Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2410 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2410 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9385/2021 proposto da:
U.B.RAGIONE_SOCIALEp.a., in persona del legale rappres. p.t., rappres. e di fesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
AZIENDA RAGIONE_SOCIALESULMONALRAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappres. p.t., rappresenta e d ifesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 1291/2020 della Corte d’appello di L’Aquila, pubblicata il 30.09.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14.01.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza del 30.9.2020, la Corte d’appello di L’Aquila rigettava l’appello proposto dall’U .RAGIONE_SOCIALE, nei confronti dell’ASL n.1 -Avezzano, l’Aquila, Sulmona – avverso la sentenza emessa dal Tribunale di L’Aquila depositata il 22.12. 2015 con la quale, in accoglimento dell’opposiz ione monitoria della suddetta ASL, erano stati revocati i decreti ingiuntivi emessi a favore dell’appellante – quale cessionaria del credito maturato a favore dell’INI Canistro (Casa di cura convenzionata con l’Inps), rigettando le domande di pagamento di somme a titolo di corrispettivo delle prestazioni sanitarie rese in favore dei cittadini della Regione Abruzzo e di altre Regioni, in forma di contratto di convenzione.
Al riguardo, il Tribunale argomentava dalla mancata prova, da parte dell’opposta, dell’effettiva sussistenza del credito, a fronte d ella contestazione del debitore il quale aveva dimostrato, nel contempo, l’effettivo, integrale e corretto svolgimento delle prestazioni riportate nelle fatture emesse.
L a Corte d’appello osservava che: il Tribunale aveva correttamente ritenuto la mancata prova delle prestazioni erogate, sia con riferimento a quelle ospedaliere che a quelle ambulatoriali (oggetto di due contratti, di cui ai due decreti ingiuntivi opposti); entrambi i contratti avevano sottoposto il credito a precise condizioni documentali per le prestazioni rese; in particolare, circa le prestazioni ospedaliere, il relativo contratto- sottoscritto il 19.4.2020- aveva stabilito un tetto di spesa e stringenti obblighi informativi e documentali, che
condizionavano la remunerabilità delle stesse prestazioni (nel senso che era prevista la verifica della valida effettuazione delle prestazioni fatturate e del rispetto del budget assegnato); per quelle di assistenza ambulatoriale specialistica- come da contratto del 4.1.2020-, le condizioni relative al sorgere del credito erano identiche a quelle del contratto del 19.4.2020; il Tribunale aveva ritenuto l’infondatezza della domanda con riferimento alle prestazioni per le quali le verifiche ispettiva contrattuali erano state negative (invio dei flussi informativi di legge; files informatici trasmessi su supporto informatico; elenco analitico delle prestazioni con le allegate autocertificazioni di regolarità contributiva e retributiva; attestazione di prestazione resa, etc.); il termine di pagamento (120 gg.) era infatti esplicitamente condizionato alla corretta compilazione e documentazione contemplata dai contratti; invero, la documentazione prodotta (indicata alla pag. 8 del ricorso) non corrispondeva ai presupposti contrattuali; parimenti, tale onere probatorio non era da considerare assolto sulla base dei documenti forniti dall’appellata, tenuto altresì conto che la deliberazione 731/2010 dell’Asl n.1 aveva dava conto delle ragioni delle decurtazioni operate al le richieste economiche dell’appellante per le prestazioni di ricovero ospedaliero, con la conseguente rideterminazione dell’importo dovuto a saldo; tali decurtazioni riguardavano il mancato riconoscimento di prestazioni rese in difformità dalle disposizioni di legge e dalle deliberazioni del Commissario ad acta in ordine ad alcuni DRG (acronimo che indicava il raggruppamento omogeneo di diagnosi, cioè un sistema di classificazione per categorie omogenee dei pazienti ospedalizzati, ad alto rischio d’inappropriatezza se attuati in regime di degenza ordinaria tanto da indurre ad un ricalcolo delle prestazioni rese, così come correttamente riportato nella deliberazione del direttore generale n.713 del 9.5.2011 relativamente al DRG 323 ove
all’importo delle prestazioni interregionali era stato decurtato l’importo di euro 415.936,43 e all’importo di quelle extraregionali per la somma di euro 528.470,50) ; sarebbe stato pertanto onere dell’appellante dimostrare che le prestazioni rese fossero tutte da remunerare nella misura intera richiesta, con la specifica loro riconduzione ad uno dei DRG ove il ricovero ordinario era d a considerare inappropriato; d’altra parte, la deliberazione 770/2010 attestava il superamento del budget di spesa per le prestazioni ambulatoriali rese in favore dei cittadini provenienti da regioni diverse dall’Abruzzo; pertanto, il difetto di documentazione relativamente alla mancanza di coincidenza tra i dati trasmessi e l’ammontare delle fatture era contestato dall’Asl, anc he in ordine al corrispettivo addebitato, considerando il diritto allo sconto del 20% previsto dalla l. 296/2006 sulle prestazioni di diagnostica di laboratorio.
La RAGIONE_SOCIALE– quale cessionaria dei crediti maturati dalla struttura convenzionata- ricorre in cassazione, avverso la suddetta senten za d’appello, con due motivi, illustrati da memoria. L’Asl resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli art. 2697 c.c., 112, 115, 116, c.c., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., per avere la Corte d’appello invertito l’onere probatorio tra le parti, ritenendo che il ricorrente dovesse provare i fatti costitutivi del diritto fatto valere, senza invece considerare che tale prova era già desumibile dai documenti prodotti dall’Asl, dalla stessa Corte non correttamente valutati.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 115 c.p.c., ed omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, per non aver la Corte d’appello applicato il principio di non contestazione riguardo
alle circostanze di fatto allegate negli atti depositati, peraltro attribuendo alla documentazione prodotta dall’Asl natura satisfattoria del credito vantato dall’U .b.i. Factor.
In particolare, la ricorrente assume che: il credito oggetto dei decreti ingiuntivi non era stato contestato, di fatto confermato dalle deliberazioni dell’Asl n. 713/11 e n. 770/1, ma i mandati di pagamento non riguardavano tutte le fatture oggetto delle stesse ingiunzioni; la Corte territoriale avrebbe dunque errato nel considerare contestato il credito inerente ad alcune fatture, omettendo di motivare sulla mancata contestazi one, eccepita in appello; la Corte d’appello avrebbe ancora erroneamente attribuito valenza estintiva ai mandati di pagamento prodotti dall’Asl, atteso che con la predetta deliberazione n. 713 la stessa Asl aveva riconosciuto che, rispetto al budget di euro 6.041.406,00, la produzione effettiva della Casa di cura cedente per le prestazioni extraregionali era pari a euro 5.603.192,58, al di sotto di quanto assegnato, comprensivo di varie fatture non pagate; i pagamenti risultanti dai mandati avevano dunque estinto poste creditorie che non erano quelle oggetto delle ingiunzioni opposte.
Il primo motivo è inammissibile. Invero, le censure tendono in sostanza al riesame dei fatti, ovvero contrappongono all’interpretazio ne dei fatti sviluppata nella sentenza impugnata una diversa interpretazione e valutazione dei documenti prodotti dall’Asl, considerati rilevanti dalla ricorrente.
Quest’ultima , in particolare, eccepisce che: le prestazioni extraregionali erogate dalla Casa di cura erano inferiori al tetto massimo della spesa dell’Asl e che l’unic a decurtazione effettuata da quest’ultima riguardava somma esigua, per cui nessun sforamento al riguardo gli era opponibile; la Corte d’appello non si sarebbe resa conto che i mandati
prodotti erano riferibili alle fatture oggetto dei decreti ingiuntivi solo per somme inferiori.
Infatti, si tratta di censure dirette al riesame dei fatti, prospettando diverse interpretazioni del contenuto dei documenti invocati, peraltro con difese che riguardano anche questioni nuove con riguardo al fatto che i mandati riguarderebbero anche spese non oggetto delle fatture a sostegno dei decreti opposti.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile. La ricorrente si duole di un erroneo esame dei documenti prodotti dall’Asl (le citate deliberazioni e i mandati di pagamento).
Va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., n. 6774/22; N. 1229/2019).
Inoltre, il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio
convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., n. 32505/2023).
Nella specie, le critiche riguardano solo la questione di una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dalla Corte d’appello, inerendo dunque solo al giudizio di fatto in ordine all’assolvimento dell’onere probatorio.
Le spese seguono la soccombenza
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di euro 10.200,00 di cui 200,00 per esborsi, e al pagamento delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio in data 14 gennaio 2024.