Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23803 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23803 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19516/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE, difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
COGNOME
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CAMPOBASSO n. 446/2019 depositata il 30/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2009 la F.lli COGNOME conveniva dinanzi al Tribunale di Campobasso NOME COGNOME per ottenere il pagamento di € 62.280 quale corrispettivo residuo per lavori di ristrutturazione eseguiti su un immobile di proprietà di quest’ultimo, oltre al risarcimento dei danni per la sospensione ingiustificata del cantiere. A seguito del
decesso del convenuto, si costituiscono in giudizio i suoi eredi, NOME e NOME COGNOME i quali deduceva no l’inadempimento dell’impresa e vizi dell’opera eseguita, domandando il rigetto. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda e condannava i convenuti al pagamento di € 53.573,84.
La Corte di appello di Campobasso ha accolto parzialmente l’appello principale proposto da i convenuti, riformato la sentenza impugnata e ridotto l’importo dovuto a € 24.195,74. In particolare, la Corte ha riconosciuto fondate, in parte, le doglianze relative all’omessa considerazione dell’avvenuto pagamento in corso di causa della somma di € 28.000 e all’errata inclusione nel credito dell’appaltatore delle voci ‘collaudo’ e ‘garanzia infortuni’, per complessivi € 1.377,44. Ha riconosciuto inoltre la fondatezza dell’eccezione di vizi dell’opera, per un importo di € 8.706,82, comprendente € 4.000,00 per spese di ripristino e € 4.702,82 per perdita di finanziamento pubblico. La Corte ha rigettato invece l’appello incidentale dell’appaltat rice, che lamentava il mancato riconoscimento del risarcimento per la sospensione dei lavori, ritenendo non provato il danno.
Ricorre in cassazione l’appaltatrice con cinque motivi, illustrati da memoria. Rimane intimata la parte committente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c., contestando che l’atto di appello principale fosse redatto in modo caotico e privo di un collegamento logico tra le censure e la sentenza impugnata, con l’effetto di non consentire l’individuazione delle critiche mosse alla decisione di primo grado.
Il primo motivo è rigettato.
L’accesso la fascicolo di causa attesta che l a Corte di appello ha persuasivamente rigettato l’eccezione . Dalla lettura complessiva dell’atto si po ssono evincere con sufficiente chiarezza le censure
proposte, anche in assenza di una formale rubricazione : tant’è che la Corte di è pronunciata nel merito.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c. Si contesta che la Corte abbia accolto la richiesta degli appellanti di considerare il versamento di € 28.000 quale pagamento in corso di causa, nonostante non fosse stata proposta in primo grado alcuna domanda di detrazione né eccezione in tal senso, e nonostante l’attrice non avesse mai modificato la propria domanda. Secondo la ricorrente, la Corte avrebbe omesso di valutare le eccezioni da lei sollevate sul carattere tardivo della deduzione, fondando la decisione solo sulla presenza documentale del pagamento.
Il secondo motivo è rigettato.
L’eccezione di pagamento è pacificamente rilevabile d’ufficio (anche in appello). Tra le molte, v. Cass. 9965/2016.
Nel caso di specie la Corte ha rilevato che il versamento era stato allegato sin dalla comparsa di costituzione
– Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 345 c.p.c., 2697 c.c., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte ritenuto legittima la richiesta di scorporo di € 1.377,44 (collaudo e garanzia infortuni), nonostante tale richiesta non fosse stata avanzata in primo grado. Si deduce inoltre che la Corte avrebbe posto su di lei l’onere della prova negativa, in modo contrario all’art. 2697 c.c. Si fa valere infine che la motivazione fornita sul punto è solo apparente.
Il terzo motivo è rigettato.
La Corte di appello ha motivato il proprio convincimento affermando che le voci ‘collaudo’ e ‘garanzia infortuni’ non risultavano documentate, né giustificate nella loro necessità in base agli atti. Ha richiamato sul punto anche le conclusioni del c.t.u. e le ha espressamente condivise, ritenendole coerenti con il materiale probatorio. Questa motivazione, pur sintetica, individua il fatto decisivo (assenza di prova dell’inclusione contrattuale delle voci) e ne
espone le ragioni, superando la soglia della mera apparenza. In punto di onere della prova, la Corte ha applicato il principio per cui, nell’ambito del contratto d’appalto, spetta all’appaltatore dimostrare i fatti costitutivi delle voci di credito al corrispettivo. In difetto di tale dimostrazione, non può essere imposto al committente il pagamento di voci aggiuntive non giustificate.
4. – Il quarto motivo sviluppa tre profili distinti di censura. Il primo attiene alla v iolazione dell’art. 294 c.p.c. per rimessione in termini non giustificata. La ricorrente contesta che la Corte di appello abbia ritenuto legittima la rimessione in termini degli appellanti, senza che ne ricorressero i presupposti di legge. Secondo l’impresa, non vi sarebbe stata una causa non imputabile idonea a giustificare il recupero dei termini processuali, sicché la rimessione avrebbe determinato un’ingiustificata compressione delle garanzie difensive della controparte e una violazione delle preclusioni di primo grado. L’eccezione è diretta contro l’ordinanza con cui il Tribunale aveva rimesso in termini gli eredi convenuti, dopo che erano subentrati nel giudizio a seguito del decesso dell’originario convenuto, rimasto contumace. Il secondo profilo concerne la violazione degli artt. 191 ss. c.p.c. per uso improprio della c.t.u. integrativa. Il profilo censura la decisione del giudice di primo grado di conferire un nuovo incarico al c.t.u., ritenuto dalla ricorrente esplorativo e privo di base istruttoria. Il terzo profilo segnala che, mentre era stata accolta l’istanza di parte convenuta, il giudice aveva rigettato implicitamente o pretermesso le richieste istruttorie dell’impresa, omettendo di disporre attività di verifica a favore di quest’ultima. Tale disparità di trattamento si tradurrebbe in una violazione del principio del contraddittorio e del diritto alla prova, anche alla luce dell’art. 111 Cost.
Il quarto motivo è rigettato.
Il terzo profilo è inammissibile, poiché non specifica il tipo e il contenuto delle richieste istruttorie, né in quale atto siano state rei-
terate. Quanto ai primi due profili, occorre muovere dal principio che la valutazione del giudice di merito circa la sussistenza della causa non imputabile ai fini della rimessione in termini è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata (cfr., per tutte, Cass. 14098/2006). In questo caso, la rimessione in termini fu concessa dal Tribunale, su istanza motivata degli eredi dell’originario convenuto deceduto, limitatamente all’indicazione della prova contraria ai sensi dell’art. 183 co. 6 n. 3 c.p.c. Inoltre, il nuovo incarico al c.t.u. fu limitato alla verifica dell’esistenza dei vizi in merito alla pavimentazione ed all’intonaco e fu svolto in contraddittorio. Su entrambi i punti, la motivazione adottata dalla Corte territoriale è congrua e non si espone a censure in questa sede.
5. – Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c. e l’omesso esame di fatti decisivi . Si lamenta che il risarcimento accordato alla parte convenuta per la perdita del contributo pubblico (€ 4.702,82) sarebbe stato liquidato nonostante l’assenza di una domanda riconvenzionale. Secondo l’impresa, la pretesa degli appellanti si sarebbe tradotta in una domanda nuova e inammissibile in appello, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nonché delle preclusioni istruttorie. Si contesta altresì che la Corte abbia ritenuto fondata la richiesta risarcitoria in assenza di specifica allegazione e di prova del danno da parte degli appellanti. In particolare, secondo la ricorrente, il danno da perdita del contributo sarebbe stato riconosciuto sulla base di semplici dichiarazioni e senza una puntuale dimostrazione del nesso causale tra l’inadempimento dell’appaltatore e la perdita del finanziamento. La ricorrente deduce che la Corte avrebbe omesso ogni considerazione su fatti decisivi, tra cui l’incontestata tardività della costituzione degli eredi convenuti e l’assenza di prova documentale del danno. La motivazione sarebbe, in questa parte, apparente o comunque non idonea a giustificare il riconoscimento del risarcimento.
Il quinto motivo è inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le meno remote, Cass. 7041/2023) nell’ambito di un contratto di appalto, il committente può rifiutare il pagamento del corrispettivo pattuito, opponendo le difformità dell’opera (oggetto della garanzia ex artt. 1667 e 1668 c.c.), anche in virtù di una semplice eccezione, e senza essere tenuto a proporre una domanda riconvenzionale diretta alla riduzione del corrispettivo o alla risoluzione del contratto (ossia all’esercizio dei rimedi espressamente previsti dall’art. 1668 c.c.).
La Corte territoriale si è limitata ad adeguare questa regola al caso di specie, dopo aver stringatamente ma plausibilmente aderito agli elaborati del C.T.U. che aveva quantificato le responsabilità della ditta esecutrice e determinato il costo «per la risoluzione delle riscontrate anomalie realizzative dell’opera e la perdita del finanziamento pubblico di ristrutturazione». Ne segue che la denuncia la violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c. e di omesso esame di fatti decisivi lascia trasparire in realtà il tentativo della ricorrente di sovrapporre il proprio apprezzamento dei fatti rilevanti in causa a quello espresso dalla Corte di appello in una motivazione che presta il fianco a censure in sede di legittimità.
– La Corte rigetta il ricorso. Non vi è luogo a provvedere sulle spese, poiché la controparte non ha svolto attività difensiva in questo giudizio.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11/06/2025.