Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14399 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 14399 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
R.G.N. 7559/19 U.P. 7/5/2024
Appalto -Compenso appaltatore -Responsabilità direttore lavori
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDICOGNOME, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDICOGNOME, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e
difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
e
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, elettivamente domiciliato ex lege in Roma, INDICOGNOME, presso la cancelleria della Corte di cassazione;
-ricorrente incidentale –
nonché
RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME di RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE;
-intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2402/2018, pubblicata il 3 settembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO relatore NOME COGNOME;
viste le conclusioni rassegnate in udienza pubblica dal P.M., in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse della ricorrente e del ricorrente incidentale, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;
sentiti , in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’AVV_NOTAIO per la ricorrente principale e l’AVV_NOTAIO per il ricorrente incidentale.
FATTI DI CAUSA
1. -All’esito dell’espletamento di procedimento di consulenza tecnica preventiva ai fini di composizione della lite ex art. 696bis c.p.c., con atto di citazione notificato il 3/6 luglio 2009, COGNOME NOME conveniva, davanti al Tribunale di Venezia, COGNOME NOME, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, quale titolare dell’omonima RAGIONE_SOCIALE individuale, al fine di ottenere, previo accertamento dei difetti costruttivi e progettuali e del conseguente inadempimento dei convenuti in ordine all’appalto relativo alla realizzazione di un fabbricato da destinare a civile abitazione, la condanna di quest’ultimi al risarcimento dei danni subiti, sia a fronte dei costi necessari per l’eliminazione dei difetti rilevati, sia in ragione della diminuzione di valore dell’immobile, per un importo complessivo di euro 326.581,99.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la quale resisteva alle avverse domande e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al pagamento della somma di euro 41.336,00, oltre IVA, quale residuo corrispettivo dovuto per l’appalto avente ad oggetto la realizzazione delle opere di sistemazione del piazzale esterno dell’abitazione.
Si costituiva in giudizio anche NOME, il quale contestava la fondatezza delle domande avversarie e ne chiedeva
il rigetto, domandando, in via riconvenzionale, la condanna di COGNOME NOME al pagamento dell’importo complessivo di euro 6.407,00, oltre IVA, a titolo di corrispettivo ulteriore dovuto per l’appalto eseguito.
Resistevano alle pretese di parte attrice anche COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE
All’esito della chiamata in causa richiesta da COGNOME NOME, si costituiva in giudizio altresì la compagnia assicuratrice RAGIONE_SOCIALE, cui subentrava l’interveniente volontaria RAGIONE_SOCIALE
Nel corso del giudizio era acquisito il fascicolo relativo al procedimento di consulenza tecnica preventiva ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 2636/2013, depositata il 12 dicembre 2013, pronunciandosi in via non definitiva in ordine al rapporto giuridico intercorso tra l’attrice e i convenuti COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE e in via definitiva quanto ai rapporti tra l’attrice e la RAGIONE_SOCIALE nonché tra l’attrice e l’RAGIONE_SOCIALE individuale RAGIONE_SOCIALE e tra COGNOME NOME e le compagnie assicuratrici: A) condannava COGNOME NOME al pagamento, in favore di COGNOME NOME, della somma di euro 31.996,40, oltre interessi; B) condannava COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE, in solido, al pagamento, sempre in favore di COGNOME NOME, della somma di euro 1.530,61, oltre interessi; C) condannava COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE, in solido, al pagamento, in favore di COGNOME NOME, della somma di
euro 10.495,64, oltre interessi; D) rigettava le domande proposte dall’attrice verso NOME; E) in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da NOME, condannava COGNOME NOME al pagamento della somma di euro 6.407,00, oltre IVA e interessi; F) infine, rigettava le domande proposte da COGNOME NOME nei confronti delle due compagnie assicuratrici RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
2. -Con atto di citazione notificato l’11 giugno 2014, la RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, lamentando: 1) l’omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale proposta, relativa al pagamento del corrispettivo dovuto per l’appalto eseguito in ordine alla sistemazione del piazzale esterno; 2) l’assolvimento dell’onere probatorio che le competeva, sulla scorta dell’allegazione delle fatture n. 13/2006 e n. 8/2007, non contestate dalla COGNOME, nonché in ordine alla entità dei lavori eseguiti, anch’essa non contestata; 3) l’erronea sua condanna alla refusione delle spese di lite in favore dell’attrice nel giudizio di primo grado.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione COGNOME NOME, la quale contestava le ragioni poste a fondamento dell’appello principale e spiegava appello incidentale, deducendo: 1) l’erroneo rigetto della domanda risarcitoria proposta contro la RAGIONE_SOCIALE, benché il suo diritto non si fosse prescritto; 2) la mancata condanna della RAGIONE_SOCIALE e di COGNOME NOME alla corresponsione delle spese necessarie all’esecuzione degli interventi per la messa a norma degli impianti viziati; 3) il
mancato accoglimento della domanda di risarcimento danni nei confronti di NOME.
Si costituiva in giudizio altresì COGNOME NOME, il quale interponeva appello incidentale, esponendo: 1) la mancata rilevazione del concorso di colpa di COGNOME NOME nella causazione dei difetti rilevati (e, in particolare, nella formazione di muffe); 2) l’erroneo rigetto dell’istanza di rimessione in istruttoria della causa in ordine alla contestata omessa attività di sorveglianza e alla verifica dell’efficienza termica dell’edificio; 3) l’erroneo riferimento alla disciplina di cui al d.lgs. n. 192/2005, anziché alla sola legge n. 10/1991, con riferimento alle opere di isolamento termico dell’abitazione ultimate nell’anno 2003 e rifinite con D.I.A. n. 431 del 27 luglio 2005; 4) l’indebita imputazione al progettista e direttore dei lavori del mero errore di collocazione nella posa delle piastrelle; 5) il mancato accoglimento della domanda riconvenzionale proposta, volta ad ottenere il saldo delle proprie competenze professionali.
Si costituiva inoltre in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la quale spiegava anch’essa appello incidentale, fondato su sette motivi.
Si costituivano in giudizio, in ultimo, NOME, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, i quali contestavano le difese avversarie e chiedevano che la sentenza impugnata fosse confermata.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello principale interposto dalla RAGIONE_SOCIALE e dell’appello incidentale spiegato da COGNOME NOME
verso COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE, in parziale riforma dell’impugnata sentenza: A) condannava COGNOME NOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 41.336,00, oltre IVA e interessi al saggio legale dalla domanda al saldo, a titolo di corrispettivo dovuto per l’appalto eseguito in ordine alla sistemazione del piazzale esterno; B) condannava COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE, in solido, al pagamento, in favore di COGNOME NOME, dell’importo di euro 5.000,00, oltre interessi al saggio legale dalla domanda al saldo; C) rigettava l’appello incidentale proposto da COGNOME NOME verso NOME.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che nessuna statuizione nel dispositivo della sentenza del Tribunale era stata adottata in ordine alla domanda riconvenzionale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE verso COGNOME NOME, sicché era integrato il vizio di omessa pronuncia ancorché il giudice avesse analizzato la suddetta domanda in motivazione, negandone la fondatezza; b ) che la committente non aveva contestato le fatture n. 13/2006 e n. 8/2007 né aveva dedotto alcunché con riguardo al documento 14 prodotto dalla RAGIONE_SOCIALE, ossia al consuntivo dei lavori esterni redatto dall’RAGIONE_SOCIALE appaltatrice il 2 settembre 2006, nel quale erano riportate dettagliatamente tutte le voci relative alle opere eseguite per la sistemazione del piazzale esterno dell’immobile; c ) che la contestazione in ordine al fatto che tali lavori non fossero stati mai accertati in contraddittorio e formalmente accettati dalla committente era priva di specificità; d ) che, per l’effetto, dalla mancata contestazione –
dell’affidamento dell’appalto avente ad oggetto i lavori esterni al fabbricato, dell’esecuzione dell’opera e – delle fatture emesse dall’RAGIONE_SOCIALE appaltatrice discendeva la sussistenza del fatto costitutivo del diritto vantato dalla RAGIONE_SOCIALE, sicché NOME doveva essere condannata al pagamento, in favore della COGNOME, per il suddetto titolo, dell’importo complessivo di euro 41.336,00, oltre IVA; e ) che, in ordine alla domanda spiegata da COGNOME NOME verso la RAGIONE_SOCIALE SRAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, circa il rimborso delle spese per l’eliminazione dei vizi emendabili, e segnatamente per la messa a norma degli impianti, dalla lettura dell’elaborato peritale redatto in sede di consulenza tecnica preventiva si evinceva che l’ausiliario aveva quantificato in euro 5.000,00 le spese per la redazione di una nuova dichiarazione di conformità degli impianti, per la presentazione delle pratiche di variazione catastale e per la direzione dei lavori funzionali all’adeguamento alle prescrizioni di cui al d.lgs. n. 192/2005, sicché la RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME dovevano essere condannati, in solido, al pagamento di tale ulteriore somma in favore di COGNOME NOME.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, COGNOME NOME.
Ha resistito, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Ha proposto altresì ricorso incidentale, articolato in un unico motivo, COGNOME NOME.
Sono rimasti intimati la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE NOME, la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
4. -La ricorrente principale e il ricorrente incidentale hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 45, quattordicesimo comma -che ha sostituito il testo dell’art. 115 c.p.c. -, e 58, primo comma, della legge 18 giugno 2009, n. 69 -che ha previsto l’applicabilità della nuova formulazione dell’art. 115 c.p.c. ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, risalente al 4 luglio 2009 -, per avere la Corte di merito applicato il riformato principio di non contestazione al giudizio di primo grado, benché esso fosse stato introdotto con atto di citazione notificato il 3 luglio 2009.
Obietta l’istante che, ai fini di ritenere dimostrato l’ an e il quantum della pretesa azionata dalla RAGIONE_SOCIALE, in ordine alla spettanza del corrispettivo per l’esecuzione dei lavori relativi alla sistemazione del piazzale esterno, la Corte d’appello avrebbe considerato i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita, benché, secondo la prospettazione antecedente all’introduzione del principio di non contestazione, tali fatti avrebbero potuto ritenersi non contestati soltanto se fossero stati esplicitamente ammessi dalla controparte oppure se quest’ultima avesse impostato il proprio sistema difensivo su circostanze e argomentazioni logicamente incompatibili con il suo disconoscimento.
Il che non sarebbe accaduto nella fattispecie, stante che la COGNOME non aveva mai esplicitamente riconosciuto la fondatezza della pretesa azionata in via riconvenzionale dalla COGNOME, ma anzi aveva specificamente contestato le allegazioni in fatto e la valenza probatoria della documentazione addotta dall’appaltatore a fondamento della domanda svolta in via riconvenzionale.
1.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, anche nella presente controversia il fatto primario non contestato ben poteva essere posto a fondamento della decisione, in quanto il principio di non contestazione è stato recepito dall’ordinamento ben prima che la riforma di cui all’art. 45 della legge 18 giugno 2009, n. 69 sostituisse il testo dell’art. 115 c.p.c. (sostituzione avvenuta con decorrenza dal 4 luglio 2009).
Segnatamente l’onere di specifica contestazione di detti fatti primari è stato introdotto, per i giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della legge 26 novembre 1990, n. 353, dall’art. 167, primo comma, c.p.c., norma che impone al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, non essendo all’uopo sufficiente una contestazione non chiara e specifica.
Ciò comporta che i suddetti fatti, qualora non siano contestati specificamente dal convenuto, debbono essere considerati incontroversi e non richiedono una specifica dimostrazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9789 del 25/03/2022; Sez. 6-3, Ordinanza n. 9439 del 23/03/2022; Sez. 3, Sentenza n. 40756 del 20/12/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 26908 del
26/11/2020; Sez. 3, Sentenza n. 19896 del 06/10/2015; Sez. 3, Sentenza n. 10860 del 18/05/2011; Sez. 3, Sentenza n. 18399 del 19/08/2009; Sez. 2, Sentenza n. 27596 del 20/11/2008; Sez. 3, Sentenza n. 12231 del 25/05/2007).
Contrariamente all’assunto della ricorrente, solo per i giudizi instaurati con rito ordinario anteriormente all’entrata in vigore della legge 26 novembre 1990, n. 353 (che ha modificato il primo comma dell’art. 167 c.p.c., imponendo al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda), affinché il fatto allegato da una parte potesse considerarsi pacifico, sì da poter fondare la decisione ancorché non provato, non sarebbe stata sufficiente la mancata contestazione, occorrendo invece che la controparte avesse ammesso il fatto esplicitamente o che avesse impostato il sistema difensivo su circostanze e argomentazioni logicamente incompatibili con la sua negazione.
Ne conseguiva che, per rendere controverso il fatto allegato da una parte, in ordine a tali giudizi (tra cui non rientra quello di specie), sarebbe stato sufficiente che la controparte avesse prodotto documenti dai quali si fossero potute evincere circostanze incompatibili con l’esistenza del fatto medesimo, senza che occorresse una specifica manifestazione della volontà di contestarlo, atteso che la contestazione non avrebbe integrato un’eccezione in senso stretto (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8591 del 11/04/2014; Sez. 2, Sentenza n. 20211 del 16/11/2012; Sez. 3, Sentenza n. 10815 del 08/06/2004).
Nella fattispecie, per converso, l’applicazione del principio di non contestazione è avvenuta conformemente al dettato dell’art.
167, primo comma, c.p.c. vigente ratione temporis , avendo appunto la sentenza impugnata negato che fungesse da specifica contestazione la deduzione secondo cui tali lavori non sarebbero stati mai accertati in contraddittorio e formalmente accettati dalla committente.
2. -Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 115, primo comma, c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente reputato non assolto, da parte della ricorrente, l’onere di contestazione specifica della pretesa avanzata in via riconvenzionale in prime cure dalla parte intimata, afferente al pagamento delle fatture n. 13/2006 e n. 8/2007, emesse a fronte di asseriti lavori svolti in favore di COGNOME NOME, per un importo complessivo pari ad euro 41.336,00, oltre IVA.
In proposito, l’istante osserva che il principio di non contestazione avrebbe riguardato solamente le allegazioni avversarie e non i documenti dimessi a supporto delle stesse, e quindi la loro valenza probatoria, sicché la contestazione avrebbe dovuto concernere solo i fatti accaduti prima o comunque al di fuori del processo che, in quanto incerti, avrebbero dovuto essere storicamente ‘accertati’ e ‘ricostruiti’ a posteriori nel corso del processo stesso.
Pertanto, la mancata contestazione, da parte della ricorrente, del fatto storico ( recte dell’esecuzione dell’opera) avrebbe costituito il presupposto per valutare il fondamento dell’ an debeatur ma non certo del quantum , laddove, come nel caso di specie, il corrispettivo non fosse stato oggetto di preventivo accordo tra le parti contraenti, né vi fosse stata prova
-il cui onere incombeva evidentemente sulla parte che rivendicava il credito -di intervenuta accettazione, da parte del presunto debitore, del corrispettivo unilateralmente determinato a posteriori dall’appaltatore.
3. -Con il terzo motivo la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 115 e 116, primo comma, c.p.c., in relazione agli artt. 2697 e 1657 c.c., per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto che fossero comprovati i fatti costitutivi della domanda svolta in via riconvenzionale dall’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE con riferimento all’esistenza del contratto di appalto per la sistemazione del piazzale esterno, all’effettiva esecuzione delle opere e alla quantificazione del corrispettivo, e conseguentemente optato per la fondatezza di siffatta domanda.
Evidenzia l’istante che, a fronte della contestazione sul quantum del corrispettivo richiesto e sulle modalità e criteri della sua determinazione, le fatture n. 13/2006 per euro 27.728,00 e n. 8/2007 per euro 13.608,00, oltre IVA, non avrebbero potuto costituire prova del credito vantato, trattandosi di documenti di provenienza unilaterale, né tantomeno il consuntivo dei lavori esterni avrebbe potuto dimostrare l’entità dei lavori svolti, in assenza di accettazione della committente o di un suo incaricato.
Con l’effetto che incombeva sull’appaltatrice la puntuale dimostrazione delle ore lavorate e dei materiali effettivamente impiegati, non potendo costituire prova in tal senso le fatture e la documentazione unilateralmente predisposta da controparte.
3.1. -Il secondo e il terzo motivo -che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di
connessione logica e giuridica -sono fondati nei termini che seguono.
Infatti, il principio di non contestazione avrebbe dovuto essere limitato ai fatti dimostrativi dell’ an della pretesa azionata e non avrebbe potuto estendersi alla portata dimostrativo-valutativa dei documenti comprovanti il quantum .
Siffatto principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. (e, nel regime vigente ratione temporis , di cui all’art. 167, primo comma, c.p.c.) ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 2356 del 24/01/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 30936 del 07/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 19102 del 06/07/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 18221 del 26/06/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 8347 del 23/03/2023; Sez. 6-3, Ordinanza n. 33208 del 10/11/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 35037 del 17/11/2021; Sez. 3, Sentenza n. 6172 del 05/03/2020; Sez. 6-3, Ordinanza n. 30744 del 21/12/2017).
Senonché il richiamo delle sole fatture commerciali emesse non avrebbe potuto costituire elemento sufficiente per ritenere provato il quantum del corrispettivo preteso.
E ciò perché la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché, quando tale rapporto sia contestato (quantomeno in ordine alla quantificazione
della pretesa), non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 299 del 12/01/2016; Sez. 3, Sentenza n. 15383 del 28/06/2010; Sez. 3, Sentenza n. 13651 del 13/06/2006; Sez. 2, Sentenza n. 9593 del 20/05/2004; Sez. 2, Sentenza n. 3188 del 04/03/2003; Sez. L, Sentenza n. 46 del 04/01/2002; Sez. 2, Sentenza n. 10160 del 20/09/1999).
Né è stata addotta alcuna argomentazione sulla specifica accettazione di tali fatture e sul loro inserimento nelle scritture contabili della committente, rilevante peraltro ai soli fini della dimostrazione dell’esistenza del contratto ( an ) da cui si origina l’obbligazione rivendicata (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3581 del 08/02/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 26801 del 21/10/2019; Sez. 2, Sentenza n. 15832 del 19/07/2011; Sez. 3, Sentenza n. 13651 del 13/06/2006).
Pertanto, l’appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha l’onere di dimostrare la congruità della somma, con riferimento alla natura, all’entità e alla consistenza delle opere, non costituendo idonee prove dell’ammontare del credito le fatture emesse dal medesimo appaltatore, poiché si tratta di documenti fiscali provenienti dalla parte stessa (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 7536 del 21/03/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 2125 del 22/01/2024; Sez. 6-2, Ordinanza n. 33575 del 11/11/2021; Sez. 2, Sentenza n. 10860 del 11/05/2007).
Analoga conclusione vale per il consuntivo riportante le voci delle opere eseguite sul piazzale esterno, redatto dal solo appaltatore.
Non costituisce, infatti, idonea prova del credito dell’appaltatore ( recte del quantum ) la contabilità redatta dal direttore dei lavori (o dallo stesso appaltatore), a meno che non risulti che essa sia stata portata a conoscenza del committente e che questi l’abbia accettata senza riserve, pur senza aver manifestato la sua accettazione con formule sacramentali, oppure che il direttore dei lavori, per conto del committente, abbia redatto la relativa contabilità come rappresentante del suo cliente e non come soggetto legato a costui da un contratto di prestazione d’opera professionale, che gli fa assumere la rappresentanza del committente limitatamente alla materia tecnica (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1918 del 18/01/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 7593 del 16/03/2023; Sez. 2, Sentenza n. 13860 del 03/05/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 25577 del 21/09/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 2490 del 29/01/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 26517 del 19/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 10598 del 14/05/2014; Sez. 2, Sentenza n. 10860 del 11/05/2007; Sez. 2, Sentenza n. 2333 del 01/03/1995).
4. -Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la Corte del gravame, pur accogliendo in parte qua l’appello incidentale svolto dalla COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, condannato la COGNOME medesima a rifondere alla predetta RAGIONE_SOCIALE le spese di entrambi i gradi di giudizio nella misura di un terzo.
Ad avviso dell’istante, la sentenza impugnata avrebbe dovuto motivare specificamente le ragioni della compensazione
parziale delle spese di lite, in difetto delle quali la disposizione apodittica di siffatta compensazione sarebbe stata illegittima.
4.1. -Il motivo è assorbito dall’accoglimento dei precedenti motivi. Infatti, la regolamentazione delle spese è caducata dalla cassazione in ordine ai motivi accolti, alla stregua dell’effetto espansivo interno di cui all’art. 336, primo comma, c.p.c.
5. -L’unico motivo del ricorso incidentale investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione della legge n. 10/1991 per la sua omessa applicazione e l’erronea applicazione del d.lgs. n. 192/2005, per avere la Corte d’appello presupposto, del tutto erroneamente, che vi fossero le condizioni per l’applicazione di tale d.lgs. n. 192/2005 ed erroneamente ritenuto che fosse stata rimessa in istruttoria l’applicazione di tale normativa, sicché, per effetto dell’erronea applicazione di tale d.lgs., non solo non sarebbe stata dovuta la somma oggetto di condanna con la sentenza impugnata, pari ad euro 5.000,00, ma anche la somma di euro 10.495,64, oggetto della condanna di cui alla sentenza di primo grado, per la presunta mancanza dei requisiti energetici in capo ai serramenti.
Espone l’istante che il fatto storico relativo all’ultimazione in data 3 agosto 2003 dell’edificio inteso quale involucro esterno (in ragione del permesso di costruire n. 174 del 24 ottobre 2001, rilasciato dal Comune di Mirano) sarebbe stato indiscusso, in quanto la D.I.A. n. 431/2005 e la successiva D.I.A. n. 157/2006 avrebbero riguardato rispettivamente solo alcuni lavori di completamento e le opere interne con la nuova ripartizione delle porte di accesso dell’annesso agricolo e il riposizionamento del passo carraio.
Pertanto, le prescrizioni del d.lgs. n. 192/2005 (entrate in vigore l’8 ottobre 2005) non sarebbero state applicabili, stante che la D.I.A. n. 431/2005 portava appunto la data del 27 luglio 2005.
Da ciò sarebbe disceso che l’edificio soggiaceva dunque alle previsioni della legge n. 10/1991, rispetto alle quali esso sarebbe stato perfettamente rispondente, sicché nessuno degli interventi previsti dal consulente tecnico d’ufficio avrebbe dovuto essere disposto.
5.1. -Il motivo è inammissibile per più ordini di motivi.
Anzitutto, esso difetta di specificità e autosufficienza, in quanto non sono puntualizzate le prescrizioni che, in base al d.lgs. n. 192/2005, non sarebbero state applicabili e in che termini la loro applicazione avrebbe inciso sulla tutela risarcitoria contestata.
In secondo luogo, la doglianza postula un’indagine sul fatto (quanto all’ultimazione delle opere e alla portata delle denunce di inizio di attività), che non può essere rimessa al giudizio di legittimità.
Né può essere sindacata in questa sede la statuizione della sentenza di prime cure.
Pertanto, la censura, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, rivalutazione preclusa in questa sede (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8773 del 03/04/2024; Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
6. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale devono essere accolti, nei sensi di cui in motivazione, mentre il primo motivo deve essere respinto e il quarto motivo è assorbito. Il ricorso incidentale va invece rigettato.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata, limitatamente ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai seguenti principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
‘Il principio di non contestazione ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (nella specie volti alla ricostruzione del quantum della pretesa azionata)’.
‘In tema di contratto di appalto, l’appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha l’onere di dimostrare la congruità della somma pretesa, con riferimento alla natura, all’entità e alla consistenza delle opere realizzate, non costituendo idonee prove dell’ammontare del credito le fatture emesse dal medesimo appaltatore, poiché si tratta di documenti fiscali provenienti dalla parte stessa, né la contabilità redatta dal direttore dei lavori o dallo stesso appaltatore, a meno che non risulti che essa sia stata portata a conoscenza del committente e che questi l’abbia accettata senza riserve’.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.
115 -, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, rigetta il primo motivo e dichiara assorbito il quarto motivo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda