Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14673 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14673 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9267/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME , elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
COMUNE RAGIONE_SOCIALE MOTTOLA , elettivamente domiciliato in Roma
NOME COGNOME 30 C/O RAGIONE_SOCIALE, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 1102/2017 depositata il 25.10.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11.4.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 29.2.1988 gli odierni ricorrenti o i loro danti causa citarono il RAGIONE_SOCIALE di Mottola dinanzi al Tribunale di Taranto, lamentando l’abusiva occupazione di terreni di loro proprietà, utilizzati dall’Ente RAGIONE_SOCIALE per realizzare la INDIRIZZO, senza l’avvio di procedura espropriativa, e chiesero il risarcimento dei danni.
Il RAGIONE_SOCIALE di Mottola si costituì, eccependo la prescrizione, assumendo che era avvenuta la cessione gratuita dei terreni nel 1977 e deducendo la natura agricola dei suoli.
Il Tribunale di Taranto con sentenze, non definitiva e definitiva, accolse la domanda di risarcimento dei danni per l’irreversibile trasformazione di terreni privati a seguito di occupazione e realizzazione di opere pubbliche.
Con sentenza del 16.4.2012, la Corte di appello di Lecce, sez. dist. Taranto, giudicando sul gravame proposto dal RAGIONE_SOCIALE di Mottola avverso le predette sentenze di primo grado, in riforma delle decisioni di primo grado, dichiarò prescritto il diritto degli attori al risarcimento del danno, tenuto conto del lungo periodo intercorso tra l’ultimazione dei lavori, avvenuta in data 30.6.1978,
e la proposizione della domanda risarcitoria introdotta con atto notificato il 29.2.1988.
Avverso questa sentenza gli odierni ricorrenti proposero ricorso per cassazione a mezzo di cinque motivi, avversato dal RAGIONE_SOCIALE di Mottola anche con ricorso incidentale.
La Corte di Cassazione con la sentenza n.2797 del 2014 dichiarò preliminarmente inammissibile il primo mezzo del ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE, che si doleva del fatto che non fosse stata valutata la vicenda come l’acquisizione legittima di un’area privata avente titolo in un negozio di cessione.
La Corte invece accolse il primo, il secondo e il quarto motivo del ricorso principale, connessi e congiuntamente esaminati, con cui i ricorrenti avevano lamentato violazione di legge e della CEDU per la perdita della proprietà senza indennizzo in una fattispecie di occupazione usurpativa, senza dichiarazione di pubblica utilità, nonché vizio di motivazione a proposito della qualificazione della vicenda come una occupazione acquisitiva, per omessa considerazione della mancanza della dichiarazione di pubblica utilità, con conseguente imprescrittibilità del diritto al risarcimento del danno.
La Corte al proposito osservò che il Tribunale aveva qualificato la vicenda come occupazione usurpativa, in presenza di « mera apprensione sine titulo dei terreni da parte dell’ente civico », sicché la prescrizione poteva iniziare a decorrere solo « con la cessazione dell’illecita occupazione, mai verificatasi »; che solo apparentemente la Corte di appello aveva citato l’istituto dell’occupazione acquisitiva perché il concetto di « irreversibile trasformazione », riferito a immobili occupati e manipolati dall’amministrazione pubblica, evocava un evento materiale di per sé neutro e, quindi, non idoneo a qualificare giuridicamente la vicenda giuridica in un senso (occupazione usurpativa) o nell’altro (occupazione acquisitiva); che era vano il tentativo del RAGIONE_SOCIALE di
dimostrare la correttezza della decisione di accoglimento dell’eccezione di prescrizione, non solo perché la differenza pratica tra le due forme di illecito si era quasi dissolta, ma soprattutto perché, pur ipotizzando la natura acquisitiva dell’occupazione, era solo a partire dalla data di entrata in vigore della legge n.458 del 1988 che poteva farsi decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da occupazione acquisitiva insorto in epoca anteriore; che infatti la decorrenza della prescrizione doveva essere riferita, ai sensi dell’art. 2935 c.c., alla possibilità legale di esercizio del diritto, requisito che non poteva ritenersi soddisfatto in una situazione, come quella anteriore alla legge citata, caratterizzata dalla mancanza di un riconoscimento legislativo e giurisprudenziale dell’istituto dell’occupazione appropriativa; che non potevano conseguentemente porsi a carico del proprietario le conseguenze del mancato esercizio del diritto al risarcimento del danno; che perciò era erronea la decisione impugnata che, facendo decorrere la prescrizione dall’anno 1978, non aveva tenuto conto né del principio ricordato, né di quello, maggiormente aderente nella fattispecie, secondo cui, qualora la P.A. proceda all’occupazione e alla trasformazione di aree private in mancanza di dichiarazione di pubblica utilità, la carenza del potere espropriativo determina l’illegittimità ab origine dell’occupazione e l’illiceità permanente dell’opera pubblica, che impedisce la decorrenza del termine prescrizionale in relazione all’eventuale azione di risarcimento del danno da parte del proprietario del fondo occupato.
La Cassazione, ritenuti inammissibili il quinto mezzo del ricorso principale e il secondo mezzo dell’incidentale, relativi al quantum , cassò quindi con rinvio la sentenza impugnata.
Riassunto debitamente il giudizio, la Corte di appello di Lecce, quale giudice del rinvio, con la sentenza ora impugnata del 25.10.2017 ha parzialmente accolto l’appello principale, ha
liquidato gli importi ritenuti dovuti, con i relativi accessori, e ha condannato gli attori appellanti incidentali alla restituzione al RAGIONE_SOCIALE delle somme ricevute in eccedenza rispetto agli importi liquidati, con onere di rifusione dei due terzi delle spese processuali, per il resto compensate, a carico del RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di appello, previamente ritenuta l’ammissibilità della disposizione di una nuova consulenza tecnica d’ufficio, si è attenuta alle valutazioni del nuovo ausiliare, qualificando i terreni de quibus come in parte edificabili e in parte agricoli e valutandoli conseguentemente; ha attribuito rivalutazione e interessi legali dal 30.6.1978; ha inoltre escluso di doversi pronunciare sulla domanda di risarcimento del danno da illegittima occupazione, che ha ritenuto che non fosse mai stata proposta dagli attori.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso NOME COGNOME e gli altri soggetti indicati in epigrafe con atto notificato il 26.3.2018 e il corredo di cinque motivi.
Resiste con controricorso notificato il 7.5.2018 il RAGIONE_SOCIALE di Mottola, chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
7 . Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., i ricorrenti denunciano violazione dell’art.384 cod.proc.civ.
7.1. I ricorrenti lamentano che la Corte di appello non abbia tenuto conto della preclusione scaturente dalla dichiarazione di inammissibilità del secondo motivo di ricorso del RAGIONE_SOCIALE di Mottola, circostanza che, a loro dire, avrebbe impedito il riesame delle questioni inerenti la quantificazione del risarcimento e la stessa disposizione di nuova consulenza tecnica, come vanamente da loro eccepito dinanzi al giudice del rinvio.
7.2. Il motivo è manifestamente infondato.
La Cassazione ha cassato, in accoglimento di tre motivi proposti dagli attuali ricorrenti, la prima sentenza di appello che aveva dichiarato prescritto il loro credito risarcitorio e ha statuito l’inammissibilità del secondo mezzo del ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE di Mottola, con cui l’Ente RAGIONE_SOCIALE aveva riproposto i motivi di appello avverso la sentenza di primo grado (in tema di mancato rinnovo della consulenza tecnica, valutazione del deprezzamento subito dalle proprietà residue, liquidazione degli interessi ecc.) per la stessa ragione che aveva condotto all’inammissibilità del quinto motivo di ricorso principale.
E cioè perché tali motivi avevano per oggetto questioni rimaste assorbite dalla decisione (cassata) di accoglimento dell ‘ eccezione preliminare di prescrizione e che venivano perciò devolute alla rinnovata cognizione del giudice del rinvio.
7.3. Infatti nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l’accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l’esame delle ulteriori questioni oggetto di censura va rimesso al giudice di rinvio, salva l’eventuale ricorribilità per cassazione avverso la successiva sentenza che abbia affrontato le suddette questioni precedentemente ritenute superate (Sez. 1, n. 19442 del 16.6.2022; Sez. 5 , n. 28530 del 30.9.2022; Sez. 2, n. 28751 del 30.11.2017; Sez. 5, n. 23558 del 5.11.2014).
7.4. La Cassazione non ha esaminato le eccezioni di merito del RAGIONE_SOCIALE, ma le ha ritenute assorbite e perciò ha considerato inammissibile il mezzo proposto da ll’Ente RAGIONE_SOCIALE, ad esse inerente: ben poteva e doveva il giudice di rinvio esaminare tali eccezioni.
È il caso di aggiungere che, qualora la Corte di cassazione, nel cassare con rinvio – come nella specie la sentenza di merito dichiarativa della prescrizione, si limiti a vagliare tale questione, senza esprimere alcuna valutazione circa l’effettiva sussistenza dei presupposti della situazione giuridica dedotta in giudizio dalla parte, l’accertamento di questi ultimi resta pienamente devoluto al giudice del rinvio (Sez.3, n. 33735 del 16.11.2022)
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., i ricorrenti denunciano violazione degli artt.112, 294,170,394,293,294,347,166,171,190,348,350,352 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge n.533 rectius 353 -del 1990) e 394 cod.proc.civ.
8.1. I ricorrenti osservano che il RAGIONE_SOCIALE di Mottola non si era costituito tempestivamente nel giudizio di rinvio, ma lo aveva fatto solo con una comparsa conclusionale depositata telematicamente il 2.12.2015, dopo la dichiarazione di contumacia e la rimessione della causa al Collegio da parte del Consigliere istruttore.
Ciò avrebbe dovuto comportare, a loro dire, l’improcedibilità dell’appello, poiché il RAGIONE_SOCIALE di Mottola era appellante e nel giudizio di rinvio conservava tale posizione processuale.
8.2. La censura è infondata.
È pur vero che ai sensi dell’art.394 cod.proc.civ. (commi 1 e 2) in sede di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice al quale la Corte ha rinviato la causa e le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata.
È pur vero anche che il RAGIONE_SOCIALE di Mottola aveva la veste processuale di appellante: ciò non significa però che possa trovar applicazione nel giudizio di rinvio la sanzione di improcedibilità ex art.348 cod.proc.civ., dal momento che sulla procedibilità dell’appello originariamente proposto era sceso il giudicato interno e occorreva solo valutare se la riassunzione della causa dopo la
sentenza rescindente fosse avvenuta regolarmente nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt.392 e 393 cod.proc.civ., che abilitano ciascuna parte a riassumere e prescrivono la notifica alla parte personalmente entro il termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione rescindente.
8.4. Aggiungono ancora i ricorrenti che faceva difetto la riproposizione nel giudizio di rinvio delle questioni proposte dal RAGIONE_SOCIALE di Mottola con l’appello principale, in ragione della predetta costituzione tardiva.
Anche questo rilievo è infondato.
Nel procedimento di rinvio davanti al giudice di secondo grado le parti mantengono le stesse posizioni che avevano assunto nel giudizio di appello; esse pertanto non sono obbligate a riproporre le impugnazioni principali o incidentali già proposte, essendo il giudice del rinvio comunque tenuto a riesaminarle tutte, anche ove l’originario appellante resti contumace nel detto procedimento di rinvio (Sez. 6 – 3, n. 8773 del 17.3.2022; Sez. L, n. 14306 del 20.6.2007; Sez. L, n. 9808 del 9.10.1997; Sez. 1, n. 4276 del 5.7.1980).
8.5 . I ricorrenti sostengono e ribadiscono in memoria, invocando la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 90 del 8.1.2007;Sez. L, n. 24093 del 24.10.2013; Sez. 3 , n. 30184 del 22.11.2018), la non esaminabilità delle «questioni» proposte dal RAGIONE_SOCIALE di Mottola con l’appello principale.
Fermo restando il ricordato principio secondo cui dinanzi al giudice del rinvio non è necessaria la riproposizione delle impugnazioni a suo tempo dispiegate, tuttavia i ricorrenti non individuano in modo puntuale e specifico le questioni a cui intendono far riferimento e non dimostrano che non si trattava di mere difese suscettibili di esame officioso da parte del giudice investito della cognizione della domanda risarcitoria: ed infatti proprio di questo si trattava, ossia di mere difese attinenti il valore dei terreni e l’entità del
risarcimento spettante agli attori per l’illegittima acquisizione del terreno.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3 e n.5, cod.proc.civ., i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione dell’art.2043 cod.civ. e dei principi generali in tema di risarcimento del danno, nonché omesso esame di fatto decisivo discusso in giudizio con riferimento alla inutilizzabilità della seconda consulenza tecnica dell’ingCOGNOME.
9.1. I ricorrenti a sostegno delle censure articolano una serie di considerazioni critiche rivolte all’operato del secondo consulente tecnico d’ufficio, AVV_NOTAIO COGNOME, ritenendo più corretta la valutazione del primo consulente, geom. COGNOME.
In particolare, i ricorrenti lamentano l’adozione da parte dell’ingCOGNOME del metodo sintetico comparativo, che sarebbe stato invece impraticabile perché basato sulla comparazione con un unico atto (compravendita a rogito AVV_NOTAIO del 5.2.1977), rispetto al metodo analitico ricostruttivo seguito invece dal primo consulente; l’inattendibilità della comparazione con un terreno con caratteristiche disomogenee per la sussistenza di destinazioni in parte diverse; la scorrettezza del metodo di interpolazione; l’omessa considerazione della disciplina urbanistica attuativa che non rendeva necessaria la preventiva lottizzazione.
9.2. Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.
In primo luogo, il ricorrente mescola all’interno dello stesso motivo sia la doglianza di «violazione o falsa applicazione di norme di diritto», sia quella di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti». Non è infatti consentito proporre cumulativamente due mezzi di impugnazione eterogenei (violazione di legge e vizio motivazionale), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e riversando impropriamente con tale tecnica espositiva sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure ( ex plurimis ,
Sez.3, 23.6.2017 n.15651; Sez.6, 4.12.2014 n.25722; Sez. 2, 31.1.2013 n.2299; Sez.3, 29.5.2012 n.8551; Sez.1, 23.9.2011 n.19443; Sez.5, 29.2.2008 n.5471). In tal modo l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Sez. 1, n. 19443 del 23.9.2011).
9.3. In secondo luogo, i ricorrenti denunciano violazione di legge con riferimento all’art.2043 c.c. senza neppure argomentarne la configurabilità, in realtà dolendosi delle valutazioni di merito espresse dal consulente tecnico d’ufficio.
È ben noto che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27.12.2019).
9.4. In terzo luogo, il vizio motivazionale di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti viene prospettato senza neppure individuare un fatto storico preciso e oggettivo che non sia stato esaminato.
9.5. Inoltre il motivo non si confronta con le molteplici ragioni specificamente addotte dalla sentenza impugnata per aderire alla consulenza dell’AVV_NOTAIO COGNOME, specie in ragione della censurabilità dei criteri adottati dal primo ausiliare (pag.6, capoverso), per dissentire dai criteri di stima evocati dalle parti contrapposte
(sempre, pag.6, capoverso), per segnalare la difficoltà della valutazione tenuto conto del lungo tempo trascorso (40 anni), per valutare la pertinenza del termine di comparazione adottato (atto AVV_NOTAIO del 5.2.1977) e infine prestare consenso adesivo alle tecniche correttive utilizzate dal C.t.u.
Una parte della giurisprudenza di questa Corte afferma che qualora nei confronti delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori, il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Sez. 1, n. 32069 del 20.11.2023); altro orientamento afferma invece che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla l. n. 134 del 2012, consente di censurare l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nozione nel cui ambito non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio recepita dal giudice, risolvendosi la critica ad essa nell’esposizione di mere argomentazioni difensive contro un elemento istruttorio, se prive di riferimento ad un preciso fatto storico discusso fra le parti e ignorato dal giudice (Sez. 1, n. 8584 del 16.3.2022; Sez. 3, n. 16406 del 2022; Sez. 3, n. 6322 del 2.3.2023; Sez.5, n.18886 del 4.7.2023). Nella specie, in ogni caso, la Corte d’appello ha adeguatamente motivato sulle ragioni di condivisione delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio , tenuto conto anche delle critiche mosse dai consulenti di parte, e la censura si risolve in un tentativo di rieditare le valutazioni di merito.
9.6. Si è quindi a fronte a un accertamento di fatto e a una valutazione di merito non sindacabili in sede di legittimità, tantomeno sulla base dell’espressione di un mero dissenso quale quello manifestato dai ricorrenti.
Con il quarto motivo, formulato ex art.360, comma 1, n.3 , cod.proc.civ. i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 3 e 14 delle norme tecniche di attuazione del piano di fabbricazione e dell’art.5 del regolamento edilizio del RAGIONE_SOCIALE di Mottola, approvato con D.P.G.R. n.4524 del 29.9.1975, e lamentano la mancata considerazione della disciplina urbanistica vigente nelle aree per cui è causa.
10.1. Il motivo è inammissibile, innanzitutto perché non individua l’affermazione della Corte territoriale che avrebbe violato le norme citate.
10.2. In secondo luogo, i ricorrenti non spiegano perché la proclamata non necessità della preventiva lottizzazione (della quale peraltro la sentenza impugnata non fa cenno) avrebbe determinato un esito differente della valutazione, posto che il terreno è stato comunque valorizzato come edificabile nelle parti in cui lo era.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., i ricorrenti denunciano violazione degli artt.1 del Protocollo addizionale e 6 della CEDU, dell’art.2043 cod.civ., dell’art.39 della legge n.2359 del 1865 e dell’art.5 bis della legge n. 359 del 1992 in tema di risarcimento dei danni da occupazioni illegittime di immobili intervenute prima del 1992.
11.1. I ricorrenti si dolgono del fatto che non era sufficiente l’individuazione della disciplina urbanistica vigente al momento della trasformazione irreversibile avvenuta il 30.6.1978, e assumono che occorreva altresì la corretta indicazione della disciplina risarcitoria, che non poteva far riferimento a criteri sopravvenuti quali quelli della legge n.359 del 1992, che rappresentavano una inammissibile interferenza del legislatore nei processi in corso.
11.2. Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti non si lamentano della data di riferimento per la valutazione del danno (30.6.1978) ed anzi la indicano come corretta.
La sentenza impugnata non fa menzione dell’adozione del criterio censurato che i ricorrenti addebitano, peraltro in modo del tutto generico alla « relazione del C.t.u .».
Il mezzo quindi è del tutto carente nei necessari requisiti di specificità e autosufficienza.
12. Il ricorso deve essere complessivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di € 2.500,00 per compensi, € 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione civile l’11 aprile 2024
Il Presidente
NOME COGNOME