Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13506 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13506 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9012/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI PALERMO n. 1632/2017 depositata il 21/09/2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Palermo decreto n. 2557/2007 con cui ingiungeva al RAGIONE_SOCIALE
delle vie INDIRIZZO in Palermo (‘Il RAGIONE_SOCIALE‘) il pagamento a suo favore della somma di € 34.469,58 (oltre ad € 3.115,96 per interessi). A sostegno della sua pretesa, la società ricorrente affermava che il pagamento era dovuto a titolo di saldo per i lavori eseguiti in virtù del contratto di appalto stipulato inter partes il 04.09.2002, avente ad oggetto l’esecuzione, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di collettori fognari del condominio committente, nonché la fornitura del materiale necessario, al prezzo convenuto di € 69.635,00 (oltre I.V.A.) da corrispondersi attraverso diversi stati di avanzamento lavori (SAL). Poiché nel corso dell’esecuzione dei lavori -terminati il 31.05.2003 – si presentarono numerose difficoltà, l’importo subì una lieve modifica, giacché alcune opere non furono effettuate per ragioni non dipendenti dalla società appaltatrice, mentre fu altresì necessario effettuare ulteriori integrazioni autorizzate dal condominio.
Si opponeva al decreto ingiuntivo il RAGIONE_SOCIALE, contestando la pretesa creditoria e sollevando eccezione di inadempimento, con consequenziale risoluzione del contratto a causa del ritardo nell’ultimazione delle opere appaltate, nonché di specifici vizi e difformità delle opere eseguite, sulle quali chiedeva l’espletamento di apposita CTU al fine di verificare – previo sopralluogo – la loro effettiva realizzazione.
1.1. Il Tribunale di Palermo, stabilita l’impossibilità di accertare l’entità e la consistenza delle opere realizzate da RAGIONE_SOCIALE in assenza di un’esatta e specifica indicazione delle opere asseritamente eseguite dall’appaltatrice, in accoglimento dell’opposizione revocava il decreto ingiuntivo.
La sentenza veniva impugnata da RAGIONE_SOCIALE innanzi alla Corte d’Appello di Palermo; costituitosi, il RAGIONE_SOCIALE spiegava appello incidentale.
La Corte d’Appello di Palermo accoglieva il gravame: in riforma della sentenza impugnata revocava il decreto ingiuntivo,
condannava il RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE della residua somma dovuta a saldo, pari ad €5.144,26, nonché alla rifusione delle spese processuali di tutti i gradi di giudizio. A sostegno della sua decisione, affermava la Corte che:
a) il giudice di primo grado aveva acclarato che i lavori cui si era impegnata RAGIONE_SOCIALE erano stati svolti nel tempo convenuto a séguito di proroga concessa dallo stesso RAGIONE_SOCIALE (come definitivamente accertato dal Tribunale Palermo con sentenza n. 2495/2006 in altro giudizio riguardante il medesimo oggetto e le medesime parti); il RAGIONE_SOCIALE non aveva mai effettuato alcuna contestazione nel corso della realizzazione delle opere (se non a séguito del decreto ingiuntivo subìto e all’instaurazione del giudizio di opposizione), stante l’assenza degli allegati al contratto d’appalto che impediva sia il ricorso ad una consulenza tecnica al fine di evidenziare eventuali vizi, sia la quantificazione delle opere effettuate. Conseguentemente, la quantificazione delle opere effettuate sarebbe stata possibile sulla scorta della mancata contestazione del committente, e l’importo da corrispondere alla ditta appaltatrice non avrebbe potuto che essere quello esposto nelle fatture, al netto degli acconti versati dal RAGIONE_SOCIALE, di fatto corrispondente all’importo pattuito dalle stesse parti nel contratto di appalto;
b) non potevano essere prodotti in appello per la prima volta, ex art. 345 cod. proc. civ., i documenti nuovi proposti sia dall’appellante (il SAL numero 5 dei lavori eseguiti a tutto il 31/05/2003 proveniente dalla società appaltatrice, né la relazione di accompagnamento al quinto SAL), sia dal RAGIONE_SOCIALE appellato, poiché non sussistevano i presupposti di legge. L’appaltatrice non aveva, infatti, dimostrato di non aver potuto produrli prima per causa a sé non imputabile, né i medesimi documenti avrebbero dovuto reputarsi indispensabili; quanto al valore del certificato sullo
stato di avanzamento lavori, tale documento non costituiva prova legale in favore dell’appaltatore o contro il committente, né aveva valore di confessione a favore della parte del contratto diversa da quella che lo aveva formato o nel cui interesse era formato;
c) in rigetto dell’appello incidentale, il giudice di seconde cure precisava che poiché l’opposizione al decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario e autonomo giudizio di cognizione, in cui ciascuna delle parti mantiene la propria effettiva e naturale posizione, spettava al debitore convenuto (il RAGIONE_SOCIALE) l’onere della prova del fatto estintivo della pretesa di RAGIONE_SOCIALE, costituito dall’avvenuto adempimento. La revoca del decreto ingiuntivo opposto era stata correttamente ordinata dal giudice di prime cure, posto che aveva ritenuto parzialmente fondata l’eccezione di pagamento, avendo il RAGIONE_SOCIALE versato una parte del debito a titolo di acconto (€40.444,73). Aveva errato il primo giudice laddove non aveva statuito sul residuo importo del credito vantato: tale importo sarebbe ammontato ad €5.144,26, corrispondente alla differenza tra quanto versato dal RAGIONE_SOCIALE nelle more del giudizio (€32.441,28) e l’ammontare stesso del decreto (€37.585,54: €34.469,58 in sorte capitale, €3 .115,96 per interessi) a titolo di pagamento del saldo dei lavori;
d) quanto al vizio di ultra-petizione lamentato nel secondo motivo di appello incidentale, il RAGIONE_SOCIALE aveva esplicitamente richiesto la risoluzione del contratto per inadempimento della società appaltatrice per mancata o ritardata consegna dei lavori. Pertanto, correttamente il Tribunale aveva chiarito che, in mancanza dell’avvenuta consegna dell’opera appaltata , trova applicazione la disciplina generale dei contratti (non quella speciale in materia di appalto , concernente vizi o difformità dell’opera) e che detto inadempimento doveva ritenersi non sussistente per le ragioni esposte sub a);
La suddetta pronuncia veniva impugnata innanzi a questa Corte dal RAGIONE_SOCIALE delle vie Saffo e Pindaro, e il ricorso affidato a cinque motivi. In prossimità dell’adunanza il ricorrente depositava memoria.
Si difendeva RAGIONE_SOCIALE depositando controricorso. CONSIDERATO CHE:
Preliminarmente, deve disattendersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di specificità ex art. 366, n. 6 cod. proc. civ., sollevata dalla controricorrente (pp. 4-8), posto che il ricorso mette in condizione il Collegio di valutarne le doglianze anche sotto il profilo dell’ error in procedendo . Nei motivi sono chiaramente individuabili i vizi denunciati (Cass., Sez. 6-5, 07/11/2017, n. 26310) e contengono tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e a permettere, altresì, la valutazione della fondatezza di tali ragioni.
1.1. Tanto premesso, con il primo motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2709 cod. civ. e degli artt. 634, comma 2 e 645 cod. proc. civ., nonché violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 645 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. Nella prospettazione del ricorrente, le fatture non sono mezzi idonei a rappresentare nel giudizio di merito, qual è quello di specie di opposizione ex art. 645 cod. proc. civ., prova idonea in ordine alla certezza, liquidità ed esigibilità del credito dichiarato, né ai fini della dimostrazione del fondamento della pretesa, avuto riguardo alla formazione unilaterale del documento. La fattura non può, dunque, assurgere a prova del contratto, né le si può riconoscere alcun valore – neppure indiziario – in ordine alla corrispondenza della prestazione rispetto a quella pattuita, come agli altri elementi costitutivi del contratto. Del resto, l’eventuale mancata contestazione, da parte del RAGIONE_SOCIALE convenuto, dei
fatti dedotti dall’attore non elimina né attenua l’onere della prova gravante su quest’ultimo: non è affatto sufficiente la mancata contestazione, come affermato dalla Corte d’appello, non essendo esistente nel nostro ordinamento processuale un principio che vincoli alla contestazione specifica ogni situazione di fatto dichiarata dalla controparte.
1.2. Il motivo è fondato. Il principio espresso reiteratamente da questa Corte, senz’altro a partire dal 2001, per cui in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per l’adempimento (come per la risoluzione contrattuale e per il risarcimento del danno) deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte (v. per tutte: Cass. Sez. U, n. 13533 del 20.10.2001, Rv. 549956 – 01) non può trovare applicazione al caso che ci occupa. Infatti, l’assenza dei SAL (che avrebbero determinato la scadenza del credito e l’esigibilità della pretesa del creditore, ai sensi dell’art. 5 del contratto di appalto intercorso tra le parti) fa sì che del credito vantato da RAGIONE_SOCIALE non sia stata dimostrata né l’esigibilità né la liquidità.
1.2.1. Né a tanto possono soccorrere le fatture: questa Corte ha già avuto occasione di affermare che la fattura – per sua natura (formazione unilaterale) e funzione (far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto) – è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 299 del 12/01/2016, Rv. 638451 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15383 del 28/06/2010, Rv. 613803 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13651 del 13/06/2006, Rv. 590631 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8126 del 28/04/2004, Rv. 572408 -01). Essa è un
mero documento contabile che può, ai sensi dell’art. 2710 cod. civ., far prova dei rapporti intercorsi tra imprenditori, ma che in nessun caso assume la veste di atto scritto avente natura contrattuale, sicché essa è inidonea a fornire la prova tanto della esistenza, quanto della liquidità di un credito (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19944 del 12/07/2023, Rv. 668145 -01; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19944 del 12/07/2023, Rv. 668145 -01; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 30309 del 14/10/2022, Rv. 665971 – 01).
1.3. Quanto alla non contestazione: essa può avere rilevanza per ciò che attiene ai vizi e difformità delle opere cui l ‘appaltatrice si era obbligata, ma non per i pagamenti, che dovevano essere effettuati ogniqualvolta avessero raggiunto il 20% dell’intero ammontare (art. 3 del contratto del 04.09.2002). Anche a voler confermare che i SAL non hanno natura di prova legale (confessione), tuttavia ad essi il contratto si riportava per la liquidazione dei diversi pagamenti, che sarebbero divenuti esigibili allo scadere dei trenta giorni da ll’emissione della fattura per ogni SAL e dalla produzione del certificato a cura del Direttore dei Lavori . Pertanto, era onere dell’appaltatrice produrli in giudizio. A tal proposito questa Corte ha già avuto occasione di affermare che i SAL, hanno la valenza, ex art. 58 del r.d. 350 del 1895, ricavata obbligatoriamente dal registro di contabilità, di attestare quantità, qualità ed ammontare dei lavori eseguiti da una certa data (così anche per il successivo art. 114 del d.p.r. n. 554/1999), lasciando invece impregiudicata ogni questione relativa all’esecuzione dei lavori, alla presenza di difetti o di altri inadempimenti, ed alla loro tempestività, da verificarsi alla stregua delle clausole contrattuali (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3614 del 10/02/2017, Rv. 643873 01).
1.4. In definitiva, in assenza di adeguata dimostrazione del credito maturato, non può applicarsi il principio sopra riportato in
tema di onere della prova in materia di inadempimento contrattuale.
2. Con il secondo motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 645 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1460 cod. civ. e 2697 cod. civ. Ha errato la Corte d’Appello nell’attribuire alla società opposta l’onere della prova soltanto dell’esistenza della fonte negoziale del suo diritto, onerando di contro il RAGIONE_SOCIALE opponente di provare il fatto modificativo, impeditivo o estintivo dell’altrui pretesa. Incombeva su RAGIONE_SOCIALE l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio che, quindi, ne condizionavano la sua esistenza e la sua efficacia. Poiché l’appaltatrice agiva per il pagamento del prezzo, la Corte di merito avrebbe dovuto rilevare che su di essa gravava l’onere di dimostrare gli elementi costitutivi del contratto: l’oggetto, cioè l’opera richiesta dal committente, le caratteristiche pattuite, nonché la qualità, quantità e contabilizzazione delle opere asseritamente seguite. Qualora, poi, il convenuto – a fronte di una domanda di adempimento dell’attore – opponga l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. per paralizzare la pretesa dell’attore, in tale eventualità i ruoli sono invertiti (Cass. Sez. U, n. 13533 del 2001, cit.): chi formula l’eccezione può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento e sarà la controparte a dover neutralizzarla dimostrando il proprio adempimento, o la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione a suo carico (tra le altre: Cass. Sez. 1, n. 11629 del 15.10.1999, Rv. 530665 – 01). Del resto, la stessa Corte distrettuale ha avallato la censura del giudice di prime cure circa la mancanza agli atti dei SAL, nonché la mancanza degli altri allegati al contratto di appalto stipulato inter partes . In sintesi: la Corte d’Appello ha errato nell’addossare al RAGIONE_SOCIALE opponente un onere probatorio (quello della dimostrazione dell’inadempimento o dell’esatto adempimento
dell’appaltatore); onere che, nel contrasto fra le parti circa il contenuto del contratto e a fronte dell’eccezione ex art. 1460 cod. civ. spiegata dal convenuto per l’adempimento avrebbe dovuto essere configurato a carico delle RAGIONE_SOCIALE in termini di dimostrazione del contratto, del suo specifico contenuto e delle specifiche caratteristiche con le quali l’opera doveva essere eseguita e, all’esito positivo di tale prova, l’inadempimento ovvero lo scarto fra prestazione pattuita e quella eseguita.
2.1. Il motivo è fondato. Deve ritenersi applicabile al caso di specie il criterio di riparto dell’onere della prova già espresso nella citata sentenza n. 13533 del 2001 rilevante nel caso in cui, come quello che ci occupa, il debitore convenuto per l’adempimento (il RAGIONE_SOCIALE) si sia avvalso dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ., risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione. In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il debitore convenuto per l’adempimento, ove sollevi l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. sarà onerato di allegare l’altrui inadempimento, gravando sul creditore agente l’onere di dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3587 del 11/02/2021, Rv. 660419 -01: fattispecie vertente sul mancato esame, da parte del giudice del merito, delle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio da cui emergeva l’inesatto adempimento del creditore agente, dedotto dal debitore a fondamento della exceptio inadimpleti contractus ; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13674 del 13/06/2006, Rv. 589694 -01; Cass. Sez. U, n. 13533 del 2001, cit.).
A completamento di quanto sopra richiamato, questa Corte ha avuto modo di chiarire che, in tema di inadempimento del contratto
di appalto, le disposizioni speciali dettate dal legislatore attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art. 1667 cod. civ., ma non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere -allorché il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al terzo comma di detta disposizione – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 936 del 20/01/2010, Rv. 611262 -01; nello stesso senso: Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 98 del 04/01/2019, Rv. 652214 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 826 del 20/01/2015, Rv. 634361 -01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15659 del 15/07/2011, Rv. 618664 -01).
3. Con il terzo motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. – Mancata corrispondenza fra chiesto e pronunciato. Il ricorrente lamenta error in procedendo e nullità della sentenza, in quanto la Corte di merito – interferendo nel potere dispositivo delle parti – ha alterato il petitum e la causa petendi della domanda formulata dal RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto il diritto dell’opponente alla restituzione delle somme pagate all’appaltatrice in virtù della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, con conseguente condanna dell’appaltatore alla restituzione della corrispondente somma di €32.441,28. La domanda di restituzione in favore del RAGIONE_SOCIALE delle somme pagate in virtù e nelle more della previsione esecuzione del decreto opposto doveva, insomma, ritenersi implicita in quella di impugnazione e di revoca del decreto stesso: la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che la causa petendi della domanda elevata dal RAGIONE_SOCIALE vertesse sulla
mancata valorizzazione o accertamento dell’eccezione di estinzione parziale del debito per effetto dei pagamenti parziali eseguiti successivamente all’emissione del decreto ingiuntivo e aveva individuato il petitum nella mancata statuizione da parte del giudice di prime cure sul residuo e minore importo del credito vantato da RAGIONE_SOCIALE Così decidendo, la Corte d’Appello aveva riconosciuto al RAGIONE_SOCIALE un bene diverso (i pagamenti a titolo di estinzione parziale del debito) da quello richiesto (la restituzione dell’intera somma di €32.441,28 pagata non già per estinguere il debito, bensì per ottemperare alla provvisoria esecuzione).
3.1. Avendo il Collegio accolto il primo motivo del ricorso, il terzo motivo si dichiara assorbito nell’accoglimento del primo .
Con il quarto motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. – Mancata corrispondenza fra chiesto e pronunciato. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’Appello, aderendo alla statuizione del giudice di prime cure, attribuiva anch’essa al RAGIONE_SOCIALE un bene giuridico diverso da quello richiesto, ossia la risoluzione del contratto ex art. 1453 cod. civ. L’intento difensivo del RAGIONE_SOCIALE era quello di sollevare una mera eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ., non già di formulare un’autonoma domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto de quo . Pertanto, doveva ritenersi che – anche in contrasto con l’orientamento di legittimità – la Corte d’Appello, ricomprendendo nella minore eccezione ex art. 1460 cod. civ. la maggiore domanda di risoluzione per inadempimento, non proposta dal condominio opponente, avesse violato il disposto normativo dell’art. 112 cod. proc. civ. Con una seconda doglianza si assume l’ error in procedendo, sempre per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per aver considerato le censure del RAGIONE_SOCIALE in punto di reciproca soccombenza e di compensazione delle spese del giudizio di prime cure come autonomi motivi di appello incidentale. Tali censure, in
realtà, erano state formulate quale vizio derivato a cascata dalla ritenuta soccombenza rispetto alla domanda di risoluzione del contratto inter partes .
4.1. Anche il quarto motivo è fondato. Ove si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del «fatto processuale», detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere in maniera autonoma alla ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 21926 del 2015; conf. Cass. n. 15367 del 2014). Il ricorrente -ottemperando alla richiesta specificità del motivo di ricorso ex art. 366 n. 6 cod. proc. civ. -ha indicato al Collegio come e dove rinvenire le richieste espresse al giudice di seconde cure (v. ricorso p. 30, ultimo capoverso) e di prime cure (v. ricorso, p. 31 ultimo capoverso; p. 32, primi due righi) . Dall’esame degli atti, in effetti non risulta la richiesta di risoluzione del contratto di appalto, bensì solo l’espressa eccezione di inadempimento formulata nell’atto di citazione in opposizione, 3° capoverso. La C orte d’ Appello (v. sentenza impugnata, p. 12 ultimo capoverso) ha interpretato un’affermazione difensiva dell’opponente ( «Sotto altro profilo, nel merito, si evidenzia che alcun credito può vantare la RAGIONE_SOCIALE nei confronti del condominio delle Vie INDIRIZZO, tantomeno quello di €37.585,54 artatamente richiesto con il D.1. oggi opposto, atteso che il contratto di appalto si è risolto per grave inadempimento della ditta») quale espressa richiesta di risoluzione del contratto, in realtà non formulata in sede di conclusioni nell’atto di citazione in opposizione a DI.
4.2. La seconda doglianza resta assorbita nell’accoglimento del primo e quarto motivo di ricorso.
Con il quinto motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti. Premesso che la Corte d’Appello ha solo in parte aderito al percorso argomentativo del giudice di prime cure in punto di confutazione dei vizi e dei ritardi dell’opera, avendo posto l’accento su due elementi di fatto, invece, non valorizzati dal giudice di prime cure (l’asserita mancata contestazione da parte del condominio committente delle opere eseguite; il valore probatorio delle fatture unilateralmente emesse dalla società appaltatrice), la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha omesso di valutare fatti storici decisivi, cioè la discordanza tra l’importo delle opere contrattualmente pattuito e quello delle opere fatturate, nonché la modifica delle opere oggetto di appalto per la mancata esecuzione di alcune di esse. Se la Corte territoriale avesse esaminato opportunamente tali fatti storici, avrebbe stabilito che l’entità del credito ingiunto, peraltro diversa da quella stabilita in contratto, non aveva trovato conferma in giudizio, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure.
5.1. Il motivo è inammissibile sotto due diversi profili.
Innanzitutto, i «fatti storici» ai quali fa riferimento il ricorrente (ossia la discordanza tra l’importo delle opere contrattualmente pattuito e quello delle opere fatturate, nonché la modifica delle opere oggetto di appalto per la mancata esecuzione di alcune opere) tali non sono, poiché il RAGIONE_SOCIALE chiede a questa Corte una nuova valutazione delle risultanze probatorie lasciata al giudice del merito e non sindacabile in questa sede. L’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. (nell’attuale testo modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006) riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso
accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019, Rv. 655413 -01; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018, Rv. 651305 -01; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017, Rv. 644485 – 01), come nel motivo di ricorso in esame.
In secondo luogo, l’ inammissibilità deriva dalla carente riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. La Corte territoriale, pur dando conto di quanto accertato dal giudice di prime cure e da precedente sentenza dello stesso Tribunale di Palermo, ossia che alcune opere non poterono essere effettuate per ragioni indipendenti dalla volontà di RAGIONE_SOCIALE, e che da tanto derivava una lieve modifica dell’importo dei lavori, ha tratto da tali fatti storici non controversi conseguenze logiche legate unicamente all’ammontare de gli importi ancora dovuti (v. sentenza p. 10, 1° – 3° capoverso). Come si è visto ( supra , punto 1.3.), la decisione della Corte territoriale in merito alla sussistenza della pretesa creditoria di RAGIONE_SOCIALE è, invece, fondata sulla valenza probatoria della non contestazione, da parte del RAGIONE_SOCIALE, dei lavori effettuati e, per conseguenza, degli importi risultanti dalle fatture emesse.
In definitiva, il Collegio accoglie il primo, secondo e quarto motivo del ricorso e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio; dichiara assorbito il terzo e inammissibile il quinto motivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, accoglie il primo, secondo e quarto motivo del ricorso, dichiara inammissibile il quinto motivo
ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda