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Omologa concordato preventivo: il no del Tribunale

Una società ha richiesto l’omologa di un concordato preventivo in continuità aziendale nonostante il voto contrario di diverse classi di creditori. Il Tribunale di Torino ha respinto l’istanza, evidenziando due criticità insuperabili: la manifesta irrealizzabilità del piano economico-finanziario, basato su proiezioni smentite dai dati reali, e la violazione della regola della priorità assoluta (Absolute Priority Rule). La proposta, infatti, prevedeva la soddisfazione di creditori di rango inferiore prima di quelli privilegiati, contravvenendo a un principio cardine della procedura.

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Omologa Concordato Preventivo: Quando il Piano Non È Fattibile

L’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale rappresenta una fondamentale ancora di salvezza per le imprese in crisi. Tuttavia, l’accesso a questo strumento è subordinato al rispetto di requisiti rigorosi, volti a tutelare l’intero ceto creditorio. Una recente sentenza del Tribunale di Torino offre un chiaro esempio di come la mancanza di fattibilità economica e la violazione delle regole di distribuzione possano condurre al rigetto della richiesta di omologa concordato preventivo, anche quando si tenta di avvalersi del meccanismo del cross-class cram-down.

Il Caso: Una Richiesta di Omologa Nonostante i Voti Contrari

Una società operante nel settore alimentare, dopo aver ottenuto una proroga per la presentazione del piano, ha depositato una proposta di concordato in continuità. Le operazioni di voto hanno però registrato un esito non unanime: mentre le classi dei dipendenti e dei professionisti hanno espresso parere favorevole, le classi comprendenti agenti, creditori tributari e previdenziali, enti locali e chirografari non garantiti si sono opposte.
Nonostante ciò, la società ha presentato istanza di omologa, confidando nella possibilità per il Tribunale di approvare il piano anche in presenza del dissenso di alcune classi (c.d. cross-class cram-down, art. 88 e 112 CCII).

L’Analisi del Tribunale e la Carenza di Fattibilità del Piano

Il Tribunale, analizzando la documentazione e i pareri del Commissario Giudiziale, ha riscontrato una fondamentale carenza di fattibilità del piano. Le proiezioni economiche su cui si fondava la proposta di risanamento si sono rivelate eccessivamente ottimistiche e, soprattutto, smentite dai dati consuntivi registrati durante la procedura. I ricavi mensili effettivi erano costantemente inferiori persino all’ipotesi “worst case” delineata nel piano stesso.

Inoltre, il piano poggiava in modo critico su una strategia commerciale basata sull’intermediazione di una società terza di nuova costituzione, la cui capacità di generare i flussi di cassa “a vista” promessi appariva del tutto incerta e priva di riscontri concreti. Il Tribunale ha sottolineato come il piano mancasse di delineare azioni concrete, valide opportunità commerciali, nuovi prodotti o canali distributivi che potessero legittimare le aspettative di ripresa.

La Violazione della Priorità Assoluta: un Ostacolo all’Omologa Concordato Preventivo

Il punto più critico, che ha reso la proposta inaccoglibile, è stata la palese violazione della regola della priorità assoluta (Absolute Priority Rule – APR), un cardine dell’art. 112, comma 2, lett. a) del Codice della Crisi.
Il Tribunale ha calcolato che il valore di liquidazione dell’attivo aziendale ammontava a circa 388.000 euro. Secondo la legge, questa somma deve essere distribuita rispettando rigorosamente l’ordine delle cause di prelazione. Nel caso di specie, tale valore sarebbe stato sufficiente a soddisfare per intero i crediti prededucibili e quelli privilegiati delle prime tre classi (dipendenti, professionisti, etc.).

La proposta della società, invece, prevedeva di soddisfare solo parzialmente (al 20%) i creditori della terza classe (agenti e artigiani), destinando al contempo una somma di circa 27.000 euro ai creditori chirografari (l’ultima classe). Questa distribuzione è stata giudicata illegittima, poiché il valore eccedente quello di liquidazione, distribuibile con criteri di priorità relativa (RPR), ammontava a soli 7.000 euro. Di fatto, si stava pagando chi veniva dopo in graduatoria (chirografari) con risorse che per legge spettavano a chi veniva prima (privilegiati di classe 3).

Il Tentativo Tardivo di Nuova Finanza

Nel corso dell’udienza finale, la società ha tentato di superare le criticità presentando una lettera d’intenti per l’apporto di nuova finanza da parte di terzi. Il Tribunale ha ritenuto tale mossa inammissibile a quel punto della procedura. Una tale modifica, infatti, avrebbe costituito una revisione sostanziale del piano, che avrebbe richiesto una nuova attestazione da parte di un professionista indipendente e, soprattutto, una nuova votazione da parte dei creditori.

Le Motivazioni

Il Tribunale ha rigettato l’istanza di omologa del concordato preventivo sulla base di tre motivazioni principali, concorrenti e decisive:
1. Mancanza di ragionevoli prospettive di superamento dell’insolvenza: Il piano industriale si è rivelato inattuabile, basato su proiezioni smentite dai fatti e su strategie commerciali aleatorie e non supportate da evidenze concrete. I risultati economici conseguiti in pendenza di procedura erano peggiori dello scenario peggiore ipotizzato.
2. Violazione del criterio di distribuzione del valore di liquidazione: La proposta violava palesemente la Absolute Priority Rule, falcidiando creditori privilegiati per destinare risorse, in misura superiore a quanto consentito, a creditori chirografari. Questo errore strutturale ha reso la proposta intrinsecamente illegittima.
3. Inammissibilità della modifica tardiva della proposta: L’introduzione di una nuova finanza tramite una mera lettera di intenti in sede di udienza di omologa è stata considerata irrituale, in quanto avrebbe richiesto un nuovo iter di attestazione e voto, non consentito in quella fase processuale.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce con forza due principi fondamentali. In primo luogo, la fattibilità di un piano di concordato non può essere una mera speranza, ma deve fondarsi su presupposti concreti, verificabili e realistici. In secondo luogo, il rispetto delle regole di distribuzione, e in particolare della priorità assoluta dei crediti privilegiati sul valore di liquidazione, è un requisito inderogabile per l’omologa, anche nei casi di cross-class cram-down. Il Tribunale non può avallare un piano che, pur mirando alla continuità, lo fa sacrificando i diritti dei creditori che la legge stessa pone a un rango superiore.

Può il tribunale omologare un concordato preventivo se alcune classi di creditori votano contro?
Sì, la legge lo consente attraverso il meccanismo del ‘cross-class cram-down’. Tuttavia, ciò è possibile solo se vengono rispettate condizioni molto stringenti, tra cui la convenienza per i creditori dissenzienti e, come in questo caso, il rigoroso rispetto delle regole di priorità nella distribuzione del valore di liquidazione.

Perché il piano della società è stato giudicato non fattibile?
Il piano è stato ritenuto non fattibile perché le sue previsioni di ricavo erano smentite dai risultati economici reali, che si sono dimostrati peggiori persino dello scenario più pessimistico. Inoltre, si basava su strategie commerciali incerte e prive di concretezza, senza prevedere investimenti o azioni di rilancio credibili.

Qual è stato l’errore decisivo che ha impedito l’omologa del concordato preventivo?
L’errore fatale è stata la violazione della Regola della Priorità Assoluta (APR). La proposta prevedeva di pagare i creditori chirografari (di rango inferiore) destinando loro risorse che, secondo la legge e il calcolo del valore di liquidazione, spettavano ai creditori privilegiati di rango superiore, che invece venivano soddisfatti solo in parte. Questa violazione ha reso la proposta illegittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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