Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2125 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2125 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18736 – 2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso il AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO , giusta procura a margine del ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
OROLOGIAIO NOME, elettivamente domiciliato in Falciano del Massico (CE), presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec ;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1635/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, pubblicata in data 11/4/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/6/2023 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 2358/2016 dell’11/04/2018, il Tribunale di Napoli Nord rigettò l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti dalla RAGIONE_SOCIALE (di seguito, RAGIONE_SOCIALE), per il pagamento della somma di Euro 26.840,00, oltre interessi, a titolo di corrispettivo residuo del contratto di appalto avente ad oggetto la costruzione delle strutture in cui sarebbe stata esercitata un’impresa di allevamento in Falciano del Massico.
Il Tribunale ritenne che l’opponente non avesse dimostrato l’avvenuto pagamento integrale del prezzo , la cui debenza era stata dimostrata dall’appaltatrice con la produzione del contratto di appalto e la fattura.
Con sentenza n. 1635 dell’11/03/18 , la Corte d’Appello di Napoli, accogliendo l’appello avanzato da RAGIONE_SOCIALE, accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo; ritenne, infatti, che la prova del pagamento di Euro 130.000,00, prodotta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società, non contestata, non necessitasse di specifica imputazione perché tra le parti era intercorso un unico rapporto e perché, seppure risultavano effettuati ulteriori lavori, comunque RAGIONE_SOCIALE aveva, sin dal suo atto di opposizione, dedotto di aver pagato la somma complessiva di Euro 130.000 a tacitazione dell’intera pretesa ; rimarcò che non soltanto tale affermazione non era stata contestata, ma dalla documentazione risultava che la somma pagata fosse superiore al prezzo pattuito; rilevò pure che dalla società non era stata dimostrata la realizzazione di opere ulteriori di valore tale da far risultare –
unitamente a quelle pattuite con il contratto iniziale -insufficiente la somma corrisposta di Euro 130.000,00, atteso che i certificati di collaudo dei lavori, in assenza di indicazione del loro contenuto o di riferimento a computi metrici o contabilità lavori asseverata, attestavano solamente la regolar ità dell’esecuzione delle opere, ma non il loro valore.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE di NOME ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi. NOME COGNOME si è difeso con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo RAGIONE_SOCIALE ha prospettato, in riferimento all’art. 360 comma I n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, cod. proc. civ. per la contraddittorietà della sentenza impugnata: la Corte di Appello avrebbe invertito l’onere probatorio perché non avrebbe valutato che era stata fornita la prova del credito con la produzione del contratto e della fattura, laddove l’opponente non avev a dato prova del pagamento.
Con il secondo motivo la ricorrente ha prospettato, in relazione all’art. 360 comma I n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2236 cod. civ perché non avrebbe considerato che, in mancanza di contestazione, era escluso l’onere di provare gli ulteriori lavori svolti, essendo sufficiente produrre il titolo da cui derivava l’obbligazione; la prova liberatoria dell’adempimento avrebbe dovuta essere fornita da NOME che non aveva contestato la realizzazio ne e l’accettazione dei lavori , ma la loro contabilizzazione e il relativo credito.
2.1. Questi primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono in parte inammissibili perché non colgono la ratio decidendi e in parte infondati.
La Corte territoriale ha rimarcato che tra le parti è intercorso un unico rapporto e che la società non ha contestato di aver ricevuto il pagamento nella misura di Euro 130.000,00 indicata dall’opponente; l’ammontare risultava circostanza pure incontestata -superiore al prezzo pattuito in appalto e quindi, per l’opponente, il pagamento era satisfattivo anche dei lavori aggiuntivi; l’appaltatrice non aveva fornito idonea prova del valore delle opere ulteriori.
L’appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha, invero, l’onere di dimostrare la congruità della somma, con riferimento alla natura, all’entità e alla consistenza delle opere, non costituendo idonee prove dell’ammontare del credito le fatture da lui emesse (Cass. n. 10860 del 2007; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 33575 del 11/11/2021); la fattura commerciale, infatti, per la sua formazione unilaterale e la sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito; conseguentemente, quando tale rapporto sia contestato, la fattura non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio (Cass. Sez. 2, n. 299 del 12/01/2016).
Neppure utili a fini di provare l’ammontare del corrispettivo residuo risultavano i certificati di collaudo dei lavori che, come rilevato nella sentenza impugnata, in assenza di indicazione del loro contenuto o di riferimento a computi metrici o contabilità lavori asseverata, erano idonei ad attestare solamente la regolarità dell’esecuzione delle opere e non il loro valore.
Questa considerazione rende inammissibile il terzo motivo con cui la società ricorrente ha lamentato, in riferimento all’art. 360 comma I n. 5 cod. proc. civ., la mancata considerazione di più fatti secondari che, articolati in un ragionamento presuntivo, avrebbero potuto
costituire la prova dell ‘esistenza degli ulteriori lavori e fondare l’accoglimento della pretesa .
Sul punto, è sufficiente ribadire che la Corte territoriale ha evidenziato che l’avvenuta produzione dei certificati di collaudo e l’ intervenuta accettazione dei lavori (v. ultimo rigo di pag. 4 e pag. 5 della sentenza impugnata), non sono significativi ai fini della prova della debenza di somme ulteriori rispetto ai pagamenti accertati perché non provano il valore delle opere aggiuntive e, in conseguenza, non provano l’insufficienza di quanto già corrisposto a titolo di corrispettivo per tutti lavori eseguiti.
In altri termini, la Corte non ha omesso l’esame di alcun fatto secondario; ne ha escluso la portata di indizio significativo con un’argomentazione in merito intangibile in questa sede di legittimità.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente ha lamentato in riferimento all’art. 360 comma I n. 3 cod. proc . civ., la violazione dell’art. 132, co. II, n. 4, cod. proc. civ. per la contraddittorietà della sentenza impugnata: la Corte di Appello avrebbe errato a ritenere «come evento maggiormente probabile» la circostanza di lavori pagati in misura maggiore rispetto al contratto di appalto senza che gli stessi ulteriori lavori fossero mai stati commissionati e/o accettati, laddove questo evento era «meno probabile » (così in ricorso, senz’altra argomentazione).
Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente ha prospettato, in relazione all’art. 360 comma I n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2967 cod. civ. perché dalla non contestazione del collaudo, dall’i mmissione nelle opere e dall’esecuzione dei lavori deriverebbe un’indiretta conferma dell’ulteriore attività svolta dalla società.
5.1. Anche questi due ultimi motivi sono inammissibili per loro formulazione e perché non conferenti rispetto alla ratio decidendi .
Nel delineare i confini del sindacato di legittimità sulla motivazione dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ex art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, questa Corte ha individuato la motivazione contraddittoria nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Sez. U., n. 22232 del 3/11/2016; ex multis, da ultimo, Cass. Sez. 3, n. 10815 del 18/04/2019, con numerosi richiami; Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Nessuna di tali evenienze ricorre invece nella specie: come detto, nella sentenza impugnata, la Corte territoriale ha rimarcato che il corrispettivo pagato risulta accertato come superiore a quello pattuito; ha perciò ritenuto che la somma corrisposta fosse comprensiva dei lavori extra contratto; ha escluso che la società, avendone l’onere, abbia provato il suo diritto a un corrispettivo residuo dimostrando che i lavori extra contratto fossero di valore superiore all’importo del maggior prezzo pagato.
Di questo ragionamento, con le censure suesposte, non sono stati evidenziati difetti di motivazione che giustifichino un riesame nel merito.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna della RAGIONE_SOCIALE di NOME al rimborso delle spese processuali in favore di NOME COGNOME, liquidate in dispositivo in relazione al valore della controversia, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna RAGIONE_SOCIALE di NOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, antistatario.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda