Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23434 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23434 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16680/2019 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, n.q. eredi di NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME n.q. eredi di NOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA CORSO COGNOME NOME II18, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti-
Contro
COMUNE DI LARINO, in persona del Sindaco elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (GDUNTN47R27A783T)
-Controricorrente e ricorrente incidentalee contro
ISTITUTO AUTONOMO RAGIONE_SOCIALE CAMPOBASSO, in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato
COGNOME NOMECODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE -Controricorrente e ricorrente incidentaleavverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI CAMPOBASSO n.
445/2018 depositata il 06/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 10 giugno 2003 il Tribunale di Larino ha condannato in solido il Comune di Larino e l’Istituto case popolari (IACP) al danno per illegittima irreversibile trasformazione (usurpativa) di un terreno di proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME danti causa degli odierni ricorrenti.
La Corte d’appello ha ridotto il risarcimento del danno.
La Corte di Cassazione, adita da IACP in via principale e dai privati e dal Comune in via incidentale, con sentenza del 25 gennaio 2013 n. 1787 ha respinto il ricorso principale dello IACP, accolto il quinto e il sesto motivo dell’appello incidentale del Comune (che aveva rinunciato ai primi quattro motivi), esaminando le censure insieme al primo motivo del ricorso incidentale COGNOME, e cassato la sentenza impugnata con rinvio; ha respinto invece il secondo motivo dell’incidentale dei COGNOME, assorbito il terzo. In questa sentenza la Corte di Cassazione ha rilevato che il Giudice amministrativo aveva annullato il piano di zona contenente la dichiarazione di pubblica utilità e quindi, travolti tutti gli atti della procedura ablativa, l’apprensione e detenzione dei terreni dei Bucci era da considerarsi abusiva ab origine, trattandosi di un illecito permanente di diritto comune, rigettando anche la eccezione di prescrizione opposta dall’Istituto case popolari. La Corte di Cassazione ha poi osservato
che non poteva farsi riferimento alla superficie originariamente occupata con i decreti amministrativi, peraltro travolti dall’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, ma soltanto alla superficie effettivamente trasformata e che aveva perso la sua identità iniziale; quanto alla misura del risarcimento, la Corte di legittimità ha osservato che occorreva fare riferimento al valore venale del terreno secondo i criteri di edificabilità legale e di fatto e che, nella specie, era pacifico tra le parti che il fondo avesse destinazione edificatoria, perché incluso in zona C del P.R.G. del Comune.
Gli eredi COGNOME hanno riassunto il giudizio innanzi alla Corte d’appello di Campobasso, chiedendo di determinare il risarcimento del danno, tenuto conto anche della diminuzione di valore subita dalla parte residua, non trasformata, in applicazione analogica dello art. 40 TUE, e la restituzione del relictum .
Il Comune ha chiesto che queste domande, in quanto nuove, fossero dichiarate inammissibili, eccezione che la Corte ha accolto, rilevando che le aree sottratte dalla Pubblica Amministrazione alla proprietà COGNOME sono pari a 5000 metri quadri (mentre la parte originariamente occupata era pari a 6340), di cui oltre 30 metri quadri occupati da un pilone, e ha di conseguenza ha liquidato il danno, in adesione alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso principale per cassazione gli eredi COGNOME affidandosi a sei motivi. L’Istituto autonomo case popolari ha proposto ricorso incidentale, affidandosi a quattro motivi. Il Comune di Larino ha a sua volta depositato controricorso e ricorso incidentale, affidato a quattro motivi. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 2043 c.c. e dei
principi generali in tema di risarcimento del danno da occupazione illegittima, nonché l’erronea individuazione del momento di riferimento della stima del valore del bene alla data delle volture catastali. I ricorrenti deducono che la Corte di merito ha erroneamente riferito il momento in cui si è realizzata l’irreversibile trasformazione del fondo e quindi determinato il valore di stima tenendo presenti tre date, corrispondenti alle date dell’accatastamento dei fabbricati e delle opere di urbanizzazione eseguite; tuttavia, l’accatastamento è intervenuto a distanza di lungo tempo dell’irreversibile trasformazione e in ogni caso costituisce una circostanza del tutto irrilevante al fine di individuare il momento in cui va determinato il valore del bene occupato. Invece, nei precedenti gradi del giudizio si era già accertato che la irreversibile trasformazione del fondo si era verificata nel gennaio del 1984, statuizione divenuta definitiva, dal momento che il Comune di Larino aveva rinunciato alla censura relativa.
2. -Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dello art. 360 n. 3 c.c. 2043 c.c. la ulteriore violazione dell’art. 2043 c.c. e dei principi generali nazionali ed europei in tema di occupazione usurpativa in ordine al momento rilevante ai fini della determinazione valore del bene, avendo la Corte di merito erroneamente stimato il bene alla data di trasformazione. I ricorrenti deducono che non è l’irreversibile trasformazione che determina il trasferimento di proprietà, bensì la rinuncia dei proprietari, avvenuta al momento della domanda introduttiva del presente giudizio, cioè nel mese di ottobre 1990. Da ciò consegue altresì che la rivalutazione e gli interessi compensativi decorrono da tale momento e non dalla data di trasformazione del fondo; richiamano i principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 735 del 2015.
-Con il terzo motivo del ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione degli artt. 2043, 2056, 1224 c.c. e dei principi generali in tema di obbligazione di valore, per il mancato riconoscimento degli interessi compensativi dalla data trasferimento del bene. I ricorrenti deducono che, stante la natura valoristica dell”obbligazione risarcitoria derivante dall’occupazione usurpativa, la somma dovuta per la perdita definitiva del bene deve essere rivalutata secondo gli indici Istat da tale momento -nella fattispecie ottobre 1990 -maggiorata con gli interessi compensativi.
-Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. (360 c. 1 n. 4) e la violazione dell’art. 2909 c.c., e degli artt. 112 e 324 c.p.c. Si deduce in via residuale, per il caso in cui si ritenga che la data alla quale fare riferimento per la determinazione del valore dell’area nel caso di occupazione usurpativa vada individuata al momento di irreversibile trasformazione, la nullità della sentenza per non avere la Corte di appello rilevato e di conseguenza per non essersi conformata al giudicato prodottosi all’esito della sentenza del Giudice di prime cure, confermata dalla sentenza di secondo grado, in forza del quale l’irreversibile trasformazione si era verificata al gennaio 1984.
5. -I primi quattro motivi del ricorso possono esaminarsi congiuntamente, unitamente ai primi tre motivi di ricorso incidentale proposto dallo IACP e al secondo motivo del ricorso incidentale proposto dal Comune, che sono speculari alle censure di parte ricorrente.
5.1. Con il primo del ricorso incidentale dello IACP si lamenta ai sensi dell’art 360 n. 4 c.p.c. la violazione degli artt. 112 e 389 c.p.c., per la omessa condanna alla restituzione delle maggiori somme incamerate dai privati in esecuzione dei precedenti gradi di giudizio. Si deduce che nelle conclusioni formulate con la comparsa di costituzione nel giudizio di rinvio l’Istituto aveva chiesto di con-
dannare gli odierni appellanti a restituire la somma risultante dalla differenza, e il Giudice del rinvio ha omesso di considerare la richiesta.
5.2. -Con il secondo motivo del ricorso incidentale dello IACP si lamenta la nullità della sentenza ex art 360 n. 3, c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. e la violazione dell’art 2043 c.c., per la erronea indicazione della data della irreversibile trasformazione, la errata quantificazione della superficie effettivamente trasformata e l’omesso riscontro delle contestazioni delle parti. La parte deduce di avere da sempre contestato la consulenza per avere travalicato i limiti dell’incarico conferito. Osserva che la irreversibile trasformazione ha interessato soltanto la minore superficie di metri quadri 1.980 occupata dagli alloggi, alla quale poteva tuttalpiù aggiungersi un’area di mq 1.292 destinata alle opere di urbanizzazione. La Corte territoriale avrebbe quindi errato a rideterminare la superficie effettivamente trasformata, includendovi anche una porzione di terreno sulla quale non è stata realizzata dal Comune alcuna opera; deduce che sul punto erano state presentate dalle osservazioni alla consulenza, cui la Corte non ha dato alcun seguito, osservazioni che vengono richiamate in controricorso e in memoria.
5.3. -Con il terzo motivo del ricorso incidentale dello IACP si lamenta la violazione dell’art 112 c.p.c., ai sensi dell’art 360 n. 4 c.p.c., per l’erroneo accoglimento parziale dell’appello incidentale dei privati e la contraddittorietà della sentenza. La parte deduce che la Corte di merito non avrebbe dovuto accogliere l’appello incidentale degli eredi COGNOME perché aveva confermato la superficie di 5.000 metri quadri già a suo tempo determinata dalla stessa Corte, mentre i COGNOME pretendevano che la superficie trasformata fosse pari a 6.400 metri quadri.
5.4. -Con il secondo motivo del ricorso incidentale del Comune si lamenta il mancato rispetto del decisum della sentenza di cassazione e degli articoli 383/394 c.p.c., nonché la persistente violazione dell’articolo 2043 c.c. e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio. Il motivo è proposto avverso la parte della sentenza con cui è stata dichiarata l’occupazione usurpativa di una superficie di terreno mai irreversibilmente trasformata pari a metri quadri 1.612 ed è stata disposta alla condanna al pagamento di euro 177.874,00 superiore a quella dovuta.
La parte deduce che il giudice del rinvio era chiamato a compiere solo due operazioni: determinare l’esatta superficie del terreno irreversibilmente trasformato e quindi il valore del suolo, liquidando il risarcimento danni; a tal fine ha disposto consulenza tecnica di ufficio, che veniva radicalmente contestata da tutti consulenti delle parti, in particolare per non avere effettuato alcun rilievo strumentale. Di questi rilievi critici la Corte d’appello non ha tenuto conto, limitandosi ad affermare, senza alcun commento o motivazione, che il CTU « ha accertato che le aree sottratte dalla P.A. alla proprietà COGNOME ascendono a 5000 mq. oltre 30 mq., che sono occupati dal pilone della SS87». Quindi la Corte non ha minimamente menzionato il radicale contrasto e l’acceso dibattito che vi è stato tra i consulenti e gli avvocati delle tre parti in ordine alla esatta superficie irreversibilmente occupata. Ed infatti i COGNOME hanno continuato a sostenere che la superficie dovesse essere pari a quella di mq. 6.340 oggetto dell’originario decreto di occupazione di urgenza, mentre il Comune ha invece sostenuto che la superficie è pari a mq. 3.388 e quindi con una differenza in meno di mq. 1.612 rispetto ai 5.000 mq indicati dalla sentenza impugnata.
6. -I motivi sono parzialmente fondati nei termini di cui appresso.
6.1. -Nel provvedimento impugnato si rileva che il consulente tecnico d’ufficio ha ricostruito i passaggi delle trasformazioni apportate al fondo di proprietà COGNOME, e precisamente ha considerato quattro date: A) data di costruzione del pilone (1984); b) data della ultimazione della costruzione del primo edificio (1989); c) data della ultimazione della costruzione del secondo edificio (1991): C) e data della ultimazione della strada (2011). Ciò in quanto la Corte d’appello aveva demandato al consulente tecnico di ufficio di individuare (pagina 5 della sentenza) le date di ultimazione dei lavori e di accertare il valore al metro quadro dei suoli al tempo della data della ultimazione degli interventi. Nella sentenza si rileva quindi che il consulente ha accertato che le aree sottratte dalla Pubblica Amministrazione alla proprietà COGNOME sono pari a 5000 metri quadri, oltre 30 metri quadri occupati dal pilone, ed ha quantificato in euro 170.874,11, aggiornato ad aprile 2015, il valore della proprietà dei COGNOME usurpativamente occupata dalla Pubblica Amministrazione. A queste conclusioni la Corte di merito ritiene di aderire, pur dando atto che « vi è stato ampio dibattito tecnico con i consulenti delle parti, in quanto fanno seguito alle indicazioni da costui ricevute allorquando sono stati formulati i quesiti nel rigoroso rispetto del dictum della Cassazione ».
6.2. -La Corte di merito non specifica per quale ragione abbia chiesto al consulente di stimare il valore del terreno alla data di ultimazione degli interventi -richiesta scarsamente comprensibile, ove si pensi che la irreversibile trasformazione del fondo non determina l’acquisizione della proprietà in capo all’ente espropriante -e se ha inteso individuare un momento unitario di irreversibile trasformazione dell’intero terreno ovvero momenti differenti per porzioni differenti; né specifica per quale ragione ha dato rilievo, ai fini della stima, alla ultimazione dei lavori e non alla data della domanda di risarcimento danno proposta dal privato. Non chiarisce inoltre
in base a quali parametri abbia ritenuto che la superficie effettivamente sottratta alla disponibilità dei privati sia pari a 5.000 mq, nonostante abbia dato atto che, come affermato nella sentenza di cassazione con rinvio, non deve essere ammesso al risarcimento l’intero lotto assegnato allo IACP, ma solo la parte effettivamente manipolata in modo tale da farle perdere la originaria configurazione. Si riscontra così, nella sentenza impugnata, una acritica adesione alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, senza esaminare le osservazioni dei consulenti di parte -pur dandosi atto che vi sono state -che rende nulla la motivazione sul punto.
Costituisce infatti giurisprudenza costante di questa Corte la affermazione che è affetta da vizio di motivazione la sentenza con la quale il giudice di merito, a fronte di precise e circostanziate critiche mosse dal consulente tecnico di parte alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, non le abbia in alcun modo prese in considerazione e si sia invece limitato a far proprie le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, giacché il potere di detto giudice di apprezzare il fatto non equivale ad affermare che egli possa farlo immotivatamente e non lo esime, in presenza delle riferite contestazioni, dalla spiegazione delle ragioni per le quali sia addivenuto ad una conclusione anziché ad un’altra, incorrendo, altrimenti, proprio nel vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia (Cass. n. 4797 del 01/03/2007; Cass. n. 10688 del 24/04/2008; Cass. n. 15147 del 11/06/2018; Cass. n. 30364 del 21/11/2019; Cass. n. 15804 del 06/06/2024).
In definitiva ,la sentenza della Corte di Campobasso è incorsa nello stesso errore già rilevato in sede di legittimità, esaminando la precedente sentenza resa inter partes e cassata, e cioè argomenta sulla base di elementi di prova menzionati in modo tale da presupporre che essi siano già conosciuti, perché ne fa oggetto di mero ri-
chiamo, invece che di una descrizione sufficiente a dar conto della loro rilevanza e provenienza.
7. -Parte ricorrente deduce che si sia formato giudicato interno sulla data della irreversibile trasformazione del fondo, che il Giudice di primo grado avrebbe fissato al 1984. Questa censura, esplicitamente proposta con il quarto motivo, è definita dalla parte residuale rispetto alla censura che stigmatizza l’errore della Corte di merito per non avere stimato il fondo alla data del 1990, quando la parte ha chiesto il risarcimento del danno, rilievo che, come appresso si dirà, è fondato.
Non può dirsi che si sia formato il giudicato interno su un punto dirimente, posto che la questione controversa, e rimasta tale dopo la sentenza di cassazione, è quanta porzione di terreno sia stata effettivamente occupata sine titulo dall’ente espropriante e quanta effettivamente trasformata e la misura del risarcimento del danno dovuto ai proprietari che, con l’atto di citazione, hanno rinunciato alla tutela restitutoria.
7.1. -La Corte di Cassazione ha infatti stigmatizzato l’errore compiuto da entrambi i giudici di merito di non considerare che, trattandosi di occupazione usurpativa, la irreversibile trasformazione del fondo non comportava la acquisizione della proprietà in capo all’ente. La sentenza cassatoria demandava quini al giudice del merito di accertare quale parte del terreno dei Bucci fosse stata effettivamente ed irreversibilmente trasformata, e non soltanto occupata con gli atti amministrativi poi travolti dalla pronuncia giudiziale amministrativa, e di stimarla, ma non perché da questa irreversibile trasformazione derivasse la acquisizione del terreno alla mano pubblica. Questa Corte, nella sentenza del 2013, ha precisato che si verte qui in materia di occupazione abusiva, sicché il proprietario conserva e mantiene il proprio diritto dominicale sull’immobile, nonché in via primaria, quello di chiederne la restituzione e che l’a-
zione risarcitoria ex art. 2043 c.c. è esperibile soltanto se (e solo perché) egli per una propria scelta discrezionale rinuncia ad ottenere il rilascio del bene, la cui abusiva occupazione configura un fatto illecito di natura permanente, che cessa soltanto con la restituzione dell’immobile al proprietario, ovvero con la rinuncia di costui a richiederla, che nel caso di specie è contenuta nella citazione introduttiva del giudizio. Queste affermazioni si saldano con il successivo dictum delle Sezioni Unite, le quali, con la sentenza n. 735/ 2015, invocata da parte ricorrente, hanno affermato che con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell’occupazione acquisitiva, e ritenute contrarie all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, viene meno la configurabilità del fatto come illecito istantaneo con effetti permanenti e se ne deve affermare la natura di illecito permanente, che viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente. In quella sede si è altresì affermato che, in alternativa alla restituzione, al proprietario è sempre concessa l’opzione per una tutela risarcitoria, con una implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato. Tale rinuncia ha carattere abdicativo e non traslativo: da essa, perciò, non consegue l’acquisto della proprietà del fondo da parte dell’Amministrazione.
6.2. -La giurisprudenza italiana, dopo le sentenze della Corte EDU che hanno ritenuto l’istituto della c.d. espropriazione indiretta contrastante con l’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, (Corte EDU, sent. 30/05/2000, RAGIONE_SOCIALE; 15 e 29/07/2004, COGNOME RAGIONE_SOCIALE) ha rivisitato i suoi precedenti orientamenti, affermando con molta chiarezza che la trasformazione irreversibile del fondo non determina l’acquisto della proprietà da
parte dell’Amministrazione. Vi è stata, in definitiva, la riunificazione, sotto il profilo che qui interessa, della occupazione cd. appropriativa -caratterizzata dalla irreversibile trasformazione del fondo in assenza del decreto di esproprio -a quella dell’occupazione cd. Usurpativa, caratterizzata dalla trasformazione in mancanza, originaria o sopravvenuta, della dichiarazione di pubblica utilità (cfr. Cass., n. 12961/2018; n. 22929/2017), in riferimento alla quale già in precedenza si era ritenuto che, configurandosi l’occupazione come un comportamento di mero fatto, la trasformazione irreversibile del fondo fosse inidonea a determinare l’acquisto della proprietà da parte della Amministrazione, ricollegabile invece alla rinuncia del proprietario alla tutela restitutoria, implicita nella proposizione della domanda di risarcimento per equivalente (cfr. Cass., n. 9173/2005; Cass., n. 7643/2003). Per effetto di tale riunificazione, è venuta meno la rigida distinzione tra le causae petendi delle pretese risarcitorie correlate alle due fattispecie, riconoscendosi la possibilità di modificare nel corso del giudizio i fatti allegati a sostegno della domanda (cfr. Cass., n 12846/2018; Cass. n. 18222/2024). E’ scemata altresì la centralità del tema d’indagine riguardante l’individuazione del momento in cui ha avuto luogo la trasformazione irreversibile del fondo, non più identificabile come fatto generatore della perdita della proprietà e quindi irrilevante ai fini sia della prescrizione della pretesa risarcitoria che della liquidazione del danno, da effettuarsi in riferimento alla data della domanda con la quale si rinuncia alla tutela restitutoria (cfr. Cass. n. 12961/2018; Cass. 19784/2024).
7. -Nel caso di specie, pertanto, l’indagine sulla trasformazione del fondo non avrebbe dovuto avere come scopo primario l’accertamento di quando detta trasformazione fosse avvenuta, ma avrebbe dovuto essere diretta ad accertare quanta parte del fondo fosse stata effettivamente manipolata in modo da farle perdere la
sua conformazione fisica originaria, sì da risultare stabilmente ed inscindibilmente incorporato quale parte indistinta e non autonoma in un bene nuovo e diverso, incompatibile con l’autonoma sopravvivenza del suolo in esso incorporato. Questo è il presupposto di fatto che pone il privato nella alternativa se richiedere la restituzione del fondo in cui è stato incorporato il bene costruito, scelta che per l’interessato si può rivelare particolarmente gravosa oltre che socialmente inadeguata (nel caso di specie si tratta di case popolari), oppure se rinunciare alla tutela restitutoria e chiedere la tutela risarcitoria, lasciando così l’ente espropriante nella occupazione (ed utilizzazione) del bene, che però non passa in sua proprietà, salvo che venga attivata la procedura della acquisizione sanante ex art. 42 -bis TUE. La rinuncia alla tutela restitutoria, in quanto fondata sul presupposto che il bene abbia perso la sua configurazione originaria, non può che riguardare la parte di fondo effettivamente trasformata e non il relictum . Pertanto, una volta preso atto che la parte privata aveva rinunciato alla tutela restitutoria del bene trasformato, occorreva accertare la sua estensione e stimarla alla data della domanda risarcitoria e non al momento in cui questa trasformazione era avvenuta. La giurisprudenza di questa Corte è chiara nell’affermare che il danno, in tale caso, va ristorato con riferimento al valore del bene al momento della domanda e la somma risultante, trattandosi di debito di valore, sarà sottoposta a rivalutazione monetaria fino alla data della sentenza, con possibilità di riconoscere sulla medesima somma rivalutata, quale lucro cessante, gli interessi decorrenti dalla data del fatto illecito, non necessariamente commisurati al tasso legale, ma ispirati a criteri equitativi, e computati con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, per effetto dei prescelti indici di valutazione, ovvero in base ad un
indice medio (Cass. n. 12961 del 24/05/2018; Cass. n. 24131 del 09/09/2024).
7.1. -Pertanto, la sentenza della Corte d’appello è per un verso affetta da nullità, in quanto recepisce acriticamente le conclusioni del consulente, non esponendo le ragioni per le quali individua nella misura di 5.000 mq la parte di superficie irreversibilmente trasformata, non rispondendo ai rilevi critici dei consulenti di parte, e segnatamente ai rilievi del Comune e dello IACP sul punto; per altro verso è affetta da errori di diritto, derivanti dall’aver posto al consulente quesiti fuorvianti, avendogli la Corte di merito chiesto di accertare il valore del bene al momento della ultimazione dei lavori e non al momento della domanda giudiziale, momento che manifesta la scelta di rinunciare alla tutela restitutoria in favore di quella risarcitoria. La Corte di merito ha, in definitiva, deciso senza tenere conto di quanto affermato nella sentenza di rinvio e trascurando tutta la evoluzione giurisprudenziale di cui sopra si è detto; e di conseguenza ha errato anche a dichiarare inammissibile la domanda di restituzione del relictum, come meglio appresso si dirà. Inoltre, non è chiarito da quando la Corte abbia fatto decorrere la rivalutazione, quali criteri abbia applicato e per quale ragione non siano stati calcolati gli interessi decorrenti dalla data del fatto.
Da ciò consegue l’accoglimento per quanto di ragione dei motivi primo, secondo e terzo del ricorso principale, assorbito il quarto, nonché l’accoglimento del secondo motivo di ricorso incidentale del Comune e dei motivi secondo e terzo del ricorso incidentale dello IACP, con assorbimento del motivo primo del ricorso incidentale dello IACP. Per quanto riguarda questo motivo, vero è che nella sentenza impugnata non si esamina la domanda di restituzione delle somme pagate ed asseritamente non dovute; ma essendo ancora incerto, per effetto dell’accoglimento dei motivi sopraindicati, il
quantum del risarcimento, è incerto anche se vi sia un residuo da restituire allo IACP.
-Riprendendo ora l’esame dei motivi del ricorso principale, restano da esaminare il quinto e sesto motivo.
8.1. -Con il quinto motivo del ricorso principale si lamenta la violazione degli artt. 100, 345 e 389 c.p.c. e la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. ,per la erronea dichiarazione di inammissibilità della domanda di restituzione dell’area non trasformata. Gli eredi COGNOME lamentano che sia stata dichiarata inammissibile per novità la domanda di restituzione del relictum da essi avanzata nell’atto di riassunzione. Deducono che il Giudice di prime cure aveva statuito l’occupazione usurpativa dell’intero fondo, la Corte d’appello aveva ridotto l’occupazione acquisitiva a mq. 5000, e in sede di ricorso per cassazione tale statuizione fu oggetto di specifica censura; la Corte di Cassazione con la sopramenzionata sentenza n. 1787/2013 ha demandato al giudice di rinvio l’esame della questione. Ne deriva che l’interesse a chiedere la restituzione dell’area che si ritenesse eventualmente non trasformata sorge direttamente dalla pronuncia di rinvio della Corte di cassazione.
8.1. -Il motivo è fondato.
Non si tratta di una domanda nuova ma di una semplice precisazione della domanda originaria, che costituisce una diretta conseguenza della enunciazione, da parte di questa Corte, dei criteri ai quali si sarebbe dovuto attenere il giudice del merito nello stabilire quale fosse la superficie dell’area per la quale il privato aveva effettivamente rinunciato alla tutela restitutoria, e quindi da considerare come bene perduto e da risarcire. Nel primo giudizio di legittimità infatti si discuteva se la estensione dell’area da risarcire fosse maggiore di 5000 metri quadri perché secondo i COGNOME si estendeva a tutto il terreno che era stato originariamente occupato con gli atti amministrativi di occupazione di urgenza (6340 mq), cosa che la
Corte di cassazione ha escluso, rilevando che si era di fronte ad un’occupazione interamente abusiva; secondo lo IACP e il Comune l’area effettivamente trasformata sarebbe di dimensioni ancora minori rispetto alla superficie di 5000 metri quadri, e si tratta di una questione ancora dubbia, dal momento che, come sopra si è detto, manca sul punto la motivazione da parte della Corte d’appello. Da ciò discende che non può impedirsi alla parte, una volta respinta la sua tesi della coincidenza tra terreno occupato in virtù dei decreti successivamente annullati e terreno per il quale è possibile ottenere il risarcimento, di chiedere nello stesso processo la restituzione del relictum, previo accertamento della sua effettiva consistenza.
9. -Con il sesto motivo del ricorso si lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per la compensazione delle spese nonostante la sostanziale soccombenza degli enti convenuti, autori dell’illecita occupazione che ha costretto gli espropriati ad affrontare un lungo contenzioso concluso con la condanna delle amministrazioni convenute.
Il motivo è assorbito, posto che la soccombenza può valutarsi solo all’esito del giudizio, non ancora concluso; il criterio della soccombenza non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente alla decisione finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un risultato ad essa favorevole ( Cass. n. 9785 del 25/03/2022).
9.1. -Speculare al sesto motivo del ricorso principale è il quarto motivo del ricorso incidentale dello IACP, con il quale si lamenta la violazione e falsa interpretazione degli art. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per aver erroneamente la Corte territoriale disposto la compensazione delle spese di giudizio. La parte deduce che, essendo gli eredi COGNOME soccombenti nei prece-
denti gradi di giudizio, nonché nella causa di rinvio, andava conseguentemente disposta la condanna alle spese degli stessi.
Il motivo è assorbito per le stesse ragioni sopra esposte.
-Restano da esaminare i residui motivi del ricorso incidentale del Comune di Larino.
10.1. -Con il primo motivo del ricorso si lamenta l’errore materiale che sarebbe contenuto nel dispositivo della sentenza, laddove accoglie parzialmente l’appello incidentale proposto dagli eredi di NOME COGNOME nonché dagli eredi di NOME COGNOME mentre in realtà l’appello incidentale era stato proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME mentre erano ancora in vita. Inoltre, poiché l’impugnata sentenza aveva confermato la superficie in metri quadri 5.000, già a suo tempo determinata dalla Corte con la sentenza n. 324 del 2006, è stato illegittimamente disposto l’accoglimento del ricorso incidentale dei signori COGNOME, che invece andava rigettato. Nella memoria il Comune rileva che « anche allo scopo di agevolare il lavoro del Collegio, rinunzia al motivo (che peraltro è stato proposto unicamente per contestare la totale compensazione delle spese) ».
La rinuncia è ammissibile, in quanto esprime una scelta difensiva tecnica (Cass. n. 414 del 13/01/2021), manifestando la mancanza di interesse ad una decisione sul punto.
-Il secondo motivo del ricorso incidentale del Comune è già stato sopra esaminato, in quanto speculare alle censure di parte ricorrente, e ritenuto fondato.
11.3. -Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. per non avere la Corte rilevato la formazione del giudicato formatosi sul valore del suolo. Il Tribunale aveva infatti fissato il valore in lire 24.350 al metro quadro alla data del gennaio 1984; sia il Comune che i Bucci avevano contestato la stima e il Comune in particolare sul punto ha proposto il sesto motivo di ricorso incidentale, accolto dalla Cassazione, mentre i
COGNOME non hanno proposto sul punto motivo di ricorso incidentale. Di conseguenza, secondo la parte sarebbe passata in giudicato l’affermazione che la stima non può essere superiore a Lire 24.350 al metro quadro.
12. -Il motivo è infondato.
La stima è stata comunque oggetto di ricorso per cassazione da parte del Comune, e quindi ciò impedisce la formazione del giudicato sul punto; inoltre, si è chiaramente accertato in sede di legittimità che la stima non poteva farsi con i criteri usati dal primo consulente di ufficio, ma solo tenendo conto della edificabilità legale e di fatto del terreno e precisando altresì che non poteva farsi con riferimento al momento dell’occupazione. Ciò comporta che l’intera questione del valore da attribuire al terreno è ancora oggetto di contenzioso e sul punto non vi è alcun giudicato interno.
13. -Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per la illegittima compensazione delle spese.
Il motivo è assorbito per le stesse ragioni sopra esposte nell’esame dello speculare motivo proposto da parte ricorrente.
14. -In conclusione, meritano accoglimento i motivi primo, secondo, terzo e quinto del ricorso principale, con assorbimento dei motivi quarto e sesto; meritano altresì accoglimento i motivi secondo e terzo del ricorso incidentale dello IACP, con assorbimento dei motivi primo e quarto; merita accoglimento il motivo secondo del ricorso incidentale del Comune, inammissibile il primo, infondato il terzo ed assorbito il quarto. Ne consegue la Cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
Accoglie i motivi primo, secondo, terzo e quinto del ricorso principale, con assorbimento dei motivi quarto e sesto; accoglie i motivi secondo e terzo del ricorso incidentale dell’Istituto autonomo case popolari, con assorbimento dei motivi primo e quarto; accoglie il motivo secondo del ricorso incidentale del Comune, dichiara inammissibile il primo, infondato il terzo ed assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12/06/2025.