Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14429 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14429 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22304/2018 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE AMMINISTRATIVA, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
VISCONTI NOME
-intimata-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di ROMA n. 16581/2014 depositato il 15/05/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/04/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha presentato domanda di insinuazione al passivo della Succursale RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi E.P.G.) in Liquidazione coatta Amministrativa del credito dell’importo di € 182.428,00, vantato a titolo di controvalore dei titoli gestiti dalla predetta società in virtù di un contratto di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi, valore risultante dal rendiconto alla data del 15.4.2010 che E.G.P. aveva fatto pervenire all’istante.
Il G.D. del Tribunale di Roma ha rigettato la domanda di insinuazione al passivo sul rilievo che non risultava effettuato alcun investimento presso la Succursale italiana della E.P.G. e il nominativo dell’istante non era stato rinvenuto nella documentazione disponibile.
Il Tribunale, con decreto depositato il 15.5.2018, ha ammesso NOME COGNOME al passivo della predetta procedura per l’importo di € 182.428,00 con collocazione in chirografo.
Il giudice di merito ha evidenziato che l’opponente aveva fornito la prova dell’esistenza del rapporto negoziale, comprovato dal contatto di gestione di portafoglio di investimenti del 9.11.2009 e dal rendiconto alla data del 15.4.2010, documento che dimostrava, secondo la prassi operativa della società resistente, alla luce delle emergenze istruttorie, il complessivo ammontare delle risorse versate e investite da RAGIONE_SOCIALE, alla quale pervenivano a mezzo della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ che risultava aver rilasciato detta attestazione.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi.
L’intimata non ha svolto difese.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 12 Preleggi, 2697, 1362,1363 e 1366 c.c., 57 d.lgs. n. 58/1998, 87 d PR n. 385/1993 nonché l’omesso esame di fatto decisivo in relazione sia alla imputazione del debito alla Succursale ricorrente, sia alla liquidazione del credito nella misura indicata in dispositivo.
Espone la ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Roma, non vi era alcuna evidenzia istruttoria negli atti del giudizio di merito di una specifica operazione di investimento effettuata direttamente da RAGIONE_SOCIALE succursale per la sig.ra COGNOME tanto è vero che il documento, da cui il Tribunale aveva desunto l’ammontare del credito, proveniva direttamente dalla RAGIONE_SOCIALE e doveva pertanto essere oggetto di valutazione nella contestuale procedura liquidatoria incardinata in Francia.
La ricorrente lamenta la violazione delle norme di interpretazione contrattuale e del principio sull’onere della prova.
Il motivo è inammissibile.
L a ricorrente, con l’apparente doglianza della violazione di legge, muova, in realtà, mere censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti ed una rivisitazione della valutazione del materiale probatorio rispetto a quella operata dal Tribunale di Roma.
Palesemente inammissibile è la dedotta violazione delle norme di interpretazione contrattuale, essendo orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 9461/2021, vedi anche Cass. n. 16987/2018, Cass. n. 10554 del 30/04/2010, n. 22102 del
19/10/2009) quello secondo cui, onde far valere una violazione sotto tale profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’ inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa.
È proprio quanto avvenuto nel caso di specie, in cui la ricorrente si è limitata a dedurre la violazione delle norme di interpretazione contrattuale senza neppure precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito si sia discostato dai canoni legali di ermeneutica.
Parimenti inammissibile è la denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c., che è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni; e non, invece, laddove, come nella specie, oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n.13395/2018; conf. Cass. n. 18092/2020).
Infine, la ricorrente non ha neppure illustrato in che cosa sarebbe consistita la violazione delle leggi speciali indicate in rubrica di cui lamenta la violazione.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 115, 116, 167 e 246 c.p.c., nella parte in cui il giudice di merito ha ritenuto attendibile la deposizione del teste COGNOME non rilevando neppure l’incapacità dello stesso a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 c.p.c.., nonostante fosse socio illimitatamente responsabile, unitamente ad altri soggetti, della società di fatto qualificata come capogruppo di tre società RAGIONE_SOCIALE che (secondo la
ricostruzione della sentenza n. 614/2011 del Tribunale di Roma che ne aveva dichiarato il fallimento) operavano in sinergia con RAGIONE_SOCIALE nel settore della raccolta del risparmio e servizi di investimento senza essere munite delle autorizzazioni di legge.
Quanto al difetto di contestazione, rileva la ricorrente che la mancata contestazione deve essere sempre riferita, a norma dell’art. 115 c.p.c., alla parte costituita, non essendo consentita l’applicazione nell’ipotesi, come nel caso di specie, di processo contumaciale.
4. Il motivo è inammissibile.
L a ricorrente, nel dolersi dell’attendibilità del teste COGNOME ha inammissibilmente svolto una censura che involge una valutazione di fatto operata dal Tribunale di Roma, attività non consentita in sede di legittimità.
Parimenti inammissibile, per una pluralità di ragioni, è la dedotta violazione dell’art. 246 c.p.c.
In primo luogo, la ricorrente, nel descrivere il ruolo del teste COGNOME ha indicato circostanze di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata e che la stessa ricorrente non ha neppure dedotto di aver sottoposto all’esame del giudice di merito, come appartenenti al thema decidendum del giudizio di opposizione ex art. 98 L.F. (cfr. Cass. n. 22886/2022; Cass. n. 32804/2019; Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 13/06/2018).
In ogni caso, la ricorrente non ha dedotto di aver tempestivamente sollevato l’eccezione di incapacità a testimoniare del COGNOME nel giudizio di opposizione ex art. 98 L.F. prima della sua audizione, né di averla riproposta nell’immediatezza dell’assunzione e in sede di precisazione delle conclusioni prima della discussione della causa (vedi Cass. S.U. n. 9456/2023; Cass. n. 14178/2023).
Infine, quanto all’affermazione del decreto impugnato secondo cui le emergenze istruttorie in base alle quali era stato ritenuto sussistente il credito vantato dalla COGNOME non erano state
contestate, si tratta di argomentazione da considerarsi svolta ad abundantiam , e, quindi, priva di effetti giuridici e ininfluente ai fini della decisione.
Non si liquidano le spese di lite, non avendo l’intimata svolto difese.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 29.4.2025