Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23750 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23750 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32256/2020 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 1805/2020, depositata il 14/07/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5/03/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
La società RAGIONE_SOCIALE ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Busto Arsizio NOME COGNOME chiedendo, previo accertamento dell’inadempimento del convenuto, di risolvere il contratto d’appalto intercorso tra le parti, nonché di condannare il convenuto a pagare il saldo dei lavori eseguiti, oltre al risarcimento dei danni per mancato guadagno e alla somma corrispondente al valore dell’attrezzatura non rinvenuta in cantiere. L’attrice ha dedotto che, con contratto d’appalto, COGNOME le aveva commissionato la costruzione di un immobile concordando il corrispettivo da corrispondere in tre acconti e un saldo finale e che, pur essendo l’opera stata consegnata, il committente non aveva corrisposto la somma di euro 45.655,23. Il giudizio di primo grado era stato preceduto da un accertamento tecnico preventivo introdotto dal committente, che aveva chiesto di accertare i vizi presenti nei lavori eseguiti e il calcolo dei costi necessari per la loro eliminazione, costi che sono stati quantificati dal consulente tecnico d’ufficio in euro 12.936. Il convenuto si è costituito, chiedendo di rigettare le domande dell’attrice e in via riconvenzionale di risolvere il contratto per inadempimento della medesima, in quanto l’opera non era stata completata e presentava vizi e difetti, e di condannare l’attrice al risarcimento dei danni. Con sentenza n. 1134/2017 il Tribunale di Busto Arsizio ha accertato il grave inadempimento dell’appaltatrice, ha accolto la domanda riconvenzionale di Zago di risoluzione del contratto d’appalto e ha condannato l’appaltatrice a pagare euro 12.936.
La sentenza è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE, che ha anzitutto lamentato come il giudice di primo grado avesse
erroneamente ravvisato il proprio grave inadempimento, mentre inadempiente era stato il committente. Con la sentenza n. 1805/2020 la Corte d’appello di Milano ha ritenuto fondata la censura relativa all’inadempimento del committente, in quanto se le consulenze tecniche d’ufficio, svolte in sede di accertamento tecnico preventivo e nel corso del primo grado di giudizio, hanno appurato l’esistenza di vizi dell’opera, hanno altresì accertato che i lavori erano stati quasi interamente eseguiti già nel mese di luglio del 2009, che il valore dell’opera realizzata è pari ad euro 44.088, che la mancanza di alcune opere di rifinitura era dipesa esclusivamente dalla sospensione dei lavori disposta dal committente e che d’altra parte l’appaltatrice, una volta ripristinato il cantiere, si era resa disponibile a completare l’opera. La Corte d’appello ha quindi risolto il contratto a causa del grave inadempimento del committente e ha così condannato l’appaltatrice al pagamento di euro 12.373,87 per l’eliminazione dei vizi dell’opera e il committente al pagamento di euro 44.088, corrispondenti al valore dei lavori utili eseguiti come da contratto, disponendo la compensazione tra i due crediti.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in due motivi.
Il primo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: il ricorrente ha versato acconti a controparte per la somma complessiva di euro 19.370 oltre IVA, fatto dimostrato documentalmente e attestato dalla stessa appaltatrice e tale fatto non è stato esaminato dal giudice d’appello.
Il motivo è fondato. La Corte d’appello ha dato atto che la stessa appaltatrice ha riconosciuto nell’atto di appello che il committente aveva corrisposto acconti, acconti cui la medesima faceva
riferimento pure nell’atto introduttivo del processo (v. la sentenza impugnata alle pagg. 7 e 2). Tale fatto la Corte d’appello non ha poi però esaminato, laddove si è limitata a considerare il compenso dovuto per tutti i lavori eseguiti dalla appaltatrice e tale importo ha posto in compensazione con l’importo relativo ai costi necessari per l’eliminazione dei vizi dell’opera (v. le pagg. 17 e 19 della sentenza impugnata).
Il secondo motivo contesta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per non avere la Corte d’appello considerato che la sospensione necessaria del cantiere è stata disposta dal responsabile della sicurezza e non dal ricorrente e che la perdurante mancata messa in sicurezza del medesimo è imputabile esclusivamente all’inerzia della appaltatrice.
Il motivo è infondato. La Corte d’appello, nel compiere la comparazione della gravità degli inadempimenti posti in essere dalle due parti, ha valorizzato la dichiarazione dell’appaltatrice contenuta nel documento del 1° settembre 2009 e la lettera della medesima del 3 settembre 2009, con la quale l’appaltatrice si dichiarava disponibile a completare i lavori, peraltro ‘quasi interamente eseguiti’. Si tratta di un accertamento in fatto, che al giudice di merito spettava compiere, rispetto al quale le circostanze evidenziate dal ricorrente non si presentano come decisive e che è pertanto non censurabile da parte di questa Corte di legittimità.
II. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Milano, che provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, rigettato il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione