Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8986 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8986 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
ORDINANZA
sui ricorsi iscritti al n. 29275/2021 R.G. proposti da:
-INPS, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente principale, controricorrente al ricorso successivo e al ricorso incidentale contro
–RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente successivo, controricorrente al ricorso principale, ricorrente incidentale-RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso il DECRETO del TRIBUNALE ROMA n. 3288/2021 depositato il 21/10/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Per quanto emerge dagli atti di causa, la vicenda si inquadra nell’operazione di gestione e dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici -tra i quali l’Inpdap, cui è succeduto l’Inps regolata dal d.lgs. n. 104/1996 (in attuazione della delega ex art. 3, comma 27, legge n. 335/1995).
In particolare, la gestione del patrimonio immobiliare dell’RAGIONE_SOCIALE venne affidato a società private specializzate sin dal 1996, e a marzo 2001 venne bandita una nuova gara d’appalto cui fece seguito, in data 31/1/2002, la sottoscrizione di una serie di contratti di appalto per vari lotti territoriali, tra i quali i contratti relativi ai lotti 7 e 8 con RAGIONE_SOCIALE (in R.T.I. con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), ora in Liquidazione coatta amministrativa.
Tra la pubblicazione del bando di gara e la sottoscrizione del contratto di appalto venne emanato il d.l. n. 351/2001, convertito dalla l. n. 410/2001, recante ‘Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare’, cui seguì, con decreto del Ministero dell’economia 30/11/2001, la ‘cartolarizzazione’ di una prima tranche del patrimonio immobiliare dell’Inpdap, trasferito in proprietà alla SCIP RAGIONE_SOCIALE ‘società veicolo’ appositamente costituita dal predetto Dicastero in vista della dismissione, con mantenimento della gestione in capo all’Inpdap. Di tale mutamento dell’assetto proprietario e delle possibili variazioni della consistenza immobiliare dei lotti territoriali si diede atto nel contratto di appalto del gennaio 2002, ferme restando le obbligazioni assunte dall’appaltatrice (ivi definita ‘affidataria’).
1.1. -La fase di chiusura del rapporto, contrassegnata da plurime contestazioni, venne formalizzata ad aprile 2014 e fu accompagnata da accordi e proroghe nella gestione di RAGIONE_SOCIALE fino a luglio 2004, con differimento al 31 dicembre 2004 del termine di validità delle garanzie contrattuali e a novembre 2004 del termine per la presentazione della relazione finale, che venne poi presentata a febbraio 2005 e modificata a luglio 2005, con un successivo prospetto di ‘ricostruzione dei flussi finanziari’ del 2
novembre 2005 da cui emergeva l’utilizzo, per l’incasso, di n. 16 conti correnti postali e di un non meglio identificato conto ‘Master’ ove sarebbero affluite somme per oltre 80 milioni di euro.
1.2. -Secondo l’Inps, i rapporti contrattuali furono caratterizzati da “macroscopici inadempimenti” dell’appaltatore RTI, relativamente a gran parte delle obbligazioni contrattuali (tra cui omessa o ritardata rendicontazione mensile, utilizzo di conti correnti postali e bancari diversi da quello previsto, presentazione di estratti conto falsificati, mancato rinnovo dei contratti di locazione, carente recupero delle morosità, inadeguata attività manutentiva, irregolare gestione della banca dati, ritardi nel versamento dei proventi, mancato rimborso di somme rilevanti, indebita compensazione tra gli incassi di maggio-luglio 2004 e pretesi crediti dell’appaltatore), tanto che il 25 ottobre 2005 l’Istituto escusse le fideiussioni prestate da RAGIONE_SOCIALE per ottenere il risarcimento dei danni subiti.
1.3. -Seguì in data 2 dicembre 2005 la notifica dell’atto di citazione dinanzi al Tribunale di Roma con cui GEFI chiese accertarsi e dichiarare: la nullità, inefficacia, abusività e fraudolenza dell’escussione delle fideiussioni; il proprio corretto adempimento delle obbligazioni garantite; l’obbligo dell’Inpdap di pagare il residuo corrispettivo di € 3.853.441,37 ed € 2.000.000,00 per le prestazioni rese da maggio a luglio 2004; la nullità degli accordi di chiusura del rapporto, con obbligo dell’Inpdap di corrispondere a GEFI € 8.746.727,34 (o € 6.820.175,13 al netto della franchigia), a titolo di ‘recupero morosità pregressa’; la compensazione di detti debiti dell’Inpdap con il credito di € 4.420.879,70 a titolo di saldo gestionale ed € 1.905.649,52 a titolo di oneri economici di portierato, con sua condanna per il saldo; l’inadempimento dell’Inpdap alle obbligazioni contrattuali, con sua condanna al risarcimento dei danni, anche per lesione all’immagine di GEFI; la nullità, invalidità e inefficacia delle penali.
Nel giudizio così instaurato dinanzi al Tribunale di Roma l’Inpdap si costituì chiedendo il rigetto di tutte le domande di GEFI e spiegando domanda riconvenzionale per l’accertamento delle gravi inadempienze del RTI di cui essa era mandataria (illecite modalità
di incasso, maneggio, rendicontazione e documentazione dei proventi della gestione, illecita compensazione dei saldi attivi con pretesi crediti dell’appaltatore già soddisfatti, insussistenti o inesigibili), con conseguente condanna del RTI, nonché della mandataria RAGIONE_SOCIALE in proprio (e della mandante RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE in solido con la compagnia assicuratrice, e previa presentazione del dovuto rendiconto, alla corresponsione dei saldi gestionali e alla corresponsione della somma di € 42.923.005,75 per il lotto 7 ed € 31.578.710,02 per il lotto 8.
L’impresa assicuratrice RAGIONE_SOCIALE chiese l’accoglimento delle domande attoree e propose, in via subordinata, domanda di rivalsa/regresso/surrogazione nei confronti delle società attrici.
1.4. -Nel corso del giudizio l’Inpdap produsse gli atti dei procedimenti di responsabilità contabile e penale e le sentenze conclusive dei giudizi di primo e secondo grado della Corte dei Conti e del Tribunale penale a carico degli amministratori di RAGIONE_SOCIALE (tra cui LCOGNOME, legale rappresentante della ricorrente RAGIONE_SOCIALE, poi condannato in via definitiva per peculato e falso).
Il G.I. respinse le richieste di prove orali e dispose CTU collegiale, cui seguì il deposito di un primo elaborato peritale, di un elaborato suppletivo e di una relazione finale di chiarimento.
1.5. -Dopo l’interruzione del giudizio per la collocazione di RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE (nel 2017), la sua riassunzione da parte del Commissario Liquidatore (che fece proprie tutte le domande della società in bonis) e la rinuncia dell’Inpdap alle domande svolte nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (salva l’eccezione di compensazione), il Tribunale civile di Roma, con sentenza n. 11108 del 01/06/2017, rigettò tutte le domande di RAGIONE_SOCIALE (e delle altre società del RTI), dichiarò improcedibili le domande riconvenzionali dell’Inps (frattanto subentrato a RAGIONE_SOCIALE, accertò un credito dell’Istituto di € 15.218.551,09 (di cui € 7.113.128,40 per saldo gestionale, € 6.692.618,36 a titolo di penale, € 1.412.804,33 per risarcimento del danno) e condannò RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore dell’Inps.
Avverso quella decisione COGNOME ha proposto appello principale e l’Inps appello incidentale, mentre COGNOME in LCA ha fatto
acquiescenza; ha proposto appello incidentale anche RAGIONE_SOCIALE dichiaratasi proprietaria al 100% delle quote della RAGIONE_SOCIALE nonché sua creditrice, agendo in surroga di RAGIONE_SOCIALE in LCA ex art. 2900 c.c.
Nel presente giudizio il processo di appello viene riferito come ancora in corso, né vi è alcuna memoria che ne riferisca l’esito.
1.6. -Nel frattempo, in data 07/02/2017 l’Inps ha ripresentato la stessa domanda riconvenzionale di cui si è detto come domanda di ammissione al passivo della procedura di L.C.A. di RAGIONE_SOCIALE, in INDIRIZZO, per il credito di € 77.406.959,60 a titolo di risarcimento dei danni da inadempimento dei due contratti di appalto per cui è causa (di cui: per manutenzione correttiva € 1.646.237,41; saldi gestionali non versati € 13.558.970,72; rimborso oneri portierato €2.056.333,30; gestione immobili Lazio € 18.376.619,05, Triveneto € 25.266.650,96, Piemonte € 16.502.147,62) e il Commissario Liquidatore lo ha escluso dallo stato passivo con la seguente motivazione: « Il credito dell’Inps è contestato dalla procedura nell’an e nel quantum; è pendente il primo grado di giudizio RG 82613/05 Tribunale civile di Roma (…) per il quale non si è concluso l’accertamento giurisdizionale relativo al diritto; infine l’Inps ha un rilevante debito nei confronti della procedura concorsuale che pure è oggetto di accertamento giurisdizionale ».
