Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6909 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6909 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 01162/2023 R.G., proposto da
NOME COGNOME ; rappresentato e difeso da ll’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL, in virtù di procura in calce al ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
Fallimento RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a Responsabilità Limitata, Fallimento ‘ RAGIONE_SOCIALE a Responsabilità Limitata, Fallimento ‘ RAGIONE_SOCIALE a Responsabilità Limitata, in persona dei rispettivi Curatori; rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME (pec:
EMAIL), in virtù di procura su foglio separato allegato alla busta telematica di deposito del controricorso;
-controricorrenti-
per la cassazione della sentenza n. 444/2021 della CORTE d ‘ APPELLO di LECCE, Sez. dist. TARANTO, depositata il 22 dicembre 2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con citazione del 30 aprile 2009, i Fallimenti delle società cooperative edilizie ‘RAGIONE_SOCIALE‘, RAGIONE_SOCIALEBeta’ e ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME‘ premesso che tali società, contitolari, in ragione di un terzo ciascuna, di una comproprietà indivisa nel territorio di Talsano-Taranto, avevano iniziato, quando erano in bonis , la realizzazione di un programma edilizio diretto alla costruzione di un complesso di villette sul suolo comune; che tale programma era stato interrotto dal sopravvenuto loro fallimento, dichiarato nel 1994; che i curatori dei rispettivi fallimenti avevano accertato l’avvenuta l’occupazione abusiva di numerose villette da parte di diversi soggetti, soci e non soci delle cooperative, tra cui NOME COGNOME, persona estranea al rapporto sociale; che con raccomandata del 14 aprile 1995 era stato intimato all’occupante di rilasciare l’immobile entro 30 giorni e di concordare l’indennità per l’illecita occupazione; che a tale atto erano seguite, per diversi anni, numerose altre intimazioni (corredate da proposte e controproposte, nonché da vari atti interruttivi del corso della prescrizione), tutte sistematicamente disattese dal l’occupante, a cui l’immobile era stato infine trasferito con ‘atto di acquisto transattivo’ aut orizzato dal Tribunale fallimentare con decreto del 12 aprile 2002 e perfezionato
con atto pubblico notarile del 10 luglio 2002, con accollo da parte dell’acquirente dei costi di regolarizzazione urbanistica del cespite, incluso quello del certificato di agibilità, e con salvezza del diritto delle Curatele a ripetere la somma loro dovuta a titolo di indennizzo per il periodo di illecita occupazione -convennero in giudizio NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Taranto, chiedendone la condanna al risarcimento del danno per l’occupazione sine titulo protrattasi dal 15 maggio 1995 (termine di scadenza della diffida inoltrata con la raccomandata del 14 aprile precedente ) al 9 luglio 2022 (l’ultimo giorno prima del trasferimento transattivo della proprietà dell’immobile) ; danno determinato dalla sottrazione del bene alla possibilità di locazione in attesa della vendita fallimentare e da determinarsi mediante CTU con riferimento al valore locativo del cespite.
Costituitosi in giudizio, il convenuto invocò il rigetto della domanda, deducendo, per un verso, la mancanza di allegazione e prova delle effettive conseguenze pregiudizievoli dell’occupazione (e, dunque, il carattere di danno in re ipsa del pregiudizio in ragione del quale era stato chiesto il risarcimento) e, per altro verso, la non ottenibilità della tutela invocata, sul rilievo che la mancanza del certificato di agibilità escludesse la possibilità che l’immobile formasse oggetto di locazione.
Il Tribunale di Taranto, espletata CTU, con sentenza n.2880 del 2018, accolse la domanda e condannò NOME COGNOME a pagare alle Curatele attrici, a titolo risarcitorio per il periodo di illecita occupazione, la somma complessiva di Euro 24.144,25, oltre accessori.
La sentenza del Tribunale di Taranto è stata integralmente confermata dalla Corte d’appello di Lecce, Sez. Taranto, la quale, con
sentenza 22 dicembre 2021, n. 444, ha rigettato l’ impugnazione interposta dal convenuto soccombente, sulla base del seguente duplice rilievo:
Iin primo luogo, la doglianza circa l’erroneo riconoscimento, da parte del primo giudice, del danno in re ipsa , in assenza della dimostrazione dell’ effettivo pregiudizio subito dalle Curatele a causa dell’illegittima occupazione dell’immobile , non era fondata, dal momento che la sentenza di primo grado aveva fatto esplicito riferimento alla concreta possibilità per i Fallimenti di trarre profitto dalla locazione degli immobili abusivamente occupati in attesa della loro vendita fallimentare: era infatti presente in atti una relazione dell’11 aprile 1996 , inviata dai Curatori al Giudice Delegato, da cui risultava, da un lato , l’ intenzione di locare gli immobili verso un canone mensile di Lire 510.000 per i soci e 550.000 per i non soci, nonché, dall ‘altro lato, la richiesta, rivolta allo stesso Giudice Delegato (e da questi successivamente accolta con decreto del 12 aprile 2002) di autorizzare il trasferimento oneroso in via transattiva dei cespiti, con salvezza del diritto delle Curatele fallimentari di conseguire o ripetere dagli occupanti abusivi quanto dovuto a titolo di indennità di occupazione o di canoni di locazione; diritto che era stato riconosciuto dallo stesso NOME COGNOME -con la dichiarazione « di aderirvi e di prestare il proprio consenso » -in sede di stipulazione dell’atto pubblico di trasferimento immobiliare del 10 luglio 2002.
IIin secondo luogo, la mancanza del certificato di agibilità non escludeva (e di fatto non aveva escluso, stante il protrarsi dell’ indebita occupazione) la possibilità di godimento dell’immobile e quindi non
avrebbe inciso sulla concreta possibilità delle Curatela di ricavare profitto dalla sua locazione.
Per la cassazione della sentenza della Corte tarentina ricorre NOME COGNOME sulla base di otto motivi.
Rispondono con unico controricorso i Fallimenti delle cooperative ‘ Santa Cecilia’, ‘Beta’ e ‘ G enerale Vallone’.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.
La parte controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata «Nullità del procedimento ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 112 cpc ».
Il ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame con cui era stata impugnata la statuizione della sentenza di primo grado intesa a rigettare l’eccezione di nullità della citazione per i vizi, inerenti all’ editio actionis , concernenti l’ omessa o incerta indicazione del petitum e della causa petendi , per essere stato disatteso, da parte delle Curatele attrici, l’onere di allegare le effettive conseguenze pregiudizievoli dell ‘occupazione illecita, ovverosia la perdita della concreta possibilità di impiegare il bene per una finalità produttiva, fosse essa il godimento diretto o la locazione.
1.1. Il motivo è manifestamente infondato.
In sede di citazione, pur facendosi formalmente riferimento alla categoria del danno in re ipsa , il risarcimento pe r l’illegittima occupazione era stato domandato evocando l ‘avvenuta sottrazione del bene alla possibilità di locazione in attesa della vendita fallimentare e
ne era stata richiesta la liquidazione a mezzo CTU con riferimento al valore locativo del cespite occupato.
L’ eccezione di nullità della citazione per omessa o incerta indicazione degli elementi dell’ editio actionis (arg. ex artt. 163, nn.3 e 4, e 164, quinto comma, cod. proc. civ.), asseritamente derivante dalla mancata osservanza dell’onere di allegazione delle effettive conseguenze pregiudizievoli dell’ occupazione abusiva, era stata espressamente rigettata dal primo giudice e tale statuizione è stata implicitamente, ma perspicuamente -nonché correttamente -confermata dalla Corte d’ appello, la quale ha osservato come fosse presente in atti una relazione dell’11 aprile 1996 , inviata dai Curatori al Giudice Delegato, da cui risultava, oltre alla richiesta allo stesso giudice di autorizzare il trasferimento oneroso in via transattiva degli immobili (con salvezza del diritto delle Curatele fallimentari di conseguire o ripetere dagli occupanti abusivi quanto dovuto a titolo di indennità di occupazione o di canoni di locazione), anche -e prima ancora -l’ intenzione di locare gli immobili in attesa della vendita verso un canone mensile di Lire 510.000 per i soci e 550.000 per i non soci.
La rituale produzione di questo documento, oltre a svolgere funzione di prova dei fatti posti a fondamento della pretesa azionata, concorreva anche a precisarne l’ allegazione , poiché integrava le deduzioni relative alla perdita subìta e al mancato guadagno collegabili, in via immediata e diretta (art. 1223 cod. civ.), all’ illegittima occupazione.
Al riguardo, giova ricordare che in tema di occupazione sine titulo i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del proprietario-attore -che egli ha l’onere di allegare e, se del caso (ove contestati dall’ occupante-
convenuto), di provare -sono, con riguardo al danno emergente , la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo (restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale) e, con riguardo al lucro cessante , lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall ‘ impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato (Cass., Sez. Un., 15/11/2022, n. 33645).
Il primo motivo di ricorso va dunque rigettato.
Con il secondo motivo è denunciata «Violazione ex art 360 n 3 dell’art 1362 e dell’art 1363 c.c. e dell’art 12 delle preleggi omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art 360 n. 5 cpc» .
Con questo motivo vengono articolate due censure, l’una in via principale, l’altra in via subordinata.
Con la prima, il ricorrente, dopo aver ribadito la sussistenza, nella sentenza impugnata, del vizio di omessa pronuncia sul motivo d ‘ appello diretto a censurare la statuizione di rigetto dell’ eccezione di nullità della citazione, sostiene che, nell’ipotesi in cui si dovesse ritenere che la mancata indicazione di tale motivo « rifletta un mero vizio di interpretazione dell’atto », resterebbe comunque « aperta la possibilità del sindacato attraverso la deduzione della violazione delle norme di ermeneutica degli atti » negoziali o normativi (secondo che siano ritenuti applicabili agli atti processuali di parte gli artt. 1362 ss. cod.
civ. o l’art. 12 preleggi) , atteso che, nella fattispecie, il significato letterale del motivo d ‘ appello indebitamente trascurato renderebbe evidente la non correttezza dell’eventuale operazione esegetica della Corte territoriale intesa ad escludere l’ impugnativa della sentenza di primo grado anche sotto il profilo della nullità della citazione.
Con la censura articolata in via subordinata, il ricorrente deduce l’omesso esame di fatto discusso e decisivo, intendendo per tale il motivo d’ appello sulla nullità della citazione, asseritamente non preso in considerazione.
2.1. Il secondo motivo resta assorbito per effetto del rigetto del primo, essendosi rilevato che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha perspicuamente -ancorché implicitamente -pronunciato sul motivo d ‘ appello diretto a censurare la statuizione di rigetto della nullità della citazione, correttamente confermando tale statuizione, sul rilievo della debita osservanza dell’onere di allegazione da parte delle Curatele attrici.
Esso motivo, in ogni caso, sarebbe stato inammissibile, avuto riguardo -a prescindere dall’impossibilità di attribuire a d un motivo di gravame la natura di fatto storico, principale o secondario -all’ operatività della preclusione di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. (disposizione che ha trovato continuità normativa nel nuovo art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., introdotto dal d.lgs. n.149 del 2022) in materia di doppia conforme.
Con il terzo motivo è denunciata «Violazione di legge ex art 360 n 3 in relazione agli artt 2043, 1223, 1226 c.c.».
Con il quarto motivo è denunciata «Violazione di legge ex art 360 n 3 dell’art 2729 c.c. ».
Con il quinto motivo è denunciata «nullità del procedimento ex art 360 n 4 in relazione all’art 115 cpc ».
Con questi motivi -che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione -il ricorrente contesta a vario titolo l’inferenza probatoria della relazione dei curatori fallimentari dell’11 aprile 1996 , con la quale era stata manifestata l’ intenzione di concludere la locazione degli immobili abusivamente occupati, sino alla loro vendita fallimentare, verso un canone mensile di lire 510.00 per i soci e di lire 550.000 per i non soci.
Con il quinto motivo il ricorrente si spinge ad ipotizzare persino il c.d. ‘travisamento’ della prova documentale, « per l’ipotesi in cui si volesse ritenere che la Corte abbia dato del documento una lettura assolutamente difforme rispetto a quella che emerge dal segno grafico e che da detta lettura possa emergere la prova del danno conseguenza ».
5.1. I motivi in esame sono manifestamente inammissibili.
A l di là dell’assoluta impossibilità di configurare, nella fattispecie, il c.d. ‘travisamento’ del contenuto oggettivo della prova (nei rigorosi termini in cui esso è stato ammesso da questa Corte nel suo massimo consesso: Cass, Sez. Un., 5/03/2024, n. 5792), non essendo ravvisabile -e non essendo neppure stata dedotta -l’eventuale svista del giudice in ordine al fatto probatorio, deve rilevarsi che le censure veicolate con il terzo, il quarto e il quinto motivo attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello espresso dalla Corte d ‘ appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto la valutazione – ad esso funzionale –
delle risultanze istruttorie e della loro inferenza probatoria è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove in base al libero apprezzamento, ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
La Corte territoriale, con valutazione incensurabile in questa sede, ha reputato che la relazione inviata dai curatori fallimentari al Giudice Delegato circa l’ intenzione di locare i cespiti occupati verso un canone già individuato nel suo ammontare tanto per i conduttori soci quanto per i non soci, dimostrava la concreta possibilità, impedita dall’occupazione illegittima, di esercizio, da parte dei proprietari, del diritto di godimento indiretto degli immobili, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, e dunque dava prova delle conseguenze dannose risarcibili dell’occupazione, quanto meno sub specie di danno emergente.
Avuto riguardo alle motivate e incensurabili valutazioni della Corte d ‘ appello, i motivi di ricorso in esame si palesano inammissibili, in quanto tendono a provocare dalla Corte di cassazione una lettura delle risultanze istruttorie e un apprezzamento delle circostanze di fatto diversi da quelli motivatamente forniti dal giudice di merito, i quali sono insindacabili in questa sede di legittimità.
Con il sesto motivo è denunciata «Violazione di legge ex art 360 n 3 in relazione all’art.1362 c.c., 1363 c.c., 1364 c.c., 1366 c.c. , 1369 c.c.».
Con il settimo motivo è denunciata «Violazione di legge ex art 360 n. 3 in relazione all’art 1988 c.c. ».
Con questi motivi -che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione -il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere reputato che le dichiarazioni da lui rese in sede di acquisto dell’immobile e recepite nell’atto notarile di trasferimento transattivo del 10 luglio 2002, integrassero un riconoscimento del debito avente ad oggetto l’indennità di illegittima occupazione.
7.1. Anche questi motivi sono manifestamente inammissibili, per una duplice ragione.
L’ inammissibilità discende, in primo luogo, dalla circostanza che con essi viene indebitamente censurata l’ interpretazione di dichiarazioni negoziali, la quale, traducendosi in un ‘ operazione di ricerca ed individuazione della volontà del dichiarante, costituisce un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per violazione delle regole ermeneutiche (ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.), oppure per inadeguatezza di motivazione (ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nella formulazione antecedente alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, ove applicabile), oppure, ancora, nel vigore del novellato testo di detta norma, per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Cass. 14/07/2016, n. 14355; v. anche, tra le altre, Cass. 22/06/2005, n. 13399).
L’ inammissibilità discende inoltre -e soprattutto -dalla circostanza che i motivi in esame non si confrontano con la ratio della statuizione censurata, la quale non ha affatto desunto dalla dichiarazione negoziale interpetrata la sussistenza del riconoscimento, da parte del ricorrente,
del proprio debito, bensì la sussistenza del riconoscimento del diritto delle Curatele di conseguire o recuperare dagli occupanti quanto da loro dovuto a titolo di indennità di occupazione o di canoni di locazione.
Con l’ottavo motivo è denunciata « Violazione di legge ex art 360 n 3 in relazione all’art 1575 c.c., all’art 1578 c.c. dell’art 24 del dpr 38001 e dell’art 35 l. 47 -1985 ».
Viene censurata la statuizione con cui la Corte territoriale ha reputato che la mancanza del certificato di agibilità non escludeva (e di fatto non aveva escluso, stante il protrarsi dell’inde bita occupazione) la possibilità di godimento dell’immobile e quindi non avrebbe inciso sulla concreta possibilità delle Curatele di ricavare profitto dalla sua locazione, ove ne avessero avuto la disponibilità.
Il ricorrente deduce che «i l certificato di agibilità è l’atto amministrativo volto ad attestare la conformità dell’immobile alle caratteristiche minime per essere abitato o comunque utilizzato e la mancanza di detto certificato non può restare indifferente nella valutazione dell’in suscettibilità del bene ad essere fonte di reddito ».
Aggiunge che « i l locatore è tenuto a garantire l’utilizzabilità del bene e la mancanza delle caratteristiche minime di abitabilità, attestata dalla assenza del certificato di agibilità, è un fatto che incidendo sulla possibilità del locatore di andare esente da responsabilità verso il conduttore, non può non essere ritenuto determinante nell’escludere la possibilità che vi sia stato un danno conseguenza ».
8.1. Anche questo motivo è manifestamente inammissibile per mancato confronto con la ratio della decisione impugnata.
La Corte d’ appello non ha messo in dubbio il rilievo e l’ efficacia del certificato di agibilità quale atto amministrativo, né la sua necessità ai
fi ni dell’attestazione della sussistenza nell’immobile dei requisiti di abitabilità e dell’esclusione della resp onsabilità del locatore verso il conduttore; piuttosto, il giudice del merito -traendo argomento da un dato di esperienza, nonché dalla circostanza concreta che la mancanza di tale atto nella fattispecie non aveva impedito all’occupante di trarre per anni indebitamente dall’immobile, senza pagare alcun corrispettivo al proprietario, la stessa utilità che quest’ ultimo avrebbe potuto attribuire a terzi verso corrispettivo -ha tratto la conclusione che essa mancanza non costituiva ostacolo alla concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento sul bene, in via diretta o indiretta.
In definitiva, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
La decisione di rigetto dell’impugnazione comporta che deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200,00, alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione