Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27030 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27030 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24138/2022 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato presso l’AVV_NOTAIO, con studio sito in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale presso la propria p.e.c. EMAIL;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze n. 585/2022, depositata il 25 marzo 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Con decreto ingiuntivo n. 2347 del 20 agosto 2014, richiesto dalla RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Siena aveva ingiunto a NOME COGNOME il pagamento di euro 35.710,97 oltre spese, sul presupposto che tra le parti era stato stipulato un contratto di appalto il 26 marzo 2012 per opere di manutenzione straordinaria e restauro di un immobile di COGNOME in Siena alla INDIRIZZO; il corrispettivo dei lavori ammontava ad euro 266.464,52 oltre Iva; COGNOME aveva corrisposto acconti per euro 234.000,00 oltre Iva, residuando un saldo di euro 32.464,52 oltre Iva pari ad euro 3.246,45 (totale euro 35.710,97).
Con citazione in opposizione COGNOME aveva sostenuto che il contratto di appalto era a corpo e non poteva subire variazioni rispetto a quanto pattuito. COGNOME aveva sostenuto di aver pagato euro 234.000,00 oltre Iva, mentre avrebbe dovuto pagare da contratto solo euro 150.000,00 oltre Iva. In assenza di espressa autorizzazione alla variazione dell’opera da parte di COGNOME, quest’ultimo aveva chiesto la restituzione di euro 69.000,00 al lordo dell’Iva. Inoltre, in riferimento ai difetti nelle lavorazioni si era riportato a quanto sostenuto nella perizia tecnica di parte redatta dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME che aveva descritto i difetti e i vizi nell’esecuzione delle opere di rilevante entità ammontanti a euro 80.342,01. Aveva sostenuto COGNOME che i difetti e i vizi riscontrati nell’esecuzione delle opere -di rilevante entità come emerso nella relazione Ctp ammontanti a euro 80.342,01 versata in atti -hanno causato rilevanti quanto importanti conseguenze, tali da determinare, oltre al mancato utilizzo dell’immobile, anche la necessità di completo ripristino per successivamente destinare il menzionato immobile a unità abitativa della famiglia COGNOME. Chiedeva pertanto la condanna della società al pagamento per vizi per euro 80.342,01 e alla restituzione di euro 69.000,00.
Si costituiva la società eccependo la decadenza e prescrizione ex art. 1667 cod. civ. e art. 7 del contratto di appalto, secondo cui la direzione dei lavori o il committente avrebbero dovuto contestare i lavori non eseguiti a regola d’arte e secondo le disposizioni contrattuali entro e non oltre il termine massimo di 30 giorni dall’esecuzione dell’opera presumibilmente viziata, mediante nota scritta, specificando le contestazioni. Trascorso tale termine, il lavoro eseguito non potrà venir contestato anche se fosse in totale difformità, e nel merito contestava la sussistenza degli asseriti vizi.
Il Tribunale di Siena, con sentenza n. 95/2016, accoglieva l’eccezione di prescrizione e decadenza ex art. 1667 cod. civ. sollevata da RAGIONE_SOCIALE e confermava il decreto ingiuntivo, condannando COGNOME alla rifusione delle spese di lite.
-Avverso la sentenza proponeva impugnazione NOME COGNOME.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, contrastando l’appello.
La Corte di appello di Firenze ha accolto parzialmente l’appello e ha condannato NOME COGNOME a corrispondere in favore della RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 17.464,52, oltre interessi come in motivazione; fermo il resto, ha condannato NOME COGNOME a corrispondere i due terzi delle spese processuali del primo grado di giudizio, nonché i due terzi delle spese del grado di appello.
–NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso si deducono ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5 vizi di motivazione in violazione di quanto previsto dagli artt. 115, 116, 132 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. La sentenza impugnata presenterebbe un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e, comunque, risulterebbe carente nell ‘ indicazione del criterio logico e del quadro probatorio che ha condotto il Giudice alla formazione del proprio convincimento su punti decisivi della controversia (Cass. civ., n. 3819/2020). Nel caso di specie, dal testo della sentenza impugnata non sarebbe neanche evincibile la motivazione, il criterio logicogiuridico e il quadro probatorio che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento su punti che, dal testo della sentenza e oggettivamente, risultano decisivi ai fini del decidere. Al riguardo, si richiamano alcuni passaggi della motivazione da cui emergerebbero contrasti irriducibili tra affermazioni inconciliabili. In ogni caso, la pronuncia impugnata, nelle parti oggetto di valutazione riportate nel ricorso, rivelerebbe una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il Collegio alla formazione del proprio convincimento su fatti determinanti ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti (in particolare, il ricorrente si sofferma sulla mancata contestazione da parte di COGNOME della cifra di euro 234.000,00 quantificata dalla ditta RAGIONE_SOCIALE sulla conferma, a seguito di mancata contestazione, dell’importo richiesto dalla società nel D.I. opposto, pari ad euro 35.710,97 e sui lavori svolti dalla società ammontavano ad euro 266.464,52 oltre Iva).
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 115, 116 e 645 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. ( ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.), in quanto il collegio avrebbe attribuito l’onere della prova del credito al l’ COGNOME, parte opponente/appellante, e non alla parte opposta/appellata che ne era, invece, onerata. Il giudice d’appello, in presenza di un credito non provato e fondato solo ed esclusivamente su documenti
unilateralmente formati (fatture), da un lato, in violazione di quanto previsto dall’art. 2697 cod. civ., pretendeva dal l’ COGNOME una specifica contestazione della somma di euro 234.000,00, contestazione non dovuta e, comunque, non probante; dall’altro, in violazione di quanto disposto dall’art. 115 cod. proc. civ., dava per provati fatti determinati ai fini del decidere, mai provati dalla COGNOME, fondando la decisione su prove inesistenti. Al contrario, si deduce che la COGNOME si limitava a produrre in giudizio solo ed esclusivamente delle fatture, omettendo di fornire la benché minima prova rispetto al credito azionato.
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090; Cass., Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598).
Nella specie, la Corte d’appello non ha specificato le ragioni per le quali ha ritenuto che i lavori svolti ammontassero a euro 266.464,52 oltre Iva, ritenendo che l’importo costituisse un dato di fatto, dove a fronte di una contestazione degli importi richiesti è necessario fornire la prova di quanto dovuto quale corrispettivo per i lavori svolti, non essendo a tal fine sufficiente la produzione di fatture. Le fatture emesse dall’appaltatore dell’appaltatore per il
proprio compenso non costituiscono idonea prova dell’ammontare del credito, trattandosi di documenti fiscali provenienti dalla parte stessa, né la contabilità redatta dal direttore dei lavori (o dallo stesso appaltatore), salvo che, con riferimento a quest’ultima, risulti che essa sia stata portata a conoscenza del committente e che questi l’abbia accettata senza riserve (Cass., Sez. II, 23 maggio 2024, n. 14399). Sulla quantificazione effettiva dell’importo complessivo dei lavori svolti, indicati nel ricorso per decreto ingiuntivo e contestati in fase di opposizione, i giudici del gravame si sono limitati ad affermare la mancata contestazione degli importi già versati dall’COGNOME alla società appaltatrice, pari a euro 234.000,00 oltre Iva, somma che il ricorrente afferma di aver effettivamente corrisposto alla società RAGIONE_SOCIALE, ma nulla viene detto sulla quantificazione dell’importo complessivo.
-Il ricorso va dunque accolto con rinvio alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione