenzionale, secondo il giudice d’appello, era stata rigettata con una motivazione in rito, ossia per essere stata ritenuta inammissibile, e dunque senza alcun accertamento nel merito suscettibile di passare in giudicato.
Nel merito, invece, la Corte d’appello ha ritenuto di dover confermare la decisione impugnata semplicemente sulla base del fatto che la convenuta COGNOME non ha contestato la documentazione prodotta nei suoi confronti, né l’ha disconosciuta e dunque è come se avesse ammesso o riconosciuto il debito, con conseguente inversione dell’onere della prova a suo carico.
Va anzitutto affrontato il secondo motivo di ricorso il quale, prospettando una violazione degli articoli 140 e seguenti del codice di procedura civile, ripropone la questione della nullità della notifica dell’atto introduttivo e dunque ripropone una questione che, attenendo alla regolare instaurazione del procedimento, è certamente pregiudiziale rispetto alle altre.
La tesi della ricorrente è che, a differenza di quanto assunto dal giudice di secondo grado, il procedimento di notifica ex articolo 140 cpc non è stato affatto rispettato, posto che manca la data di spedizione dell’avviso ed inoltre quest’ultimo risulta consegnato al portiere e mai sottoscritto dalla destinataria: portiere che peraltro non è neanche chiaramente identificato.
Il motivo è inammissibile.
Esso infatti non denuncia una violazione del procedimento di notifica previsto dall’articolo 140 cpc, bensì un travisamento dei
fatti accaduti durante quella notifica: della data della spedizione, che peraltro il giudice d’appello rileva essere presente mediante timbro postale, della esistenza di un portiere e via dicendo: tutti fatti che, se assunti come erroneamente accertati o dichiarati, avrebbero dovuto portare ad una querela di falso anziché ad una contestazione del loro fondamento fattuale, che peraltro in Cassazione è inammissibile.
Ciò posto, hanno rilievo assorbente il primo ed il quinto motivo che, sebbene appaiano contenere censure diverse, sono in realtà connessi per quello che si dirà.
3.1.- Il primo motivo infatti prospetta violazione degli articoli 112 e seguenti del codice di procedura civile, nonché 118 delle disposizioni di attuazione.
La questione è la seguente.
Con l’appello, la ricorrente aveva evidenziato l’assoluta nullità della motivazione della decisione di primo grado, la quale conteneva argomenti disparati, del tutto irrilevanti rispetto al caso concreto. In particolare, si faceva questione di testamento olografo, di conversione del pignoramento, di un tale che era stato convenuto in giudizio dopo la sua morte, e via dicendo, secondo l’elenco contenuto alle pagine 9 e 10 del ricorso.
La ricorrente aveva pertanto eccepito che la decisione di primo grado, costituendo il frutto di sovrapposizione di argomenti irrilevanti, probabilmente relativi ad altre cause, doveva ritenersi irrimediabilmente nulla.
A fronte di ciò, il giudice di appello si è limitato all’astratta affermazione secondo cui la ratio della decisione era comunque evincibile dal contesto della motivazione.
3.2.- Il quinto motivo invece denuncia violazione dell’articolo 2697 codice civile e dell’articolo 112 codice di procedura civile. La questione posta dalla ricorrente è la seguente.
Dopo una serie di questioni di rito, il giudice di appello affronta il merito della causa, ritenendo fondata la domanda originaria in ragione del fatto che la convenuta non aveva contestato né disconosciuto i documenti prodotti nei suoi confronti.
Ritiene la ricorrente che questa motivazione non dà adeguato conto di cosa avrebbe ammesso lei, di quali documenti sono stati prodotti e che avrebbero dovuto essere contestati e disconosciuti, e dunque è motivazione apodittica, non sufficiente a dar conto della decisione.
I due motivi hanno una connessione logica per la seguente ragione. A fronte della censura mossa dal ricorrente in appello relativamente alla motivazione della decisione di primo grado, ed al fatto che essa fosse del tutto incomprensibile, oltre che costituita da argomenti estranei al caso concreto, il giudice di appello, che aveva il potere di integrare la motivazione rendendola adeguata a quel caso, e dunque rimediare alle omissioni e alle contraddizioni del giudice di primo grado, e che sembra consapevole di tale regola nel momento in cui a pagina 10 ne fa citazione, tuttavia la disattende.
E’ di tutta evidenza che l’integrazione di una motivazione ritenuta carente deve essere tale da poter supplire a quella carenza.
In questo caso invece la motivazione resa dalla Corte d’appello è del tutto insufficiente a costituire una spiegazione della decisione assunta.
Tale motivazione infatti si riduce alle seguenti espressioni: che la domanda deve essere accolta in quanto la convenuta ‘non ha mai accettato il contraddittorio in ragione della mancata instaurazione del contraddittorio nei suoi confronti’, salvo a proseguire che ‘posto che, come rilevato innanzi, il giudizio è stato correttamente introdotto nei confronti della parte convenuta e che la stessa non ha contestato e disconosciuto la documentazione prodotta dall’attrice, neppure in via gradata al mancato accoglimento delle
sue eccezioni, la stessa deve ritenersi riconosciuta e pertanto esulante dal thema probandum’.
Da un lato, si afferma dunque che la convenuta non ha accettato il contraddittorio e, dall’altro, che non ha contestato e disconosciuto la documentazione prodotta nei suoi confronti, dove la mancata accettazione del contraddittorio è comportamento incompatibile con la non contestazione dei fatti.
Ma soprattutto, non risulta chiaro se il giudice di merito ha basato la sua decisione sul fatto che la convenuta ha riconosciuto il debito, caso nel quale l’onere della prova si è invertito a suo carico- ed a tale effetto sembra fare riferimento quando, a pagina 9, si legge di una ‘erronea inversione dell’onere della prova dei fatti posti a fondamento della domanda’ -, oppure se ha basato la decisione sul principio di non contestazione, che invece come è noto, è cosa diversa dal riconoscimento di debito.
Inoltre, a prescindere dal difetto di motivazione, vi è chiaramente, come denunciato con tale motivo, una violazione oltre che dell’articolo 2697 c.c., altresì dell’articolo 115 del codice di procedura civile, nella parte in cui consente al giudice di porre a base della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita.
Ed invero, non è affatto detto quali erano i documenti prodotti e di cui la convenuta aveva l’onere del disconoscimento, e se tali documenti indicassero fatti da contestare, ed in cosa sia consistita la mancata contestazione.
Ciò a fronte del fatto che la questione dirimente non era tanto probatoria, quanto giuridica, e consisteva nello stabilire se il cedente di una società, e dunque di un contratto di locazione, in cui quella società risulta conduttrice, possa pretendere o meno la restituzione della somma data a garanzia a favore del locatore, oppure se rimanga obbligata in solido con la cessionaria.
Ed è di tutta evidenza che questa questione giuridica non può essere risolta sostenendo che il convenuto non ha contestato la documentazione prodotta nei suoi confronti, ma è piuttosto necessario che si dica se sulla base della documentazione prodotta, contestata o meno che fosse, il cedente aveva il diritto di recuperare la garanzia oppure no. Nel senso che la questione era se quei documenti, ancorché non contestati, dessero o meno diritto alla restituzione della somma.
Viceversa, se quella restituzione si ricava da un riconoscimento di debito, occorre che si indichi in quale atto o comportamento concludente esso è ravvisabile.
Gli altri motivi rimangono conseguentemente assorbiti.
La decisione va cassata con rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il quinto motivo di ricorso, rigetta il secondo, dichiara assorbiti gli altri. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d ‘A ppello di Lecce, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 16/04/2024.