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Onere della prova appalto: chi prova i vizi?

Una società committente si opponeva al pagamento del saldo di un subappalto, lamentando vizi e l’abbandono del cantiere. La Corte d’Appello ha respinto le sue richieste, chiarendo i principi sull’onere della prova appalto. È stato stabilito che, una volta che il subappaltatore prova di aver concluso i lavori, spetta al committente, che ha la disponibilità dell’immobile, fornire una prova specifica e tempestiva dei singoli difetti lamentati. Contestazioni generiche e tardive non sono sufficienti per sottrarsi al pagamento.

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Onere della Prova in Appalto: Chi Deve Dimostrare i Vizi dell’Opera?

Nei contratti di appalto, specialmente nel settore edile, le controversie sul pagamento dei corrispettivi sono all’ordine del giorno. Spesso il committente blocca il saldo finale lamentando vizi o difformità nei lavori eseguiti. Ma chi ha la responsabilità di dimostrare tali difetti? Una recente sentenza della Corte d’Appello di Torino fa luce su un aspetto cruciale: l’onere della prova appalto. Questo principio stabilisce quale delle parti in causa debba fornire le prove a sostegno delle proprie affermazioni, un fattore che può determinare l’esito del giudizio.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un contratto di subappalto per la posa di pavimentazioni e rivestimenti in un cantiere di nuova costruzione. La società subappaltatrice, dopo aver completato i lavori ed emesso due fatture, riceveva il pagamento solo della prima. Di fronte al mancato saldo della seconda fattura, otteneva un decreto ingiuntivo contro la società committente.

La committente si opponeva al decreto, sostenendo che la subappaltatrice avesse eseguito i lavori in modo difettoso e avesse abbandonato il cantiere prima di completarli. A sostegno della sua tesi, presentava una domanda riconvenzionale per ottenere il risarcimento dei danni, quantificati nei costi sostenuti per rimediare ai presunti vizi.

La subappaltatrice, al contrario, affermava di aver terminato correttamente tutte le opere nei tempi previsti (tra aprile e maggio 2018) e che le contestazioni erano state sollevate dalla committente solo diversi mesi dopo, ben oltre i termini di legge.

La Decisione della Corte e l’Onere della Prova Appalto

La Corte d’Appello, confermando la decisione del Tribunale di primo grado, ha respinto l’appello della committente, condannandola al pagamento del saldo dovuto. La decisione si fonda su una rigorosa applicazione delle regole sull’onere della prova appalto.

Il principio generale, stabilito dalla Cassazione a Sezioni Unite, prevede che il creditore che agisce per l’adempimento (in questo caso, il subappaltatore per il pagamento) deve provare la fonte del suo diritto (il contratto) e allegare l’inadempimento della controparte. Spetta poi al debitore (la committente) dimostrare di aver adempiuto correttamente.

Il Principio di Vicinanza della Prova

Tuttavia, la Corte ha specificato che questo schema va integrato con il principio di vicinanza della prova. Una volta che l’appaltatore ha provato di aver completato l’opera, l’onere di dimostrare l’esistenza di specifici vizi e difformità si trasferisce sul committente. Questo perché è il committente ad avere la disponibilità fisica e giuridica dell’opera finita e, quindi, si trova nella posizione migliore per fornire la prova concreta dei difetti.

Nel caso specifico, la subappaltatrice aveva dimostrato di aver concluso i lavori nei mesi di aprile e maggio 2018. La committente, invece, ha sollevato le contestazioni solo a fine settembre 2018, dopo aver avuto per mesi l’esclusiva disponibilità degli immobili. A quel punto, non era più sufficiente una generica lamentela.

Le Motivazioni

La Corte ha evidenziato diverse carenze nell’argomentazione della società committente. Innanzitutto, le contestazioni sui vizi sono state ritenute generiche e non sufficientemente specifiche. L’allegazione che le opere fossero “gravate da vizi e difformità” non era supportata da una descrizione dettagliata e puntuale dei problemi in ogni singola unità immobiliare.

In secondo luogo, la denuncia dei vizi è risultata tardiva. L’art. 1667 c.c. prevede un termine di decadenza di 60 giorni dalla scoperta per denunciare i difetti. Essendo i lavori terminati a maggio e la denuncia avvenuta a fine settembre, la committente non ha rispettato tale termine. La Corte ha chiarito che, superato questo periodo, il committente non può più far valere la garanzia per vizi, a meno che non si tratti di difetti talmente gravi da compromettere la struttura dell’edificio (art. 1669 c.c.), circostanza non applicabile al caso di specie.

Infine, le prove richieste dalla committente (testimonianze dei propri dipendenti e una Consulenza Tecnica d’Ufficio – CTU) sono state giudicate inammissibili. Le testimonianze erano generiche sul tempo e sul luogo dei presunti difetti, mentre la CTU è stata respinta perché ritenuta “esplorativa”, ovvero volta a ricercare prove che la parte non era stata in grado di fornire autonomamente, piuttosto che a valutare elementi già acquisiti.

Conclusioni

La sentenza offre un insegnamento pratico fondamentale per committenti e appaltatori. Un committente che rileva dei difetti nell’opera non può limitarsi a una contestazione verbale o generica per sospendere i pagamenti. È necessario agire tempestivamente, rispettando i termini di legge per la denuncia, e soprattutto documentare in modo specifico e dettagliato ogni singolo vizio. La prova deve essere concreta: fotografie datate, perizie di parte, comunicazioni scritte e puntuali. In assenza di una prova rigorosa e tempestiva, il principio di vicinanza della prova gioca a sfavore di chi ha il controllo dell’opera e, come in questo caso, l’obbligo di pagare il corrispettivo pattuito non può essere messo in discussione.

In un contratto di appalto, chi deve provare che i lavori sono stati eseguiti correttamente?
Inizialmente, l’appaltatore deve provare l’esistenza del contratto e di aver completato l’opera. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul committente, che deve dimostrare in modo specifico l’esistenza di vizi o difetti.

Se il committente contesta dei vizi, cosa deve fare per non pagare il saldo?
Il committente deve denunciare i vizi entro 60 giorni dalla scoperta. La sua contestazione non può essere generica, ma deve provare l’esistenza concreta e attuale di ogni difetto, indicando la sua natura e localizzazione. La prova deve essere fornita dal committente, in quanto detiene la disponibilità materiale dell’opera.

Una denuncia tardiva o generica dei vizi è sufficiente per bloccare un pagamento?
No. La sentenza chiarisce che una denuncia effettuata oltre i termini di legge (decadenza) o formulata in modo generico è inefficace. Non è sufficiente per attivare la garanzia per vizi e, di conseguenza, non giustifica il mancato pagamento del saldo dovuto all’appaltatore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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