1.7. -L’Inps ha proposto opposizione allo stato passivo ex art. 98 l.fall. allegando tutti gli atti e la copiosa documentazione già prodotta nel giudizio ordinario, comprese le relazioni dei CTU. La procedura di LCA ha mutato posizione, dichiarando di non opporsi all’ammissione del credito così come accertato in sede civile con riserva condizionata al passaggio in giudicato della statuizione n. 11108/17 del Tribunale civile di
(€ 15.218.551,09) però « Roma, Giudice COGNOME ».
1.8. -Ha spiegato intervento RAGIONE_SOCIALEin persona del legale rappresentante L.C.) per chiedere il rigetto della domanda dell’Inps (per le ragioni già fatte valere da RAGIONE_SOCIALE in sede civile) , previa sospensione del giudizio di opposizione, ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio civile di appello.
1.9. -Il Tribunale di Roma, acquisita la documentazione prodotta (comprese le relazioni dei CTU), ha:
-rilevato l’inopponibilità alla procedura concorsuale della sentenza civile n. 11108/17 e l’estraneità al giudizio d’appello della domanda dell’Inps ivi dichiarata improcedibile, con sua acquiescenza;
-respinto l’istanza di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c.;
dichiarato «inammissibile l’intervento di RAGIONE_SOCIALE quale titolare del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, società semmai legittimata ad un intervento ad adiuvandum o escludendum , ex art. 106, comma 2, c.p.c., ma non già ad un intervento volontario ex art. 105, comma 1, c.p.c., volto a far valere un proprio diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel giudizio di opposizione « attesa l’insussistenza di posizioni giuridiche direttamente tutelabili in capo ad RAGIONE_SOCIALE quale socia al 100% della RAGIONE_SOCIALE nell’ambito del presente giudizio di opposizione e in sede di accertamento dello Stato passivo », ove ha rassegnato conclusioni diverse sia dall’opponente Inps che dalla Procedura di LCA opposta;
-osservato che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., grava sull’Inps l’onere della prova del credito vantato a titolo di risarcimento danni aventi origine da pretesi molteplici adempimenti contrattuali del RTI alle obbligazioni previste dai contratti di appalto de quibus ;
-dato atto che l’Inps ha prodotto documenti e formulato richiesta di prova testimoniale e di rinnovo della CTU, ma ha ritenuto che « la causa possa essere decisa sulla base della c.t.u. disposta dal tribunale nell’ambito del giudizio … definito con la sentenza n.11108/2017 », reputando « superflua ogni ulteriore attività istruttoria rispetto a tutte le istanze formulate »;
disatteso le istanze risarcitorie dell’Inps collegate alla gestione dei rapporti contrattuali con gli utenti del patrimonio di cui all’art. 6 del contratto, ritenute già in sede di CTU «indeterminate e generiche e comunque da reputare prive di fondamento alla luce della riscontrata condotta inadempiente dell’ente previdenziale, acclarata da detti accertamenti e sostanziatasi nella reiterata mancata collaborazione più volte richiesta senza utile seguito da parte della dell’appaltatore in ordine alle necessarie istruzioni da fornire »;
dato atto che la CTU ha accertato i crediti e le relative penali a titolo di: saldi gestionali, Iva sui canoni, ‘oneri di portierato’ ex art. 26 del contratto di appalto, danno da insufficiente adeguamento Istat, servizi di manutenzione e manutenzione correttiva ex art. 9 del contratto e spese di trasloco;
dato atto che « gli ulteriori danni richiesti dall’ente previdenziale, in base agli accertamenti svolti nella consulenza e nei relativi supplementi e anche a seguito delle osservazioni formulate dalle parti, sono stati ritenuti non adeguatamente dimostrati » in base ad una « conclusione, fondata su accertamenti diffusi e approfonditi e su motivazioni immune da vizi logici, è da condividere »;
infine, quantificato il credito da ammettere al passivo in via chirografaria nella somma di € 15.218.551,09, peraltro già riconosciuta dalla procedura opposta sin dalla costituzione in giudizio, con integrale compensazione delle spese.
-Detta decisione è stata impugnata dall’Inps con ricorso principale affidato a due motivi, e da RAGIONE_SOCIALE con ricorso successivo in un motivo. Entrambi i ricorrenti hanno resistito con controricorso. RAGIONE_SOCIALE ha anche proposto ricorso incidentale in tre motivi, al quale l’Inps ha replicato con ulteriore controricorso. Le parti non hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1460, 1710, 1711, 1713, 2697 c.c. e 115 c.p.c., nonché omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c., « in ordine alla non corretta determinazione dei saldi gestionali attivi dovuti all’ente appaltante alla cessazione dei rapporti di appalto ».
L’Inps lamenta che il tribunale, rigettando le richieste di prova per testi e rinnovo della CTU, si sia limitato a recepire acriticamente gli esiti della CTU espletata nel giudizio civile, nonostante le numerose critiche svolte in appello e nel ricorso ex art. 98 l.fall. (v. pagg. 3750 e 58-68 del ricorso), anche sulla ricostruzione dei rapporti di dare-avere tra le parti, alla luce della responsabilità penale e
contabile del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALEnonché di RAGIONE_SOCIALE accertata in altra sede, a riscontro delle contestazioni sollevate.
Ove poi la decisione si fondasse sul mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’Inps, essa sarebbe erronea in diritto, poiché l’onere di provare l’esatto adempimento gravava sull’appaltatore RTI e sulla mandataria RAGIONE_SOCIALE, che non aveva nemmeno assolto l’obbligo di rendicontazione ex art. 1713 c.c., tanto che i CTU avevano tenuto conto di voci di spesa non documentate e talora nemmeno chieste (ad es. oneri accessori e servizi ai fabbricati), ricalcolando i quali vi sarebbe stato un incremento del saldo attivo della gestione di ulteriori € 5.368.257,38 rispetto alla somma accertata di € 7.113.128,40.
2.2. -Il secondo motivo del ricorso principale denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 1223, 1227, 1362, 1363, 1382, 1460, 2697 c.c., nonché omesso esame di fatto decisivo « in ordine all’erroneo mancato riconoscimento di penali e danni lamentati dall’Inps in ragione della pretesa mancata pro va dell’inadempimento da parte dell’Inps ovvero della mancata effettuazione della cd. attività di censimento ».
L’Inps lamenta che il tribunale, aderendo acriticamente alle conclusioni della CTU, ha fatto propri i macroscopici errori e le lacune delle operazioni e peritali (riepilogate a pagg. 69-73 del ricorso), peraltro omettendo immotivatamente di riconoscere importanti poste di credito che erano state determinate nella CTU.
Quanto al preteso inadempimento dell’Inps all’attività di censimento, assume l’erronea interpretazione delle chiarissime disposizioni contrattuali di segno contrario (art. 12), in violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., come già segnalato in comparsa conclusionale (v. pagg. 79-91 del ricorso).
Deduce anche la violazione dell’art. 1382 c.c., poiché la clausola penale svolge una funzione di risarcimento forfettario indipendente dalla prova dell’esistenza ed entità del pregiudizio sofferto, rilevando che nel supplemento peritale (trascritto a pagg. 93-95 del ricorso) i CCTTUU avevano calcolato la penale per inadempimento degli obblighi in materia di recupero della morosità (v. previsioni contrattuali trascritte a pagg. 96-102) in misura addirittura
superiore a quella computata dall’Inps, ma affermando che « GEFI ne aveva contestato l’applicazione, in mancanza di prova della propria omessa attivazione per il recupero delle morosità ».
Osserva, infine, che l’asciuttezza della motivazione è tale da impedire la comprensione delle ragioni del mancato riconoscimento di molte voci di danno, e che, ove la ratio decidendi fosse la mancata dimostrazione da parte dell’Inps del difetto di attivazione dell’appaltatrice nel recupero delle morosità, vi sarebbe un’erronea inversione dell’onere probatorio, trattandosi di obbligazioni di contratti a prestazioni corrispettive.
