Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19763 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19763 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25534-2019 proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 1942/2018, depositata il 16/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1/7/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Lette le memorie della ricorrente;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con atto di citazione notificato il 21 luglio 2004 la società RAGIONE_SOCIALE (nel corso del giudizio già COGNOME di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘) conveniva in giudizio il RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘) al fine di ottenerne – dichiarato il recesso della società convenuta dal rapporto di agenzia – la condanna al pagamento di una somma a titolo di provvigioni non ancora corrisposte, di provvigioni indirette -per la violazione della zona e per gli affari conclusi direttamente con i clienti già procacciati dall’agente -nonché di indennità di mancato preavviso e di risoluzione del rapporto, con compensazione delle somme liquidate con quanto dovuto al RAGIONE_SOCIALE
Si costituiva il RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto della domanda attorea e, in via riconvenzionale, la condanna della società attrice al pagamento di un controcredito per merci fornite all’agente, oltre al risarcimento dei danni per inadempimento, avendo svolto attività anche per conto di concorrenti.
Il Tribunale di Pisa – sezione distaccata di Pontedera, con sentenza n. 208/2013, escluso l’inadempimento dell’agente e rigettata la richiesta di provvigioni indirette e di indennità da mancato preavviso, in parziale accoglimento della domanda
attorea e della domanda del convenuto, operava la compensazione fra i crediti rispettivamente accertati, condannando la COGNOME al pagamento della differenza.
Avverso tale sentenza la COGNOME interponeva appello, chiedendo la riforma della decisione.
Si costituiva il RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto del gravame.
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 1942 del 16 agosto 2018, nel confermare integralmente la decisione impugnata, respingeva l’appello.
In particolare, il giudice di secondo grado, nel rilevare la mancata ottemperanza all’ordine di esibizione di atti e documenti da parte dell’appellato, affermava che tale carenza istruttoria si ripercuoteva in danno dello stesso appellante, che non si era curato di predisporre e conservare l’opportuna documentazione dalla quale poter desumere la sussistenza di tutte le somme a questo dovute dal preponente o comunque poter consentire la corretta ricostruzione del rapporto in contestazione.
La Corte territoriale escludeva, poi, la legittimazione dell’agente a rivendicare le provvigioni indirette in ragione della mancata individuazione ad opera delle parti di una chiara e determinata zona di esclusiva affidata all’agente. In particolare, il giudice di merito riteneva che la clausola del contratto di agenzia, che consentiva all’agente l’espletamento di attività in tutti i paesi del mondo, non costituisse esplicito riconoscimento di una zona di esclusiva talmente ampia da poter limitare in maniera pressoché totale ogni attività del preponente.
In tal senso la Corte evidenziava l’assenza di prova non solo di una ‘rete vendita’ talmente ampia da poter effettivamente coprire tutti i paesi del mondo, ma anche della continua e invasiva ingerenza del preponente rispetto ai diritti dell’agente tale da poter pregiudicare le sue aspettative di guadagno.
In merito al quantum dell’importo liquidato dal Tribunale a titolo di indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c., la Corte, nell’escludere l’applicazione delle più vantaggiose interpretazioni della Corte di Giustizia Europea -recepite dalla giurisprudenza di legittimità -in quanto ritenute legislazione intervenuta in epoca successiva alla chiusura del rapporto in questione, riteneva inapplicabile il metodo di calcolo in base alla media delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni in ragione delle incertezze inerenti alla esatta determinazione della attività realizzata dall’agente, avendo la società appellante invocato ulteriori accertamenti al fine di stabilire esattamente il fatturato complessivo della preponente.
Il giudice di secondo grado, nell’accertare l’assenza di chiarezza dei conteggi, l’inapplicabilità del principio di non contestazione e l’insufficienza probatoria dei documenti per la determinazione dell’indennità, condivideva l’operato del Tribunale e aderiva, pertanto, alla decisione impugnata nella parte in cui determinava, secondo equità, l’ammontare della suddetta indennità.
Per la cassazione di tale sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso sulla base di quindici motivi, illustrati da memorie.
Il RAGIONE_SOCIALE ha resistito al ricorso con controricorso.
3. Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di esaminare le istanze istruttorie formulate dall’odierna ricorrente e reiterate in sede di udienza di precisazione delle conclusioni. In particolare, secondo la ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe disatteso la richiesta di acquisizione delle dichiarazioni IVA della preponente e conseguentemente quella di chiamare a chiarimenti il CTU sulla base di tale documentazione. La richiesta istruttoria -che avrebbe avuto efficacia causale decisiva onde determinare l’accoglimento delle domande della ricorrente -e quindi la esibizione o acquisizione di tale documentazione avrebbe consentito di valutare il dato esatto e completo del fatturato della RAGIONE_SOCIALE e perciò di determinare, in maniera decisiva, l’entità delle provvigioni e delle indennità.
Il secondo motivo denuncia la violazione, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 1749 e 2697 c.c. in relazione alla mancata esibizione delle scritture contabili e alla ripartizione dell’onere probatorio. Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente imputato la mancata esibizione della contabilità all’agente, senza alcuna argomentazione giuridica a sostegno. In particolare, il giudice di secondo grado avrebbe posto tale obbligo in capo ad un soggetto che non era nella disponibilità dei suddetti documenti, trattandosi di fatture emesse dal convenuto nei confronti di terzi soggetti e di scritture contabili sempre di sua spettanza, con un’inammissibile inversione dell’onere della prova, anche sulla base del criterio della vicinanza della prova.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 210, 115, co. 2, e 88 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. in ordine alla mancata conservazione delle scritture contabili da parte della preponente. La Corte territoriale avrebbe erroneamente imputato all’agente l’onere di conservare tali documenti contabili, onere che invece graverebbe, secondo la ricorrente, in capo alla controricorrente con decorrenza dalla prima richiesta dell’ordine di esibizione degli stessi in primo grado.
Il quarto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 210 c.p.c., 2 D. Lgs. n. n. 303/1991, 3 e 4 D. Lgs. n. 65/1999, 1749 c.c., in relazione all’art. 117 Cost. e alla direttiva europea 86/653 e dell’art. 115 c.p.c. in merito alle conseguenze dell’inadempimento, da parte della preponente, dell’ordine di esibizione. In particolare, il giudice di secondo grado avrebbe, innanzitutto, omesso di motivare l’esercizio del potere discrezionale di trarre argomenti di prova, senza fare riferimento alle circostanze della fattispecie, limitandosi a richiamare il principio di diritto per cui l’inosservanza dell’ordine di esibizione non determina inversione dell’onere della prova.
Inoltre, la Corte avrebbe erroneamente escluso ogni conseguenza a carico della predetta preponente e addebitato, senza alcuna considerazione giuridica e riferimento normativo, tale omissione all’agente, non tenendo conto del fatto che nel rapporto di agenzia l’agente sarebbe titolare di un diritto soggettivo ad ottenere copia delle scritture contabili della preponente.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.
In sostanza, la sentenza gravata ha ricordato che effettivamente era stato disposto l’ordine di esibizione della documentazione contabile nei confronti della società convenuta, ordine che non era stato adempiuto, avendo la destinataria addotto la circostanza che la documentazione era stata distrutta da un allagamento dei locali ove era custodita.
La sentenza, pur reputando che tale giustificazione era implausibile, in quanto le argomentazioni addotte dal calzaturificio non erano idonee a comprovare, anche in ragione dei documenti prodotti, che effettivamente si era venuta a determinare la distruzione ovvero assoluta inservibilità delle scritture contabili che la società aveva l’obbligo di conservare, ha subito dopo richiamato la regola di giudizio che poneva a carico dell’attrice l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa.
Ha pertanto tratto la conclusione per la quale, in assenza di documentazione a supporto della pretesa al pagamento delle provvigioni, sulla base del reale andamento del rapporto, le carenze probatorie non potevano che ripercuotersi in danno della stessa attrice, potendosi al più tenere conto della inottemperanza della convenuta ai soli fini della regolazione delle spese di lite.
Trattasi di conclusione che ad avviso del Collegio non può essere condivisa.
Questa Corte ha anche di recente affermato che, in materia di contratto di agenzia, il diritto all’accesso ed alla documentazione contabile, di cui all’art. 1749 c.c., come risultante dall’art. 4 del
d.lgs. n. 65 del 1999, è funzionalmente e strumentalmente collegato al soddisfacimento del diritto alle provvigioni ed alle indennità collegate al rapporto di agenzia, in quanto l’acquisizione della documentazione in possesso del solo preponente deve essere indispensabile per sorreggere, sul piano probatorio, la domanda formulata in relazione a diritti determinati o determinabili, sicché incombe alla parte, che agisce al fine di ottenere l’esibizione documentale, dedurre e dimostrare l’esistenza dell’interesse ad agire con circostanziato riferimento alle vicende rilevanti del rapporto e l’indicazione dei diritti, determinati o determinabili, al cui accertamento è finalizzata l’istanza (Cass. n. 18942/2024).
Infatti, nel giudizio di accertamento del diritto alla provvigione, l’agente ha l’onere di provare che gli affari da lui promossi sono andati a buon fine o che il mancato pagamento sia dovuto a fatto imputabile al preponente, cosicché, qualora quest’ultimo non gli abbia trasmesso i dati e le informazioni necessarie per esercitare i suoi diritti di credito quantificando esattamente negli atti di causa le sue spettanze, il giudice deve, su istanza di parte, emanare nei confronti del preponente l’ordine di esibizione delle scritture contabili ex art. 210 c.p.c., sussistendo il diritto dell’agente ad ottenerne l’esibizione anche nel caso in cui egli pretenda il pagamento delle provvigioni c.d. indirette (Cass. n. 34690/2023; Cass. n. 17575/2022).
Va altresì ricordato che, qualora nel corso di un giudizio civile, venga formulata istanza di esibizione documentale ex art. 210 cod. proc. civ., la parte nei cui confronti tale istanza è formulata è tenuta – in ossequio al dovere di lealtà e probità processuale ex
art. 88 cod. proc. civ. e alla stregua del principio di acquisizione della prova, in forza del quale, un elemento probatorio, una volta introdotto nel processo, è definitivamente acquisito alla causa – a conservare la relativa documentazione fino a quando il giudice non abbia definitivamente e negativamente provveduto sulla stessa, sicché, ove la documentazione venga distrutta dopo la presentazione dell’istanza e durante il tempo di attesa per la formazione della decisione definitiva sulla stessa, la mancata conservazione è suscettibile di essere valutata come argomento di prova ex art. 116 cod. proc. civ. (Cass. n. 27231/2014; Cass. n. 24590/2008, e ciò anche ai fini della valutazione equitativa del ” quantum “).
Emerge dalle allegazioni difensive che la richiesta di esibizione della documentazione contabile era stata avanzata dall’attrice già nell’atto introduttivo del giudizio del 2004, così che alla convenuta si imponeva in ragione del rispetto dei doveri di lealtà e probità, una peculiare diligenza nella conservazione della documentazione stessa.
Peraltro, lo stesso giudice di appello ha ritenuto priva di giustificazione la pretesa ragione impeditiva dell’esibizione delle scritture, così che deve ritenersi comprovata l’ingiustificata violazione dell’ordine impartito dal giudice.
L’errore commesso dalla Corte d’Appello consiste nell’avere offerto una rigorosa applicazione della regola di riparto dell’onere della prova, senza avere in alcun modo valorizzato la possibilità di attribuire alla condotta inadempiente della convenuta la valenza di argomento di prova, idoneo ad orientare la valutazione degli altri elementi probatori già acquisiti, ovvero di rivalutare la
richiesta, oggetto del primo motivo di ricorso, di porre a disposizione le dichiarazioni IVA della società convenuta, onde verificare se dalle medesime fosse possibile trarre elementi di prova utili ai fini della ricostruzione complessiva dei rapporti tra la preponente e l’agente.
Non ignora il Collegio come in alcuni precedenti sia stato sostenuto che, sebbene l’inosservanza dell’ordine di esibizione di documenti costituisca un comportamento dal quale il giudice può, nell’esercizio di poteri discrezionali, desumere argomenti di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c., non è tuttavia censurabile in sede di legittimità, neanche per difetto di motivazione, la mancata valorizzazione dell’inosservanza dell’ordine ai fini della decisione di merito (Cass. n. 2148/2017), ma è stato però precisato, con motivazione che appare al Collegio condivisibile, che, pur essendo discrezionale il potere di desumere argomenti di prova dall’inosservanza dell’ordine di esibizione, tuttavia tale discrezionalità deve essere correlata alla natura dell’argomento di prova, il che implica che il rifiuto di esibizione di documenti può essere anche valutato come ammissione del fatto allorché vi siano elementi di prova concorrente (Cass. n. 17076/2004; Cass. n. 6769/1998).
La motivazione della sentenza impugnata palesa la sua erroneità nella parte in cui, in maniera del tutto acritica, applica in maniera eccessivamente rigorosa la regola dell’onere della prova, spostando il disvalore dell’inottemperanza all’ordine di esibizione sul piano residuale del carico delle spese di lite, omettendo invece di apprezzarne la sua rilevanza anche in chiave probatoria, sebbene al più limitato fine dell’applicazione dell’art. 116 co. 2
c.p.c., e trascurando altresì di apprezzare se tale condotta, nella sua valenza lato sensu probatoria, potesse indurre a rivalutare le richieste istruttorie inizialmente disattese o potesse indurre ad un diverso apprezzamento delle altre fonti di prova se del caso già acquisite in atti.
I motivi vanno pertanto accolti, nei termini di cui alla motivazione che precede, e la sentenza deve esser cassata, dovendo il giudice di rinvio procedere a nuovo esame, sulla base dei principi esposti.
Il quinto motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine alla non contestazione in primo grado della sussistenza di una zona di esclusiva ed alla relativa doglianza in appello.
Secondo la ricorrente, il giudice di secondo grado, pur in assenza di una specifica contestazione sul punto in primo grado e incorrendo, pertanto, in un vizio di ultrapetizione, avrebbe escluso il diritto della ricorrente alle provvigioni indirette sull’erroneo assunto dell’insussistenza di una zona di esclusiva affidata all’agente.
L’ottavo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1748 c.c. in relazione alla asserita necessità della ‘ingerenza non occasionale’ da parte del preponente della zona di esclusiva per la liquidazione delle provvigioni indirette. Diversamente dal disposto normativo, secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso il diritto alle provvigioni indirette per non aver l’agente provato, non solo di non aver sviluppato una rete di vendita tale da coprire tutti i paesi del mondo, ma anche un’ingerenza del
preponente tale da pregiudicare le stesse aspettative di guadagno dell’agente.
La sentenza, inoltre, confonderebbe il diritto alle provvigioni indirette con il diritto al risarcimento dei danni ulteriori, derivanti dalla violazione dell’esclusiva, non considerando che l’art. 1748 c.c. richiederebbe esclusivamente la violazione della zona di esclusiva contrattualmente stabilita o la conclusione di affari con clienti in precedenza procacciati dall’agente.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.
Non appare fondata la deduzione di cui al quinto motivo che non tiene conto del fatto che in relazione alla pretesa al pagamento delle provvigioni indirette, per avere la preponente concluso affari nella zona di esclusiva dell’agente, l’accertamento dell’esistenza di una zona caratterizzata dal diritto di esclusiva in favore dell’agente costituisce un fatto costitutivo della pretesa, così che la verifica circa la ricorrenza di tale circostanza costituisce un dovere officioso del giudice, dovendo perciò escludersi che la verifica operata in sentenza, sulla scorta delle previsioni contrattuali, si ponga come manifestazione del potere di accertamento in violazione del precetto di cui all’art. 112 c.p.c., trattandosi invece di una necessaria verifica, imposta proprio in considerazione del contenuto della domanda attorea.
Quanto invece all’ottavo motivo, lo stesso, volto a ribadire il diritto a conseguire le provvigioni indirette per la violazione della zona di esclusiva, si sofferma essenzialmente sulla superfluità di una specifica organizzazione di una rete di vendite, onde riconoscere egualmente il diritto di esclusiva, appuntandosi però
a ben vede solo su una delle argomentazioni che la sentenza impugnata ha speso al fine di addivenire alla conclusione che il contratto di agenzia, per il suo contenuto, non aveva anche previsto un’esclusiva favore dell’agente.
Infatti, la Corte d’Appello ha richiamato il fatto che il contratto attribuiva all’agente la possibilità di promuovere gli affari della preponente in tutti i paesi del mondo, con la sola esclusione del Giappone, ritenendo quindi che, ancorché tale clausola soddisfacesse il requisito del primo comma dell’art. 1742 c.c., quanto all’individuazione della zona ove l’agente poteva promuovere gli affari, tuttavia non era del pari in grado di assicurare, secondo una interpretazione sistematica delle previsioni contrattuali, che la zona fosse connotata dall’esclusiva.
L’ampiezza della zona attribuita all’agente avrebbe di fatto precluso ogni possibilità di concorrente attività da parte della preponente, avendo pertanto individuato una concorrente ragione in base alla quale addivenire alla soluzione per la quale non poteva reputarsi che l’affidamento delle zone fosse accompagnata dalla previsione dell’esclusiva.
Già la limitazione della censura ad una sola delle ragioni individuate dal giudice di merito per giustificare l’inapplicabilità dell’esclusiva di cui all’art. 1743 c.c. rende il motivo privo di specificità.
In ogni caso la conclusione alla quale è pervenuto il giudice di appello appare incensurabile.
Viene in primo luogo in rilievo l’attività interpretativa del contratto, e precisamente la valorizzazione del fatto che, in assenza di una espressa previsione del diritto di esclusiva, era la
stessa ampiezza delle zone affidate alla cura dell’agente a rendere implausibile la tesi secondo cui l’esclusiva sarebbe stata operante. In relazione a tale profilo manca però una censura che investa direttamente la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, il che conforta l’incensurabilità dell’approdo cui è giunto il giudice di merito.
Va altresì ricordato che la costante giurisprudenza di legittimità ha affermato che il diritto di esclusiva delineato dall’art. 1743 cod. civ. costituisce un elemento naturale del contratto di agenzia (Cass. n. 8053/1999), la cui esclusione può essere provata da parte del preponente.
Tale deroga, oltre che essere documentata in forza di una clausola espressa (Cass. n. 17063/2011), può derivare anche da una tacita manifestazione di volontà, desumibile dal comportamento tenuto dalle stesse parti sia al momento della conclusione del contratto, sia durante la sua esecuzione ((Cass. n. 21073/2007; Cass. n. 5083/1992; Cass. n. 5920/2002; Cass. n. 6093/1991).
La sentenza impugnata ha ritenuto, in maniera non censurabile, di far riferimento allo stesso tenore della clausola di individuazione delle zone di competenza dell’agente, che era talmente ampia e generica da risultare poco compatibile con l’elemento dell’esclusiva; ha richiamato la considerazione che in tal modo sarebbe stata vanificata ogni possibilità di autonoma iniziativa da parte della preponente; ha infine ricordato che la clausola era sicuramente foriera di vantaggi per l’agente, che avrebbe potuto richiedere provvigioni per ogni affare concluso per conto della preponente in quasi tutti i paesi del mondo, ma che
per potersi ritenere che l’attribuzione delle zone fosse unita all’esclusiva sarebbe stato altresì necessario dimostrare che l’agente si era attrezzato in maniera tale da poter, con una propria adeguata rete di vendite, effettivamente coprire in maniera efficace i vari mercati potenzialmente idonei ad essere interessati dai prodotti della preponente (né appare trascurabile la circostanza che l’agente, come emerge dal contenuto della domanda riconvenzionale della preponente, vendeva anche in proprio i prodotti che aveva il compito di promuovere, attività questa non del tutto compatibile con il diritto di esclusiva).
Resiste pertanto alle critiche della ricorrente l’affermazione secondo cui non vi era diritto di esclusiva, conclusione questa che porta con sé anche l’esclusione del diritto al pagamento delle provvigioni indirette, avendo questa Corte precisato che (cfr. ex multis Cass. n. 2634/1994) la deroga all’esclusiva in favore dell’agente comporta che a questo non spetta il diritto, sancito dall’art. 1748 cod. civ., alla provvigione per gli affari conclusi nella zona direttamente dal preponente (conf. Cass. n, 797/1983).
Il sesto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in relazione alle provvigioni indirette derivanti, ex art. 1748, co. 2, c.c., da affari conclusi dal preponente direttamente con clienti reperiti dall’agente. In particolare, la Corte territoriale, nell’escludere il diritto alle provvigioni indirette in capo all’agente solo sulla base dell’assenza di una specifica valida pattuizione in punto di esclusiva territoriale, non avrebbe esaminato la domanda dell’agente relativa alle provvigioni indirette per affari
conclusi dal preponente con terzi che l’agente aveva in precedenza acquisito come clienti per affari dello stesso tipo, incorrendo pertanto nel vizio di omessa pronuncia.
Il settimo motivo di ricorso denuncia (nell’ipotesi in cui non si dovesse ritenere integrato il vizio ex art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. di cui al sesto motivo) la violazione dell’art. 1748, co. 2, c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per non aver la Corte tenuto conto delle provvigioni indirette maturate per affari conclusi direttamente dalla preponente con clienti già procacciati dall’agente. In particolare, il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente considerato l’esistenza di un patto di esclusiva territoriale quale condizione necessaria per il maturare delle provvigioni indirette, non tenendo conto che la norma in questione, nel prevedere il diritto alle provvigioni indirette per tale tipologia di affari, farebbe riferimento a più fattispecie, distinte e generatrici del diritto alle provvigioni indirette, utilizzando la disgiunzione ‘o’ nell’elencazione degli affari da cui deriverebbe tale diritto. Secondo la ricorrente, il diritto alle provvigioni indirette maturerebbe o in caso di affari conclusi dal preponente con precedenti clienti o per affari conclusi nella zona di esclusiva.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati, in quanto la Corte d’Appello è pervenuta al rigetto della domanda di riconoscimento delle provvigioni indirette, facendo riferimento alla sola ipotesi degli affari conclusi direttamente dalla preponente nella zona di esclusiva dell’agente, ma ha del tutto trascurato che la domanda era volta anche a conseguire le provvigioni indirette per avere la
preponente concluso affari dello stesso tipo direttamente con clienti che l’agente aveva in precedenza procacciato.
La ricorrente ha richiamato le fatture emesse dalla preponente nei confronti di clienti che assume avere in precedenza acquisito e richiama a tal fine il dettato dell’art. 1748 cc. nella versione scaturente dalla novella di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 65/1999, quanto meno in relazione agli affari chiusi dalla preponente in data successiva alla modifica de qua.
Il giudice di appello, nel valutare la domanda di riconoscimento delle provvigioni indirette, si è arrestato a quelle correlate alla violazione della zona di esclusiva, avendo omesso di esaminare la concorrente domanda correlata alla diversa ipotesi che il legislatore ha contemplato come idonea a dar vita al diritto de quo (essendo la concorrenza delle fattispecie generatrici del diritto alla provvigione indiretta chiaramente evincibile dall’utilizzo della disgiuntiva ‘o’ nel testo del secondo comma dell’art. 1748 c.c.).
La sentenza impugnata deve perciò essere cassata anche in relazione a tali motivi, dovendo il giudice di rinvio valutare la ricorrenza della ragione di credito qui rivendicata.
6. Il nono motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1, 10, 11 disp. legge in generale, 1751 c.c. come modificato ex artt. 5 e 6 D. Lgs. n. 303/1991 per aver la Corte territoriale erroneamente escluso l’applicazione dei principi, più favorevoli all’agente, stabiliti dalla Corte Europea con sentenza 23 marzo 2006 -con espresso richiamo alla Direttiva 86/653/CEE -e accolti dalla giurisprudenza di legittimità, trattandosi di legislazione intervenuta in epoca successiva alla chiusura del
rapporto in questione, non ritenendo quindi applicabile il disposto dell’art. 1751 c.c. come novellato in ossequio alla predetta direttiva. Secondo la ricorrente, la normativa troverebbe applicazione al caso di specie in quanto le modifiche all’art. 1751 c.c. sarebbero intervenute a rapporto in corso -rapporto iniziato nel 1996 e terminato nel 2004 -non trattandosi, invece, come sostenuto dal giudice di secondo grado, di legislazione intervenuta in epoca successiva alla chiusura del rapporto in questione.
La Corte territoriale, inoltre, secondo la ricorrente, nel ritenere che i principi sanciti dalla sopracitata giurisprudenza, meramente interpretativi di una legge all’epoca già vigente, non avrebbero efficacia in relazione a fattispecie anteriori, confonderebbe i concetti di legge e normativa con quello di giurisprudenza ed interpretazione giurisprudenziale, applicando erroneamente ai secondi i criteri di irretroattività fissati per i primi.
Il decimo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, co.1, n. 4, c.p.c. per omessa motivazione (anzi per essere la motivazione solo apparente) in relazione ai criteri da utilizzare onde eseguire la valutazione della indennità di fine rapporto, criteri espressamente indicati nei motivi di appello e non esaminati dalla sentenza di secondo grado. In particolare, la Corte territoriale non avrebbe esaminato le doglianze sul non corretto esercizio del potere di valutazione equitativa in capo al Tribunale, limitandosi ad aderire acriticamente alla motivazione della sentenza di prime cure.
L’undicesimo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su una domanda specificamente proposta in appello in ordine all’accertamento dell’entità dell’indennità di fine rapporto. In particolare, la Corte territoriale, nel respingere la domanda di maggiore indennità di fine rapporto in ragione dell’impossibilità di determinare la base di calcolo effettiva, stante la mancata produzione delle fatture da parte del preponente, non avrebbe considerato la domanda di liquidazione di tale indennità sulla base delle somme provate o, in ipotesi, secondo equità. Il giudice di secondo grado, a parere della ricorrente, avrebbe potuto provvedere, quanto meno, sulla base delle somme che riteneva provate ed utilizzando a base di calcolo le stesse e le somme riepilogate nell’elenco provvigioni, non oggetto di contestazioni.
Il dodicesimo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1751 c.c., 115 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver il giudice di secondo grado respinto la domanda di nuova quantificazione della indennità di fine rapporto affermando che, alla luce delle richieste di chiarimenti effettuate dall’agente, non era possibile applicare i criteri di cui all’art. 1751 c.c. in ragione dell’incertezza della base di calcolo consistente nella media delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni. In particolare, la Corte avrebbe non solo omesso di giudicare sulla base delle prove offerte dall’agente, ma anche ristretto, in contrasto con il tenore letterale della norma, il campo di applicazione dell’art. 1751 c.c.
A parere della ricorrente, il giudice di merito avrebbe, al contrario, potuto verificare l’entità delle provvigioni ritenute provate sulla base della documentazione presente e del contegno delle parti, e poi applicare a tale base i criteri di cui al citato art. 1751 c.c., non potendo la richiesta di chiarimenti valere ad escludere l’applicazione di tali criteri di quantificazione per gli importi provvigionali che risultino provati.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.
Sebbene risultino in parte assorbite le censure che sono correlate al difetto di prova dell’entità delle provvigioni maturate in considerazione dell’attività della preponente, essendo evidentemente correlate alle questioni che hanno portato all’accoglimento dei primi quattro motivi, è evidente l’errore del giudice di appello, nonostante la consapevolezza della previsione di cui alla novella dell’art. 1751 c.c., quanto al riconoscimento ed al calcolo della cd. indennità meritocratica di cui all’art. 1751 c.c. La Corte d’Appello ha, infatti, attribuito alla sentenza della Corte di Giustizia n. 465-04 del 23 marzo 2006, che ha dato la corretta chiave di lettura delle previsioni di cui alla Direttiva n. 653/1986, sulla base della quale è intervenuta la modifica dell’art. 1751 c.c., una portata assimilabile a quella di una norma sopravvenuta, trascurando la portata meramente interpretativa della decisione de qua, e concludendo quindi per la irretroattività dell’interpretazione poi accolta dalla giurisprudenza di legittimità. Questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di indennità per cessazione del rapporto di agenzia, a seguito della sentenza della CGUE, 23 marzo 2006, in causa C-465/04,
interpretativa degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653, ai fini della quantificazione della stessa, nel regime precedente l’AEC del 26 febbraio 2002 che ha introdotto l'”indennità meritocratica”, ove l’agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) ai sensi dell’art. 1751, comma 1, c.c., è necessario verificare – non secondo una valutazione complessiva ” ex ante ” dell’operato dell’agente, ma secondo un esame dei dati concreti ” ex post ” -se, fermi i limiti posti dall’art. 1751, comma 3, c.c., l’indennità determinata secondo l’accordo collettivo per gli agenti di commercio, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l’agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità (Cass. n. 486/2016; Cass. n. 18413/2013; Cass. n. 4056/2008; Cass. n. 9538/2007; Cass. n. 21088/2007; Cass. n. 21039/2006).
Trattasi di precedenti in molti casi intervenuti in fattispecie nelle quali il diritto alla maturazione dell’indennità de qua era maturato in epoca molto anteriore all’intervento della Corte di Giustizia, palesandosi con evidenza quindi l’errore commesso dal giudice di merito che ha nella sostanza assimilato ad una fonte normativa la pronuncia giurisprudenziale soprattutto in relazione alla sua portata applicativa nel tempo, trascurando che la decisione della Corte di Giustizia ha carattere interpretativo del diritto comunitario già vigente, mirando ad offrire all’interprete le
coordinate ermeneutiche alle quali conformarsi in vista dell’applicazione della norma.
A conforto di tale soluzione è proprio l’istituto della rimessione alla Corte di Giustizia (che nella vicenda in esame è stato operato da questa Corte con la decisione n. 20410/2004), posto che, a voler sposare la soluzione del giudice di appello, il rinvio pregiudiziale si rivelerebbe sempre privo di concreta rilevanza per la causa a quo, in quanto, a voler accedere alla tesi della Corte distrettuale, la soluzione offerta dal giudice di Lussemburgo non potrebbe che operare per il futuro, e senza possibilità di offrire elementi per la risoluzione delle cause già pendenti.
I motivi vanno pertanto accolti e la sentenza impugnata deve essere cassata anche in parte qua, dovendo il giudice di rinvio valutare la spettanza dell’indennità di cui all’art. 1751 c.c., sulla base delle indicazioni interpretative offerte dalla citata sentenza della Corte di Giustizia.
Il tredicesimo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 183 c.p.c. e 24 Cost. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte deciso in forza di un rilievo officioso non sottoposto al contraddittorio delle parti.
In particolare, secondo la ricorrente, il giudice di secondo grado, nel ritenere non chiari e utilizzabili i conteggi dell’agente, essendo le somme richieste per gli anni 1999 e 2000, ed essendo state indicate le basi di calcolo solo in grado di appello, e quindi tardivamente, avrebbe posto a fondamento della sua decisione una questione rilevabile d’ufficio senza sottoporla al contraddittorio delle parti in aperta violazione del divieto di
sentenze ‘a sorpresa’ o della ‘terza via’ adottate in violazione del principio della parità delle armi.
Il quattordicesimo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza ex art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per la violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’asserita incertezza dei conteggi per aver la Corte territoriale affermato che la somma dell’indennità di fine rapporto era stata indicata senza che ne fosse esplicitata l’effettiva base di calcolo, derivando da ciò una mancanza di chiarezza nei conteggi tale da impedire l’applicazione dell’art. 1751 c.c. Secondo la ricorrente, il giudice di merito non avrebbe valutato correttamente le risultanze processuali ovvero non avrebbe effettuato i calcoli sulla base dei dati contabili disponibili, avendo, al contrario, la ricorrente effettuato i propri conteggi e formulato le proprie domande sulla base delle fatture esistenti e degli elenchi allegati.
Il quindicesimo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per la violazione dell’art. 132, co. 1, n. 4, c.p.c. ed assoluta carenza di motivazione per aver la Corte territoriale omesso di fornire una motivazione circa l’asserita inapplicabilità del principio di non contestazione. In particolare, non sarebbe possibile ricostruire l’iter logico che ha portato la Corte ad affermare la mancanza di chiarezza nei conteggi e l’inapplicabilità del suddetto principio di non contestazione, nonostante l’indicazione da parte della ricorrente, già nell’atto di citazione del giudizio di primo grado, della somma richiesta a titolo di indennità di fine rapporto.
I motivi restano evidentemente assorbiti in ragione dell’accoglimento dei precedenti motivi.
Al giudice di rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, resta devoluta anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.
PQM
Accoglie, nei limiti di cui in motivazione il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il sesto, il settimo, il nono, il decimo, l’undicesimo ed il dodicesimo motivo di ricorso, e rigettati il quinto e l’ottavo motivo ed assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio del 1 luglio 2025