Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19232 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19232 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32255/2019 R.G. proposto da :
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale a margine del ricorso introduttivo
– ricorrente e controricorrente incidentale -contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al controricorso
– controricorrente e ricorrente incidentale – avverso il decreto del Tribunale di Udine n. 3030/2019 depositato il 27/9/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/5/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il giudice delegato al fallimento di RAGIONE_SOCIALE non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato da RAGIONE_SOCIALE a titolo di corrispettivo per gli incarichi svolti in favore della compagine poi fallita.
Il Tribunale di Udine, a seguito dell’opposizione presentata da RAGIONE_SOCIALE riteneva -fra l’altro e per quanto di interesse che nessun corrispettivo potesse essere riconosciuto in ordine alla revisione del bilancio di esercizio e di quello consolidato relativi all’anno 2015.
Osservava, a questo proposito, che la compagine opponente non aveva assolto l’onere di allegazione e prova che su di lei incombeva in relazione a tali prestazioni, in quanto, a fronte delle eccezioni sollevate dalla curatela in ordine all’errata contabiliz zazione dei crediti e dei ricavi relativi alle commesse non completate alla fine dell’esercizio, che avrebbe imposto alla società di revisione di esprimere un giudizio con modifica formulando specifici rilievi, non aveva svolto alcuna allegazione specifica delle circostanze che non le avevano consentito di avvedersi di situazioni di sovrastima di ricavi e costi e di un’impossibilità di verificare lo stato di avanzamento delle commesse.
Giungeva, invece, a diverse conclusioni rispetto alle analoghe prestazioni riferite all’anno 2016, essendo stata documentata l a predisposizione dei bilanci di esercizio e consolidato relativi all’esercizio 2016 attraverso la produzione del messaggio p.e.c. in data 17 maggio 2017 con cui RAGIONE_SOCIALE aveva trasmesso a RAGIONE_SOCIALE le due relazioni, oltre che dei comunicati stampa che avevano dato conto delle stesse.
Sosteneva che il fallimento, solo con la memoria difensiva, aveva circostanziato l’eccezione di inadempimento prospettata dal curatore in sede di verifica con la doverosa allegazione degli specifici inadempimenti lamentati, cosicché si doveva ritenere consentito all’opponente di integrare le sue difese anche istruttorie, come era avvenuto nel caso di specie.
Rilevava, infine, che lo specifico dettaglio delle fatture azionate e l’indicazione delle causali non era stato oggetto di alcuna contestazione ad opera della procedura.
In conclusione, disponeva, in parziale accoglimento dell’opposizione, l’ammissione al passivo, in chirografo, del credito di € 33.916 vantato da RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE per prestazioni professionali riferite all’esercizio 2016, mentre rigettava la domanda di ammissione per la residua parte del credito vantato.
Il fallimento di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di tale decreto, pubblicato in data 27 settembre 2019, prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE
La compagine controricorrente, a sua volta, ha proposto ricorso incidentale, affidato a un unico motivo di ricorso, a cui ha resistito con controricorso la procedura ricorrente.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso principale denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 99, comma 2, n. 4, l. fall., perché il tribunale non poteva porre a fondamento della decisione documenti prodotti dall’opponente in un momento s uccessivo al deposito del ricorso in opposizione, la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., perché il giudice non poteva giudicare in base a un documento il cui tempestivo deposito era nell’esclusiva disponibilit à delle parti, e la violazione dell’art. 2697 cod. civ., dato che il provvedimento impugnato ha ammesso al passivo un credito senza che fossero provati i fatti che ne costituivano il fondamento; lamenta inoltre, ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione del principio di necessaria corrispondenza fra chiesto e pronunciato, poiché il curatore si era non solo opposto all’ammissione del credito, ma aveva anche contestato le fatture e le prestazioni relative al bilancio di esercizio e consolidato 2016.
Il fallimento, nel costituirsi in sede di opposizione, aveva ribadito -spiega il ricorrente l’eccezione di inadempimento con particolare riferimento alla revisione contabile dei bilanci di esercizio e consolidato al 31 dicembre 2015, contestando, altresì, le asserite prestazioni dell’opponente, che non risultavano provate.
A fronte di quest’ultima confutazione era precluso al creditore di avvalersi di nuovi documenti depositati successivamente al ricorso in opposizione e il tribunale non doveva prenderli in esame, perché prodotti oltre la scadenza del termine perentorio prev isto dall’art. 99, comma 2, n. 4, l. fall.
Il tribunale ha perciò erroneamente ritenuto -sostiene il ricorrente -che dovesse essere consentito alla parte opponente di integrare le sue difese una volta che il fallimento avesse sostanziato il contenuto dell’eccezione di inadempimento in precedenza sollevata con l’allegazione degli inadempimenti lamentati.
La procedura, peraltro, non era tenuta a contestare il dettaglio delle fatture azionate: infatti, la fattura è un documento unilaterale che non prova il credito, la mancata contestazione delle fatture non sarebbe stata comunque sufficiente all’ammissione del credito, dato che l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti, e la contestazione asseritamente omessa in realtà era stata espressamente sollevata.
La doglianza merita accoglimento.
5.1. La giurisprudenza di questa Corte è, da tempo, ferma nel ritenere, in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, che il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale
criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ., risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, e il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione (si veda in questo senso, per tutte, Cass., Sez. U., 13533/2001).
Ciò nondimeno, occorre considerare che nei giudizi aventi ad oggetto l’accertamento di un credito per prestazioni professionali la fonte del diritto del professionista creditore è complessa ed è costituita non solo dall’avvenuto conferimento dell’incarico, ma anche dall’effettivo espletamento dello stesso nonché dall’entità delle prestazioni svolte (v. Cass. 21522/2019, Cass. 9254/2006, Cass. 3677/1999, Cass. 2176/1997, Cass. 5987/1994).
In questi casi è necessario dimostrare anche l’esistenza della prestazione professionale, che costituisce, insieme al conferimento dell’incarico, la fonte del credito (poiché l’incarico in sé, in effetti come sostiene la procedura odierna ricorrente -, prova sé stesso e non l’esecuzione delle prestazioni).
5.2. Queste conclusioni corrispondono agli approdi a cui già è giunta la giurisprudenza di questa Corte in alcune recenti occasioni.
Ad esempio, quando ha ricordato, in materia di mandato, che « la struttura sinallagmatica non consente di far discendere il diritto di corrispettivo del mandatario dal mero titolo, occorrendo previamente il suo adempimento, di cui il corrispettivo è proprio la ‘risposta’ del mandante. Il contratto di mandato costitui sce invero …. una esemplare fonte di obbligazione di mezzi per il mandatario, obbligazione il cui adempimento costituisce il presupposto del corrispettivo da parte del mandante » (Cass., sez. III, 16107/2024, § 2.2.2).
Oppure quando ha sostenuto, rispetto all’insinuazione al passivo di un credito derivante dall’attività di consulenza resa su incarico conferito dalla fallita, che « nei contratti a prestazioni corrispettive (come quello d’opera), la parte che chiede in giudizio l’esecuzione della prestazione a lei dovuta (come il pagamento del compenso asseritamente maturato o, in caso di fallimento del committente, l’insinuazione al passivo del relativo credito) non dev’essere a sua volta inadempiente, avendo, piuttosto, l’onere di (offrire l’esecuzione della propria, se le prestazioni debbono essere eseguite contestualmente, ovvero, in caso contrario) dimostrare d’avere adempiuto la propria obbligazione, se la stessa …. precede il pagamento del corrispettivo cui la controparte è tenuta; l’applicazione di tale principio al contratto d’opera comporta, quindi, che il prestatore che agisca in giudizio per il pagamento (o, come nel caso in esame, l’ammissione al passivo) del (credito al) corrispettivo convenuto, ha l’onere di provare d’avere, a sua volta, esattamente adempiuto la propria obbligazione, e cioè di avere eseguito l’opera conformemente al contratto, integrando tale adempimento il fatto costitutivo del diritto di credito oggetto della sua pretesa (Cass. n. 3472 del 2008, in motiv.) » (Cass., sez. I, 6381/2025, § 3.8).
Pertanto, spetta al creditore per prestazioni professionali che si insinui al passivo allegare e provare l’elemento costitutivo della domanda che rappresenta la fonte complessa del suo diritto, composto tanto dall’ avvenuto conferimento dell’incarico, quanto dall’effettivo espletamento dello stesso.
5.3. Il giudizio di opposizione allo stato passivo ha una disciplina propria e diversa da quella del processo ordinario di cognizione, tanto da non poter essere qualificato come un appello, nonostante la sua natura impugnatoria.
Trattandosi di rimedio diretto a rimuovere un provvedimento emesso sulla base di una cognizione sommaria che, se non opposto, acquista efficacia di giudicato endofallimentare ex art. 96 l. fall., manca un
divieto analogo a quello previsto dall’art. 345 cod. proc. civ., potendo entrambe le parti produrre nuovi documenti con i rispettivi atti introduttivi -il ricorso (art. 99, comma 2, n. 4 l. fall.) e la memoria difensiva di costituzione (art. 99, comma 7, l. fall.) -, i quali segnano il termine preclusivo per l’articolazione dei mezzi istruttori (Cass. 10886/2024, Cass. 21201/2017, Cass. 4708/2011).
La ratio di concentrazione processuale sottesa all’art. 99 l. fall. spiega, al tempo stesso, i rigorosi termini di decadenza imposti alle parti per indicare negli atti introduttivi i mezzi di prova e i documenti prodotti di cui intendono avvalersi innanzi al tribunale e l’esclusione della possibilità di introdurne di ulteriori nel corso del giudizio (Cass. 29282/2023, Cass. 9593/2021, Cass. 5570/2018, Cass. 12548/2017)
Nell’ambito di un simile quadro procedimentale, se è pacifico, alla luce del tenore letterale dell’art. 99, comma 7, l. fall., che il curatore fallimentare possa introdurre eccezioni nuove (cioè non già specificamente formulate in sede di verifica), è altrettanto corretto, in chiave sistematica, assumere che in tal caso -ma solo in relazione a contenuti e termini dell’eccezione nuova -il rispetto del principio del contraddittorio esiga che sia concesso termine all’opponente per dispiegare le proprie difese e produrre la documentazione probatoria idonea a supportarle (Cass. 22386/2019; cfr. da ultimo, in motivazione, Cass. 23787/22023, Cass. 19505/2024, Cass. 28230/2024, Cass. 28962/2024).
5.4. Nel caso di specie, il provvedimento impugnato spiega che la procedura, nel costituirsi in giudizio, aveva eccepito l’inadempimento della controparte rispetto alle prestazioni concernenti l’esercizio 2015, mentre ‘ in ordine alle ulteriori prestazioni ‘ per l’anno 2016, ‘ pur non contestando il conferimento dell’incarico ‘, aveva ‘ sostenuto l’assenza di prova del loro espletamento ‘ (pag. 3).
Il tenore della costituzione del fallimento non legittimava, in via generalizzata, l’integrazione delle difese, anche istruttorie, da parte
dell’opponente come invece ha ritenuto il tribunale a pag. 6 del decreto impugnato -, perché tale integrazione, se era giustificata in conseguenza dell’eccezione di inadempimento sollevata dal curatore per le prestazioni relative all’esercizio 2015, non trovava adeguata motivazione nella mera difesa svolta al fine di far rilevare che il cr edito per l’esercizio successivo (ed ammesso al passivo in accoglimento dell’opposizione) non era confortato da un idoneo supporto probatorio.
Il tribunale ha erroneamente sostenuto che la necessità di produrre tale documentazione fosse sorta solo a seguito delle difese svolte dalla procedura nella memoria di costituzione nel procedimento di opposizione, quando invece era onere del creditore opponente produrre, sin dall’inizio con il relativo ricorso e a pena di decadenza, gli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della domanda, e quindi i documenti che consentivano di provare non solo l’affidamento dell’incarico, ma anche dell’effettivo esp letamento dello stesso.
Assolutamente estranea al presente giudizio era poi la problematica affrontata dalla giurisprudenza appena richiamata secondo cui, ove il curatore introduca nel giudizio di opposizione eccezioni nuove, che non siano state già formulate, in sede di verifica, il necessario rispetto del principio del contraddittorio esige che sia concesso termine per l’opponente per dispiegare le proprie difese e produrre la documentazione probatoria che stimi idonea a supportarle, giacché « il diritto dell’opponente al pieno svolgimento del contraddittorio trova non solo la sua ragione d’essere, ma pure il suo limite nella novità della eccezione che è stata sollevata dal curatore. È solo in relazione ai contenuti e termini dell’eccezione proposta in sede di memoria di costituzione, in altri termini, che si giustifica la necessaria concessione di un termine a difesa » (Cass. 22386/2019).
Ne consegue che tale termine non può essere esteso in modo automatico, pena lo svuotamento della preclusione normativa disposta, alle mere allegazioni difensive svolte dall’organo della
procedura: il che è proprio quello che risulta avvenuto nel caso di specie, in cui il curatore non aveva introdotto, rispetto alle prestazioni relative all’esercizio 2016, dei nova , non aveva sollevato nuove eccezioni da intendersi, a norma dell’art. 2697 comma 2, cod. civ., relative solo ai fatti estintivi o modificativi del diritto vantato dalla controparte -, ma aveva svolto mere allegazioni difensive, limitandosi a contestare l’assenza di prova dell’espletamento delle prestazioni.
Va, dunque, escluso che nell’opposizione allo stato passivo il ricorrente, a fronte di una mera difesa svolta dal curatore soltanto nella memoria di costituzione (quale la contestazione dell’esistenza della prova del fatto costitutivo del credito vantato dal creditore), abbia il diritto di ottenere dal tribunale, al fine di fornire la dimostrazione del fatto costitutivo confutato dall’opposto, un termine per dedurre mezzi istruttori nuovi e diversi rispetto a quelli già richiesti o prodotti nel termine stabilito a pena di decadenza dall’art. 99, comma 2, n. 4, l.fall.
5.5. L’individuazione di un argomento di prova nella mancanza di alcuna contestazione, da parte del fallimento, dello specifico dettaglio delle fatture azionate contenuto nella memoria dell’opponente risulta parimenti erronea, poiché è smentita dal contenuto delle successive difese della procedura.
L’accoglimento della prima censura comporta l’assorbimento (improprio) del secondo motivo di ricorso, il cui esame risulta oramai superfluo.
Il motivo di ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo, in quanto BDO, differentemente da quanto ritenuto dal tribunale, aveva dato prova, producendo le proprie relazioni al bilancio e la rassegna stampa avente ad oggetto tali relazioni, di aver correttamente espletato il suo incarico in relazione all’esercizio 2015, segnalando opportunamente le criticità che secondo il curatore erano state ignorate; il tribunale ha omesso di considerare o travisato la
documentazione versata in atti, il cui esame avrebbe certamente condotto a ritenere assolto, da parte di BDO, l’onere probatorio circa la corretta esecuzione dell’attività di revisione del bilancio per l’esercizio 2015.
8. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente, infatti, assume che le proprie relazioni al bilancio di esercizio e consolidato relative all’esercizio 2015 (ed in particolare i richiami di informativa in essa inserita), ove correttamente apprezzate, consentivano di verificare che BDO aveva preso atto delle condizioni alle quali l’incasso dei crediti era subordinato, vincolando a tale incasso la persistenza della continuità aziendale, così come aveva integralmente esaminato la documentazione sottostante ai SRAGIONE_SOCIALE
Ora, questa Corte ha già avuto occasione di precisare che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di portata tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. 16812/2018, Cass. 19150/2016).
La censura in esame, tuttavia, lamenta non tanto un omesso esame dei documenti prodotti ad opera del giudice di merito nei termini appena illustrati, ma un esame degli stessi non conforme alla lettura che l’odierna ricorrente incidentale vorrebbe dare del loro contenuto; interpretazione, questa, che però non è coerente con la censura sollevabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., che consente di lamentare l’omissione dell’ esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e non la valutazione di tale fatto in un senso
differente da quello voluto dalla parte (Cass. 14929/2012, Cass. 23328/2012).
In conclusione, il provvedimento impugnato deve essere cassato in conseguenza dell’accoglimento del ricorso principale, mentre il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile. La causa va conseguentemente rinviata al Tribunale di Udine, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso principale e inammissibile il ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Udine in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 16 maggio 2025.