La genericità, insufficienza e illegittimità della motivazione del decreto sarebbe dunque tale da configurare una sostanziale omessa pronuncia sulle domande dell’opponente, che avevano come presupposto l’erroneità della CTU pedissequamente recepita.
-Entrambi i motivi, che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti.
-Pur potendosi escludere che la decisione sia fondata sul mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’Inps avendo espressamente il tribunale dato atto che «l’ente previdenziale allega, al fine di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa creditoria, documentazione contrattuale, allegati tecnici, corrispondenza, fideiussioni, note, prospetti, verbali, mandati, documentazione tecnico contabile riferita ai vari interventi, relazioni di verifica, fatture, etc… oltre agli atti e alla documentazione relativa al giudizio innanzi al Tribunale di Roma e alle relazioni di consulenza tecnica d’ufficio ammesse ed espletate in quella sede e formula richiesta di prova testimoniale e di ammissione di nuova consulenza tecnica d’ufficio » -tuttavia risulta errata in diritto la premessa per cui « l’istituto ricorrente, il quale afferma di vantare un credito nei confronti della società in liquidazione coatta amministrativa (…) ha l’onere, ai sensi dell’art. 2697 cod.civ., di allegare e provare i fatti che ne costituiscono il fondamento ».
4.1. -E’ indubbio che la natura speciale del giudizio di accertamento del passivo concorsuale non sia tale da sovvertire il principio nomofilattico per cui, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione
contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento; e lo stesso criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione (Cass. Sez. U, 13533/2001).
4.2. -Anche in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali dettate dal legislatore attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art. 1667 c.c., ma non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta appunto che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere -allorché il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al terzo comma di detta disposizione -di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte (Cass. 936/2010, 98/2019).
4.3. -Resta dunque fermo che, in base ai richiamati principi sull’onere probatorio in tema di responsabilità contrattuale, compete al danneggiato solo la prova dell’esistenza ed entità del danno (Cass. 608/1973, 1632/1969) e del nesso causale tra questo e l’inadempimento semplicemente allegato (Cass. 27142/2024, 25567/2023, 20707/2023, 10050/2022), con esonero dall’onere di provare la colpa del debitore (Cass. 12760/2024), che compete invece al preteso danneggiante (in questo caso l’appaltatore),
tenuto a provare il proprio esatto adempimento; e qui tanto più a fronte del rendiconto della gestione contestualmente preteso a carico di RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 1713 c.c., che nel mandato oneroso obbliga il mandatario a fornire la prova dell’entità degli esborsi, della causale delle spese e di tutti gli elementi utili per valutare la correttezza del suo operato (Cass. 2428/2004).
4.4. -Il tribunale ha invece richiamato genericamente l’onere della prova ex art. 2697 c.c., senza dare rilievo alle sue specifiche declinazioni in tema di responsabilità contrattuale.
4.5. -Ancor meno giustificabile è l’affermazione che «gli ulteriori danni (…) sono stati ritenuti» (dai consulenti d’ufficio) «non adeguatamente dimostrati», laddove riferita alle somme richieste sulla base di specifiche clausole penali, la cui funzione è proprio l’esonero del danneggiato dalla prova dell’entità del danno sofferto, con conseguente violazione anche dell’art. 1382 c.c.
-Come visto, l’Inps deduce anche il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., con riguardo non solo ai fatti allegati (come la circostanza che RAGIONE_SOCIALE era stato il precedente gestore di quello stesso patrimonio, ai fini dell’adombrato inadempimento dell’ente previdenziale) o ai documenti prodotti (come quelli relativi all’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE nella gestione della banca dati e nell’aggiornamento dell’archivio cartaceo e informatico dai quali sono scaturiti specifici costi documentati), ma anche alle plurime e circostanziate critiche rivolte agli esiti della CTU espletata in sede ordinaria, diffusamente riportate in ricorso, assunti dal tribunale a fondamento esclusivo della decisione, quale ‘prova atipica’.
5.1. -In effetti, anche sotto quest’ultimo profilo, il vizio in disamina può ricorrere quando le critiche alla CTU non esaminate rivestano il requisito della decisività (Cass. 15733/2022, 11917/2021, 30364/2019, 15147/2018, 23637/2016).
5.2. -E lo stesso vale, una volta assolto l’onere di autosufficienza del ricorso, per l’omessa ammissione dei mezzi istruttori richiesti dalla parte (Cass. 23194/2017, 4178/2007) quando le venga preclusa la possibilità di assolvere l’onere probatorio su di lei gravante in base a motivazioni apparenti o
perplesse, che evochino, come nel caso di specie, il principio dell’onere della prova (Cass. 12884/2016).
5.3. -Ma il punto è che le censure motivazionali appaiono in realtà più radicalmente sussumibili nel vizio ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., poiché la motivazione del decreto impugnato non raggiunge la soglia del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass. Sez. U, 8053/2014, 34474/2019, 20867/2020; Cass. 34459/2022, 4784/2023, 14703/2024).
5.4. -Difatti, il tribunale si è limitato a riportare, facendoli propri, gli esiti finali della pregressa CTU, escludendo l’invocata rinnovazione delle operazioni peritali sol perché « già compiutamente ed esaurientemente espletate a mezzo di accertamenti complessi e di supplementi istruttori elaborati nel contraddittorio delle parti e dei loro consulenti, sulla base di copiosa, articolata e composita documentazione », e limitandosi a rilevare che « le risultanze degli accertamenti svolti non appaiono peraltro oggetto di contestazione specifica da parte della procedura, che ha anzi concluso nel senso della parziale ammissione del credito, nei termini accertati dalla consulenza tecnica », senza però dare atto, in concreto, delle plurime e specifiche contestazioni invece sollevate dall’opponente, e senza minimamente spiegare le ragioni per le quali non ha inteso disporre il rinnovo della CTU (secondo la dettagliata istanza riportata a pag. 78 del ricorso), né ammettere le prove testimoniali appositamente articolate (i cui capitoli sono trascritti alle pagg. 73-78 del ricorso).
5.5. -Ebbene, più volte questa Corte ha ammonito che il giudice di merito ben può aderire alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ma di certo non può farlo in modo del tutto acritico, omettendo di menzionare, prima ancora che di valutare, gli specifici rilievi tecnici mossi alla CTU ( ex multis , da ultimo, Cass. 9925/2024, 15804/2024, 25767/2024), come nel caso in esame.
5.6. -La situazione è del tutto analoga a quella in cui i giudici di appello si limitino ad aderire in modo acritico alla pronunzia di primo grado, senza alcuna valutazione dei motivi di gravame, nel qual caso la decisione viene ritenuta radicalmente nulla (Cass. Sez. U, 14814/2008; cfr. Cass. Sez. U, 28176/2020;
Cass. 28139/2018, 20883/2019, 2397/2021, 459/2022, 610/2022, 21443/2022, 23997/2022, 9830/2024).
5.7. -Si è insomma al cospetto di una motivazione che può definirsi ‘apparente’, perché il tribunale, al di là di espressioni del tutto generiche, si è limitato semplicemente a riferire, e fare pedissequamente propri, gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio disposta in altro giudizio civile, senza farsi carico di rispondere alle specifiche critiche rivolte dall’opponente a quegli accertamenti peritali, di modo che le argomentazioni spese dal giudice di merito risultano del tutto inidonee a rivelare l’iter logico seguito e le ragioni della decisione rispetto alle difese delle parti (cfr. Cass. 395/2021, 26893/2020, 22598/2018 con riguardo al mero rinvio del giudice d’appello alla motivazione del giudice di primo grado).
-Passando all’esame del ricorso successivo di RAGIONE_SOCIALE, con il primo motivo si censura la declaratoria di inammissibilità del suo intervento nel giudizio di opposizione per violazione degli artt. 99, comma 7, l.fall e 105, comma 1, c.p.c., sul rilievo che detto intervento avrebbe dovuto definirsi principale -in quanto in rapporto di incompatibilità con la pretesa di Inps e in conflitto con la posizione rinunciataria della procedura di LCA -e non adesivo subordinato, dal momento che con esso veniva fatto valere non già un semplice interesse riflesso, bensì quello stesso diritto all’esclusione dell’Inps dallo stato passivo che, laddove il credito fosse stato ammesso, avrebbe consentito l’impugnazione ad RAGIONE_SOCIALE in quanto creditrice ammessa allo stato passivo della LCA per € 178.084,60 in chirografo e € 64.948,93 in privilegio generale quale cessionaria del credito di un avvocato.
6.1. -Il motivo è inammissibile per novità della deduzione su cui si fonda, avuto riguardo alla qualità di creditrice ammessa al passivo, come tale legittimata ad impugnare e perciò anche ad intervenire.
6.2. -Invero, tanto a pagg. 5 e 8 del decreto impugnato, quanto a pag. 3 del ricorso per cassazione della stessa Aktina, si legge che l’intervento di quest’ultima è stato proposto « quale titolare del 100% del capitale di RAGIONE_SOCIALE e finanziatrice della stessa ». Ora, dal momento che la motivazione del decreto impugnato si
incentra esclusivamente su detta qualità, e non anche su quella di creditore ammesso al passivo, il ricorrente avrebbe semmai potuto lamentare il vizio di omessa pronuncia od omesso esame di fatto decisivo, ma in realtà nemmeno deduce se quella allegazione era stata fatta dinanzi al tribunale, il quale, come detto, non ne fa menzione nel dichiarare inammissibile l’intervento.
6.3. -Solo per completezza, e con riferimento al ruolo speso di ‘proprietario’ della società sottoposta a LCA, si rammenta che per principio consolidato non sussiste la legittimazione del fallito ad impugnare i provvedimenti adottati dal giudice delegato in sede di formazione dello stato passivo (da ultimo, Cass. 29156/2024).
6.4. -L’inammissibilità del primo motivo del ricorso di Aktina, rendendo definitiva la pronuncia di inammissibilità dell’intervento, travolge il motivo successivo, che denunzia (qui in piena sintonia con il ricorso principale): i) la nullità della decisione per motivazione apparente e contraddittoria, con violazione degli artt. 132, n. 4 c.p.c. e 111 Cost., laddove da una parte si dichiara la sentenza del pregresso giudizio civile inopponibile alla procedura concorsuale, e dall’altra si utilizza pedissequamente la CTU su cui quella sentenza si basa; ii) la violazione degli art. 116, comma 2, e 310 c.p.c., poiché l’unico fondamento della decisione risiede in una prova atipica, ossia la CTU elaborata in altro giudizio, in cui la domanda in esame era stata dichiarata improcedibile (condizione assimilabile all’estinzione), sicché sarebbe stato necessario un autonomo vaglio critico della CTU da parte del tribunale, che avrebbe dovuto dar conto dell’esame delle osservazioni critiche delle parti (quelle di Aktina sono riportate a pag. 7 del ricorso).
-Lo stesso effetto investe il ricorso incidentale di Aktina, che lamenta la violazione: i) dell’art. 112 c.p.c. per mancata delibazione dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva di Inpdap/Inps e carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 1670 c.c. e all’art. 2, commi 1, 2, 3 d.l. 351/2001 conv. in l. 410/2001, in quanto la proprietà del patrimonio immobiliare era passato da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE.lRAGIONE_SOCIALE; ii) degli artt. 132, n. 4 c.p.c. e 111 Cost. e omessa motivazione sulla applicabilità della clausola penale (art. 30 del contratto di appalto) anche in
relazione agli artt. 1362 ss c.c., per avere il tribunale aderito alla CTU che aveva valutato solo il quantum , e non anche l’ an , delle penali pretese; iii) dell’art. 117, commi 3 e 4, d.P.R. 554/1999, che prevede per i contratti stipulati con la PA un importo massimo delle penali globalmente applicabili, non superiore al 10%, nonché dell’art. 1384 c.c. che prevede la riducibilità della penale eccessiva.
7.1. -Le censure diventano invero inammissibili a causa della declaratoria di inammissibilità del ricorso successivo, per mancanza di legittimazione a intervenire, oltre che per il principio della consumazione del diritto d’impugnazione, per cui la parte che, dopo la proposizione di un ricorso per cassazione nei suoi confronti, abbia a sua volta proposto autonoma impugnazione, da ritenersi convertita in ricorso incidentale, non può con il controricorso proporre nuova impugnazione incidentale (Cass. 917/2024).
-Segue la cassazione del decreto con rinvio, in accoglimento del ricorso principale.
-Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente successivo e incidentale.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibili il ricorso successivo e il ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche