Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2815 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2815 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2841/2022 R.G. proposto da :
DITTA COGNOME NOME COGNOME, rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
Contro
NOME DI COGNOME NOME COGNOME NOME, COMUNE DI VILLA LATINA, RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ROMA n. 5085/2021 depositata il 09/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
R.G. 2841/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 20/12/2024
C.C. 14/4/2022
CONTRATTO DI APPALTO. INADEMPIMENTO. PROVA
FATTI DI CAUSA
1. Il Comune di Villa Latina (FR) concesse una serie di contributi in favore dei proprietari di immobili colpiti dagli eventi sismici dell’anno 1984 e rimasti per tale ragione danneggiati. Fra questi approvò, in favore dei danti causa di NOME COGNOME ed NOME COGNOME lo stanziamento della somma di lire 89.042.000; successivamente, ricevuta dal COGNOME, dal direttore dei lavori e dall’impresa incaricata la comunicazione dell’avvenuto inizio delle opere di ricostruzione dell’immobile, il Comune erogò al COGNOME, anche in qualità di procuratore speciale del COGNOME, con delibera del 2 febbraio 2001, la somma di lire 72.661.861. La concessione del contributo prevedeva, tra l’altro, l’obbligo di inizio dei lavori entro quattro mesi dal rilascio del contributo e l’obbligo di portarli a termine entro ventiquattro mesi dalla medesima data.
Non avendo il COGNOME portato a termine i lavori nel termine ora indicato, il Comune di Villa Latina, con delibera del 3 dicembre 2003, revocò il contributo e successivamente convenne in giudizio NOME COGNOME ed NOME COGNOME davanti al Tribunale di Cassino, affinché fossero condannati alla restituzione della somma in precedenza ricevuta.
NOME COGNOME si costituì in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda e chiamando in garanzia l’impresa edile NOME Roberto RAGIONE_SOCIALE, asseritamente ritenuta responsabile dei ritardi che avevano dato luogo al provvedimento di revoca del contributo.
L’impresa edile si costituì, negando ogni addebito e chiamando in causa il direttore dei lavori, geom. NOME COGNOME il quale pure si costituì contestando la domanda e chiamando in garanzia la società di assicurazioni Unipolsai. L’impresa convenuta avanzò poi una domanda riconvenzionale per il pagamento di residue somme ad essa dovute.
Si costituì anche NOME COGNOME chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale accolse la domanda del Comune e, riconosciuta la responsabilità del ritardo a carico del COGNOME in proprio e quale procuratore speciale del COGNOME, condannò entrambi alla restituzione della somma a suo tempo ricevuta in favore del Comune; accolse la domanda riconvenzionale e condannò il COGNOME e il COGNOME al pagamento, in favore dell’impresa edile, della somma di euro 6.776,51, regolando le spese di giudizio.
La pronuncia è stata impugnata dal COGNOME e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 9 luglio 2021, ha accolto il gravame e, in parziale riforma della decisione del Tribunale, ha condannato l’impresa edile a tenere indenne il COGNOME di quanto quest’ultimo fosse tenuto a pagare al Comune di Villa Latina, nonché al pagamento dei due terzi delle spese di lite del primo e secondo grado, compensate quanto al terzo residuo.
La Corte territoriale ha osservato che sussistevano, nella specie, gli estremi della garanzia impropria di cui all’art. 106 cod. proc. civ.; per cui, mentre tra il Tusei e il Comune il rapporto era costituito dall’erogazione del contributo, tra l’impresa edile Annunzio e il Tusei il vincolo giuridico derivava dal contratto di appalto ed aveva natura risarcitoria.
Tanto premesso -dopo aver richiamato le regole sul riparto dell’onere della prova in materia di adempimento delle obbligazioni -la Corte d’appello ha affermato essere «incontroverso», e quindi non bisognoso di prova, pur in assenza di produzione del contratto di appalto, «l’impegno dell’appaltatore di ultimare l’opera entro il termine di ventiquattro mesi dall’inizio dei lavori». Pertanto, non avendo l’impresa edile Annunzio fornito la prova, gravante a suo carico ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., che l’inadempimento non fosse ad essa imputabile, e non avendo la stessa dimostrato che la mancata tempestiva consegna fosse dipesa da dissidi interni tra il COGNOME e il COGNOME, la domanda «risarcitoria» proposta dal COGNOME doveva essere accolta.
Doveva, viceversa, ritenersi abbandonata, siccome non riproposta, l’ulteriore domanda di manleva avanzata dall’impresa edile nei confronti della società di assicurazioni Unipolsai.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso l’impresa edile RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a tre motivi e affiancato da memoria.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, genericamente, violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, non avendo la Corte d’appello preso in esame una serie di circostanze che avrebbero dovuto condurre ad un diverso esito del giudizio.
Osserva l’impresa ricorrente che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare una serie di elementi dai quali emergeva che l’unico comportamento idoneo a determinare il ritardo era da ricondurre a responsabilità del COGNOME, il quale aveva preteso che sul suo immobile venissero eseguiti lavori non previsti, ne aveva ostacolato la conclusione e non era riuscito a ricomporre i dissidi col direttore dei lavori. Il COGNOME aveva siglato la documentazione attestante l’esecuzione dei lavori con la dicitura ‘con riserva’, in tal modo rendendo quei documenti inutilizzabili ai fini della loro valida consegna. Oltre a ciò, la Corte d’appello non avrebbe tenuto in considerazione che la sentenza del Tribunale aveva accolto la domanda riconvenzionale dell’odierna ricorrente, condannando il Tusei a pagare la somma di euro 6.776,51 per lavori eseguiti sul medesimo immobile; tale condanna era passata in giudicato e dimostrerebbe il pieno adempimento da parte dell’impresa.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, genericamente, violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’affermata responsabilità del direttore dei lavori.
Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe in alcun modo esaminato, come invece era stato richiesto, la sussistenza di una chiara responsabilità in capo al geom. COGNOME, direttore dei lavori, soggetto anch’egli legato al Tusei dal medesimo rapporto contrattuale. Soltanto al direttore, infatti, competeva di tenere i contatti con l’impresa Annunzio, per cui il ritardo nella consegna non poteva che dipendere anche da lui.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, genericamente, violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., errore o falsa applicazione di legge, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo, quanto all’effettiva sussistenza dell’obbligo, in capo alla parte ricorrente, di completare i lavori entro ventiquattro mesi dalla consegna, obbligo che gravava, invece, solo sul Tusei.
La parte ricorrente lamenta violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere non contestato l’impegno dell’appaltatore, assunto nei confronti del COGNOME, di ultimare l’opera entro il termine di ventiquattro mesi. Il COGNOME, invece, aveva affermato che il Comune aveva stipulato il contratto con l’impresa COGNOME, per cui si sarebbe dovuto fare sempre riferimento al rapporto tra Comune e impresa edile. Ne consegue che la contestazione proveniente dal Comune di Villa Latina relativa all’esistenza di un contratto fra sé e l’impresa dovrebbe giovare anche alla ricorrente, non dovendo essere soltanto quest’ultima a contestare la circostanza di cui sopra. Non vi sarebbe, in effetti, alcuna prova dell’esistenza di un contratto dal quale desumere l’obbligo di terminare i lavori entro la scadenza di ventiquattro mesi. Vi sarebbe, poi, l’omesso esame delle ordinanze del Comune, con ulteriore violazione dell’art. 115 cit., anche perché non c’era, in effetti, alcun contratto tra il Comune e l’impresa RAGIONE_SOCIALE.
I tre motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente, in considerazione dell’evidente connessione che li unisce, e sono fondati nei termini che si vanno adesso a indicare.
È opportuno innanzitutto mettere in luce come la sentenza impugnata, la cui motivazione è obiettivamente assai scarna, ha costruito la propria decisione essenzialmente su un solo argomento, contenuto alla p. 5. In quel passaggio la Corte di merito ha rilevato, come si è già detto, che era pacifica l’esistenza di un obbligo dell’appaltatore di consegnare l’opera entro due anni dall’inizio dei lavori e che l’odierno ricorrente non aveva dato prova, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., della non imputabilità, a suo carico, dell’inadempimento.
Non risultano tenuti nella dovuta considerazione, tuttavia, due diversi elementi, di segno contrario, che avrebbero potuto indurre la Corte di merito ad una decisione diversa o, quantomeno, avrebbero dovuto consigliare un maggiore approfondimento degli aspetti di fatto della vicenda.
Un primo elemento è costituito dalla circostanza, fuori discussione, per cui il Tribunale non si era limitato ad accogliere la domanda di restituzione da parte del Comune, ma aveva anche accolto la domanda riconvenzionale avanzata dall’impresa oggi ricorrente contro il COGNOME, per il pagamento di residue somme dovute e non pagate. È indubbio che tale dato di fatto non potesse avere, di per sé, rilievo decisivo, poiché, ragionando in astratto, non si può escludere che l’appaltatore abbia diritto al pagamento di somme dovute e non pagate dal committente e sia ugualmente in ritardo rispetto agli obblighi di consegna nei tempi stabiliti. La sentenza del Tribunale, però, aveva accolto sia la domanda del Comune che quella dell’impresa oggi ricorrente, mentre la Corte d’appello ha capovolto la decisione sulla domanda principale ponendo la condanna a carico dell’appaltatore senza preoccuparsi di dire nulla sull’accoglimento della riconvenzionale.
Vi è, poi, anche un secondo elemento, che l’impresa ricorrente ha evidenziato in modo chiaro nel terzo motivo di ricorso. Si intende fare riferimento alla circostanza della incontroversa esistenza del contratto di appalto . La sentenza impugnata, come si è detto, ha imperniato l’accoglimento dell’appello del Tusei su questo elemento, ritenuto pacifico, ma non ha spiegato da dove abbia tratto simile conclusione.
Osserva questa Corte, intanto, che dal tenore della motivazione non è dato comprendere se tale contratto di appalto fosse da intendere come stipulato tra l’Impresa oggi ricorrente e il Comune di Villa Latina ovvero tra la prima e il Tusei. Risulta viceversa dal terzo motivo di ricorso, che riporta un passaggio della comparsa di risposta del Comune nel giudizio di appello, che quest’ultimo aveva fermamente contestato l’esistenza di un contratto fra sé e l’Impresa appaltatrice; circostanza che, pertanto, non poteva essere data per pacifica. Il che viene a significare che l’impresa oggi ricorrente non poteva ritenersi obbligata direttamente nei confronti del Comune alla conclusione dei lavori nel termine di ventiquattro mesi; o, almeno, che l’esistenza di tale obbligo non poteva essere affermata in base al solo principio di non contestazione.
La sentenza impugnata, in definitiva, ha trattato la vicenda in modo troppo sbrigativo, dando l’impressione di aver fatto un uso disinvolto del principio di non contestazione e di aver compiuto una valutazione degli elementi di prova in modo parcellizzato, perdendo di vista, in tal modo, la vicenda in esame nella sua globalità.
Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata.
Il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione personale, la quale procederà ad un nuovo esame dell’appello valutando le prove in modo complessivo e rivedendo se e in quali limiti sia applicabile il principio di non contestazione.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione