Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 252 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 252 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26325/2020 R.G., proposto da
Comune di Catania , in persona del Sindaco in carica; rappresentato e difeso da ll’Avv. NOME COGNOME )COGNOME in virtù di procura su foglio separato allegato al ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
Ministero della Giustizia , in persona del Ministro pro tempore ; rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato ( ), preso i cui Uffici, in Roma, INDIRIZZO è domiciliato ex lege ;
-controricorrente e ricorrente incidentale- per la cassazione della sentenza n. 442/2020 della CORTE d ‘ APPELLO di CATANIA, pubblicata il 20 febbraio 2020;
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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2010, il Comune di Catania -premesso che con delibera del 1° giugno 1999 la Giunta municipale aveva deliberato di concedere in uso gratuito alla Scuola di Formazione Informatica del Ministero della Giustizia l’appartamento di proprietà comunale sito in Catania, INDIRIZZO al 4° piano; che, peraltro, l’atto di concessione non era stato emesso, sicché, dopo avere richiesto invano al Ministero la restituzione dell’appartamento o la stipula di un contratto di locazione, la stessa Giunta municipale, con delibera del 30 marzo 2006, aveva revocato la precedente delibera del 1999; e che, tuttavia, il successivo invitodiffida al rilascio dell’immobile, notificato al Ministero della Giustizia in data 6 settembre 2007 unitamente alla nuova delibera, non era stato ottemperato -convenne la detta Amministrazione dello Stato dinanzi al Tribunale di Catania, chiedendo che fosse condannata al rilascio, in suo favore, del bene occupato sine titulo , nonché al risarcimento del danno subìto in ragione del suo mancato godimento, oltre alle spese relative alle utenze e agli oneri condominiali.
Costituitosi il convenuto, il quale evidenziò che l’immobile era occupato dal CISIA (Coordinamento Interdistrettuale per i Sistemi Informativi Automatizzati), espletata una CTU volta ad accertare il valore locativo dell’immobile, il Tribunale, con sentenza 23 gennaio 2018, n. 302, in parziale accoglimento delle domande, condannò il Ministero della Giustizia al rilascio dell’immobile e al risarcimento del danno per la sua utilizzazione sine titulo , quantificato in Euro 460.000,00 con riferimento al periodo 1° aprile 2006 -30 settembre 2012 (oggetto dell’accertamento peritale) e in Euro 5.200,00 mensili a
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far tempo dal 1° ottobre 2012 sino alla data del rilascio effettivo, oltre interessi e rivalutazione; rigettò la domanda risarcitoria con riguardo alle spese per le utenze e per gli oneri condominiali.
Il Tribunale ritenne: a) che, poiché l’immobile apparteneva al patrimonio disponibile dell’ente ed era pertanto concedibile a terzi con le forme negoziali di diritto comune, la delibera del 1999, quale atto meramente autorizzativo della Giunta comunale, non costituiva titolo per la lecita detenzione del bene, in assenza di un contratto successivamente stipulato; b) che la detenzione non poteva trovare il suo titolo nella legge n.392 del 1941, invocata dall’amministrazione statale convenuta, non rientrando i l CISIA nella nozione di ‘Uffici giudiziari’ da essa contemplata.
Avverso la decisione del Tribunale, il Ministero della Giustizia propose appello a cui resisté l’ente territoriale, proponendo altresì appello incidentale.
Con sentenza 20 febbraio 2020, n. 442 la Corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento dell’impugnazione principale, ha rigettato la sola domanda risarcitoria, confermando la decisione di primo grado in ordine alla condanna al rilascio dell’immobile.
Ila Corte territoriale ha ritenuto corretta la decisione di primo grado -e dunque infondato il gravame del Ministero diretto ad aggredirla -nella parte in cui aveva affermato che la legge n. 392 del 1941, nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dalla legge n.190 del 2014, non costituisse, ex se , titolo idoneo per detenere legittimamente l’immobile, in assenza di un contratto di locazione o comodato stipulato tra i due enti; ciò, in quanto la legge in parola, nel prevedere (art.1, primo comma, n. 2) che fossero obbligatorie per i Comuni le spese necessarie per i locali ad uso degli Uffici giudiziari,
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presupponeva l’esistenza di un titolo di detenzione da cui derivava l’uso e si occupava unicamente di individuare l’ente onerato della spesa discendente dal rapporto negoziale instaurato ai fini della collocazione e gestione degli uffici; pertanto, in assenza di questo titolo esterno alla legge e da essa presupposto, la detenzione dell’immobile doveva reputarsi sine titulo , con conseguente obbligo del Ministero di rilasciare lo stesso in favore del Comune;
IIla Corte d’appello ha invece ritenuto fondata l’impugnazione del Ministero diretta a censurare la condanna al risarcimento del danno corrispondente al valore locativo dell’immobile ; infatti, premesso che il CISIA, quale struttura necessaria e strumentale all’ esercizio dell’attività giudiziari a, doveva reputarsi rientrante nella nozione di ‘Uffici giudiziari’, contemplata dalla legge n. 392 del 1941, era evidente che, anche se per la sua allocazione il Ministero avesse preso un locale in locazione da terzi o lo avesse ricevuto a tale titolo dallo stesso C omune, quest’ ultimo si sarebbe comunque dovuto fare carico dell’onere finanziario relativo alle pigioni e alle spese accessorie; né tale situazione si sarebbe modificata a seguito dell’entrata in vigore della legge n.190 del 2014, la quale, pur prevedendo, a decorrere dal 1° settembre 2015, il trasferimento delle predette spese dai Comuni al Ministero della Giustizia, aveva comunque stabilito che non fossero dovuti ai Comuni canoni in caso di locazione o comunque utilizzo di immobili di proprietà comunale, destinati a sedi di uffici giudiziari; pertanto, in difetto di prova di un danno maggiore rispetto a quello corrispondente al valore locativo dell’immobile (prova che avrebbe attribuito al Comune il diritto alla differenza), la domanda risarcitoria doveva essere rigettata, con assorbimento sia dell’ulteriore motivo di appello principale del Ministero che dell’appello incidentale del Comune
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nella parte in cui si doleva dell’ insufficiente ambito temporale della condanna ai danni da occupazione sine titulo ;
IIIla Corte territoriale ha, infine, ritenuto che dovesse essere confermata -in tal senso dovendosi rigettare l ‘altra parte dell’appello incidentale del Comune -la statuizione di rigetto della domanda relativa agli oneri condominiali e alle utenze (spese che comunque sarebbero rimaste a carico del Comune sino al 31 agosto 2015, data di entrata in vigore delle disposizioni introdotte dalla legge n.190 del 2014), la quale non aveva trovato adeguato riscontro probatorio.
Avverso la sentenza della Corte catanese propone ricorso per cassazione il Comune di Catania sulla base di sei motivi.
Risponde con controricorso il Ministero della Giustizia, il quale preliminarmente eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo e propone altresì ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte.
Le parti non hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va dichiarata inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo, sollevata dal Ministero, per essere maturato il giudicato sull’implicita statuizione affermativa della giurisdizione del giudice ordinario, contenuta nella decisione di merito emessa dal giudice di primo grado, sul punto non impugnata con l’appello.
A.1. Con il primo motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione degli articoli 1, 2 e 3 della legge n. 392 del 1941.
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Il Comune ricorrente censura la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria; statuizione che ha trovato fondamento nel rilievo che, in ragione della disciplina contenuta nell’art.1, primo comma, n.2, della legge n. 392 del 1941, il Comune sarebbe stato in ogni caso obbligato a sostenere le spese necessarie per il locale ad uso del CISIA, aventi ad oggetto le pigioni e i servizi accessori, atteso che il CISIA rientrerebbe nella nozione di ‘Uffici giudiziari’ prevista dalla citata legge.
Il ricorrente precisa c he l’appartenenza del CISIA alla categoria degli ‘ Uffici giudiziari ‘ non è oggetto di controversia, ma sostiene che, conformemente all’orientamento della Corte costituzionale (viene citata la sentenza n.150 del 1986) e della stessa Corte di cassazione (viene citata la sentenza n.12930 del 1992), la disciplina contenuta nei primi tre articoli della legge n.392 del 1941 dovrebbe essere interpretata in senso restrittivo, riconoscendone il carattere contingente, quale disciplina destinata ad operare esclusivamente in sede di prima applicazione della legge ed avente ad oggetto le sedi degli Uffici giudiziari da essa preveduti, ovverosia le Corti e le Sezioni di Corti di appello e le relative Procure Generali, le Corti di assise, i Tribunali e le relative Procure, nonché le Preture e le sedi distaccate di Pretura.
Il ricorrente, inoltre, evidenzia che la disciplina in questione non stabiliva che il godimento degli immobili comunali fosse a titolo gratuito ma, invece, obbligava lo Stato a corrispondere ai Comuni un contributo annuale a titolo di rimborso, l’importo del quale era stabilito con decreto ministeriale previa richiesta dei Comuni, sulla base dei consuntivi delle spese effettuate, e poteva essere modificato in ragione
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dell ‘entità delle spese effettivamente sostenute nell’ anno e delle specifiche esigenze.
Conclude che, pertanto, la Corte territoriale, violando la predetta disciplina, avrebbe omesso di considerare: che essa si riferiva all’organizzazione degli uffici giudiziari esistente al momento della sua entrata in vigore; che ogni richiesta successiva sarebbe dovuta pervenire dal Ministero, stabilendosi al contempo il rimborso dovuto; che, al riguardo, si sarebbe dovuto formare uno specifico accordo tra gli enti con atto avente forma scritta e pubblica; che, invece, non era mai stata avanzata la richiesta di un locale per allocarvi il CISIA; che, pertanto , in relazione all’immobile indebitamente detenuto , non era stato disposto alcun adeguamento del contributo dovuto dallo Stato a titolo di rimborso delle spese poste carico del Comune.
A.1.1. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto muove dall’incondivisibi le presupposto che la disciplina contenuta nella legge n. 392 del 1941 si riferisse unicamente alle sedi degli Uffici giudiziari espressamente menzionati all’art. 1, primo comma, n.1.
Al riguardo deve osservarsi che la legge 24 aprile 1941, n. 392, r ecante il titolo ‘ Trasferimento ai Comuni del servizio dei locali e dei mobili degli Uffici giudiziari ‘ , prevedeva a carico dei Comuni tre distinti oneri finanziari: il primo concerneva ‘ le spese necessarie per il primo stabilimento delle Corti e Sezioni di Corti di appello e relative Procure generali, delle Corti di assise, dei Tribunali e relative Regie procure, e delle Preture e sedi distaccate di Pretura ‘ (art.1, primo comma, n.1); il secondo concerneva le spese necessarie per i locali ad uso degli Uffici giudiziari, e per le pigioni, riparazioni, manutenzione, illuminazione, riscaldamento e custodia dei locali medesimi; per le provviste di acqua, il servizio telefonico, la fornitura e le riparazioni dei mobili e degli
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impianti per i detti Uffici; nonché, per le sedi distaccate di Pretura, anche le spese per i registri e gli oggetti di cancelleria (art.1, primo comma, n.2); il terzo concerneva, con talune esclusioni, le spese per la pulizia dei locali innanzi indicati.
Il riferimento alle sedi degli specifici uffici giudiziari previsti dall’art.1, primo comma, n. 1, era limitato unicamente all’onere concernente le spese necessarie per il primo stabilimento, mentre l’obbligazione relativa alle spese ordinarie -ed in particolare le spese concernenti le pigioni e i servizi e le attività accessorie -gravava sul Comune con riferimento a tutti i locali posti ad uso di qualsivoglia Ufficio giudiziario avente sede nel suo territorio (art.1, primo comma, n.2; art.2).
Il carattere generale di questa previsione trova conferma nel disposto dell’art. 1, comma 526 , della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), che, novellando il secondo comma dell’art.1 della leg ge n. 392 del 1941, ha disposto che, a decorrere dal 1° settembre 2015, le spese obbligatorie di cui al primo comma sono trasferite dai Comuni al Ministero della giustizia: è infatti evidente che il trasferimento non potrebbe essere stato limitato alle spese relative a taluni uffici giudiziari, escludendone altri.
Pertanto, non essendo controverso che nella generale nozione di ‘ Uffici giudiziari ‘ rientri anche il CISIA, non è censurabile il rilievo posto a fondamento della statuizione impugnata, secondo cui il danno derivante dalla illecita detenzione dell’immobile comunale da parte del Ministero, corrispondeva ad una perdita o ad un mancato guadagno che il Comune avrebbe comunque dovuto sopportare anche nell’ipotes i in cui avesse avuto l’immobile in locazione da terzi o dall o stesso ente territoriale.
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Inammissibile è, poi, la specifica deduzione volta a rilevare che, nella vicenda in esame, non vi era stata mai alcuna richiesta di locali per l’allocazione del CISIA e che, pertanto, non era stato stipulato alcun atto/contratto tra i due enti: la Corte territoriale, infatti, non ha messo in discussione l’illiceità della detenzione ma ha escluso che da essa fosse derivato un danno risarcibile, in ragione dell’obbligazione posta in capo al Comune in base all’art.1, primo comma, n.1 della legge n. 392 del 1941.
Il primo motivo del ricorso principale, pertanto, deve essere rigettato.
A.2. con il secondo motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione dell’art. 2043 cod. civ. .
Il Comune di Catania premette, in linea generale, che la detenzione di un immobile, senza il necessario titolo, realizzerebbe un fatto illecito ai sensi dell’art.2043 c od. civ., da cui deriverebbe in capo al detentore l’obbligo di risarcire il danno cagionato al proprietario del bene: danno che dovrebbe ritenersi sussistente in re ipsa e che andrebbe escluso solo nell’ipotesi in cui il proprietario si sia disinteressato dell’immobile.
Ciò premesso, il ricorrente censura la specifica statuizione con cui la Corte territoriale ha affermato l’ insussistenza del danno risarcibile, sul rilievo che « ove pure l’ Amministrazione avesse o preso in locazione un locale da terzi ovvero lo avesse ricevuto a tale titolo dallo stesso Comune, sarebbe stato pur sempre quest’ultimo che avrebbe dovuto farsi carico dell’onere finanziario dell e pigioni in base all’art.1 r.d. n. 392/41 », sicché , ai fini dell’ accoglimento della domanda risarcitoria, « l’ente appellato avrebbe dovuto dimostrare di aver subìto un danno diverso o maggiore di tale dovuto esborso, con suo conseguenziale diritto alla differenza ».
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Osserva, al riguardo, il Comune ricorrente, per un verso, che la stessa Corte d’appello ha evidenziato la mancanza, nella fattispecie, di un valido atto di concessione da cui potesse farsi discendere il diritto del Ministero ad occupare un altro immobile per allocarvi il CISIA; sottolinea, per altro verso, che esso ente aveva dedotto di aver subìto non solo il danno derivato dal mancato introito dei canoni di locazione, ma anche quello derivato dal pagamento dei canoni per collocare la propria avvocatura in affitto presso un diverso immobile, nonché quello derivato dalla perdita della opportunità di vender e l’appartamento.
A.2.1. Anche questo motivo è manifestamente infondato.
In primo luogo, non è condivisibile la premessa generale, secondo cui il danno da illecita detenzione di un immobile sarebbe in re ipsa , con la sola esclusione dell’ipotesi in cui il proprietario si sia intenzionalmente interessato del bene.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti chiarito che, in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno emergente è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo (restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale); e che il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del lucro cessante è lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall’impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato.
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Entrambe le voci di danno, inoltre, devono formare oggetto di allegazione, dovendosi dedurre, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, l’attore è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza (Cass., Sez. Un., 15/11/2022, n. 33645).
Ciò posto, come già si è evidenziato in sede di esame del motivo precedente, non assume rilevanza la circostanza che, nel caso di specie, non fosse stato stipulato alcun atto di concessione, atteso che non è in discussione l’ illiceità della detenzione ma la sussistenza di una conseguenza dannosa risarcibile, in assenza della quale la fattispecie dell’art. 2043 cod. civ. non è configurabile mancando l’integrazione di un elemento costitutivo essenziale di essa (Cass., Sez. Un., 15/11/2022, n. 33645, cit. , part. Punto 4.6. delle Ragioni della decisione ).
La condanna del Ministero al rilascio dell’immobile, invocata ed ottenuta dal Comune nei gradi di merito, presupponeva l’avvenuta violazione dell’ordine formale, per la quale il rimedio esperito è stato quello reale della reintegrazione, ma non anche la sussistenza di un fatto illecito aquiliano, sanzionabile con la tutela risarcitoria, il quale si integra soltanto in presenza di una conseguenza dannosa risarcibile, nella specie esclusa.
Né dal rilievo circa la manca ta stipulazione dell’atto di concessione potrebbe inferirsi che il Ministero non avrebbe potuto ottenere un titolo di detenzione, mediante locazione stipulata con un soggetto terzo o
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con la stessa amministrazione comunale, essendo incontroverso -e rientrando, comunque, tra le deduzioni contenute nella premessa del ricorso -che la stessa amministrazione comunale, dopo avere mutato l’iniziale p roposito di concedere l’uso gratuito dell’immobile, aveva invitato il Ministero alla stipula di un contratto di locazione.
Non è, dunque, censurabile il giudizio della Corte di merito circa la non configurabilità, nel caso di specie, di una conseguenza dannosa risarcibile in capo al Comune di Catania, sul rilievo che una volta esclusa -con apprezzamento di merito insindacabile -la prova di un danno maggiore di quello corrispondente alla perdita dei canoni locativi, questa perdita sarebbe stata comunque corrispondente all’esborso che il Comune avrebbe dovuto sostenere ai sensi dell’art.1, primo comma, n.2 della legge n. 392/1941.
La correttezza di tale giudizio non è infranta dalla deduzione con cui il ricorrente asserisce di avere subìto non solo il danno derivato dal mancato introito dei canoni di locazione, ma anche quello derivato dal pagamento dei canoni per collocare la propria avvocatura in affitto presso un diverso locale, nonché quello derivato dalla perdita della opportunità di vender e l’appartamento.
Vengono, infatti, in considerazione voci di danno ipotetiche e necessariamente alternative, in quanto si tratta pur sempre della perdita subìta per il mancato godimento, diretto o indiretto, dell’immobile, l’entità del quale, secondo l’ incensurabile giudizio di merito della Corte territoriale, nella fattispecie, avrebbe trovato piena corrispondenza, in difetto di prova contraria, con la perdita alternativa che, in ipotesi di detezione lecita dello stesso o di altro immobile da parte del Ministero, il Comune avrebbe subìto in ragione dell’ obbligo ex
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lege di farsi carico delle spese relative alle pigioni dei locali ad uso degli Uffici giudiziari.
Anche il secondo motivo deve, quindi, essere rigettato.
A.3. Con il terzo motivo del ricorso principale si impugna la sentenza di merito per ‘ eccesso di potere’ e ‘manifesta incompetenza ‘ e viene denunciata la violazione di una serie di norme costituzionali (precisamente, degli artt. 110, 114, 117, 119 Cost.), sul presupposto che la Corte d’appello, avendo « affermato l’obbligo di sostenere i costi di un immobile non richiesto, con oneri esclusivamente a carico del comune », avrebbe esorbitato dalla propria sfera di attribuzioni, invadendo quelle riservate dalla Costituzione al Ministro della Giustizia.
A.4. Il terzo motivo presenta elementi di connessione col (e va quindi esaminato congiuntamente al) quarto motivo, con cui il ricorrente denuncia nuovamente la violazione dell’art.119 Cost., unitamente a quella de ll’art.81 Cost. e dell’art. 191 del d.lgs. n. 267/2000 (Testo Unico degli enti locali), sul presupposto che la Corte territoriale avrebbe violato l’ autonomia finanziaria del Comune e il principio dell ‘ equilibrio tra entrate e spese (costituzionalizzato attraverso la modifica degli artt. 81, 97 e 119 Cost., operata con legge costituzionale n.1 del 2012), nonché la regola secondo la quale gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l’ impegno contabile e l’att estazione della copertura finanziaria di cui all’art. 153, comma 5, dello stesso decreto legislativo.
A.4.1. Il terzo e il quarto motivo sono manifestamente inammissibili per difetto di specificità -ed anzi per assoluta eccentricità -rispetto al tenore della decisione impugnata, alla quale vengono rivolte censure per vizi che possono concernere provvedimenti amministrativi (incompetenza, eccesso di potere) o legislativi
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(violazione delle regole costituzionali in materia di pareggio di bilancio e di autonomia finanziaria), non anche provvedimenti giurisdizionali.
La natura della pronuncia impugnata (rigetto di domanda risarcitoria) esclude, poi, in radice la possibilità che con essa il giudice possa avere invaso la sfera di attribuzioni del potere amministrativo (invasione teoricamente possibile, invece, nel caso di pronunce di accoglimento, specie se di carattere costitutivo) e che possa essersi determinato un vulnus alle regole di contabilità pubblica; vulnus che, ovviamente, non può farsi derivare dal mero accertamento di una obbligazione, per di più di fonte legale, in capo ad una pubblica amministrazione.
A.5. Con il quinto motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione dell’art.115 cod . proc. civ., ai sensi dell’art.360 n. 3 cod. proc. civ., nonché contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ..
Il ricorrente, ribadendo le censure formulate all’indirizzo della sentenza di primo grado con la parte di appello incidentale dichiarata assorbita dalla Corte territoriale, sostiene di avere diritto al risarcimento del danno per l’intero periodo di occupazione sine titulo dell’immobile comunale .
A.5.1. Il motivo è assorbito dal rigetto dei precedenti motivi con cui si è rilevata la correttezza in iure della statuizione di rigetto della domanda risarcitoria.
A.6. Con il sesto motivo del ricorso incidentale viene denunciata la violazione dell’art.115 cod . proc. civ., ai sensi dell’art.360 n. 3 cod. proc. civ..
Il ricorrente deduce la violazione del principio di non contestazione in relazione alla statuizione di rigetto dell’appello incidentale , nella
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parte concernente le spese sostenute per gli oneri condominiali e le utenze.
A.6.1. Il motivo è manifestamente infondato, avuto riguardo alla trascrizione della comparsa di risposta di primo grado contenuta nel controricorso (p.33), da cui risulta che l’amministrazione statale convenuta non solo aveva contestato, in iure , la sussistenza del diritto dell’attore al rimborso degli oneri condominiali e delle spese per le utenze , quali costi gravanti sull’ente territoriale, ma aveva contestato anche, de facto , l’ effettiva sussistenza degli esborsi asseritamente effettuati dal Comune, sul presupposto della loro mancata documentazione.
Corretta, anche sotto tale profilo, appare dunque la decisione del giudice di appello, il quale, esclusa l’operatività del principio di non contestazione, ha ritenuto, con apprezzamento di merito insindacabile, che la voce di pregiudizio in esame non fosse stata adeguatamente provata, non senza aggiungere che essa, ove dimostrata, sarebbe stata risarcibile solo a far tempo dal 1° settembre 2015, data di entrata in vigore della legge n. 190 del 2014.
In definitiva, il ricorso principale proposto dal Comune di Catania va rigettato.
B.1. Con l’unico, articolato motivo di ricorso incidentale, il Ministero della Giustizia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2 ( recte : 1, primo comma, n.2), e 2 della legge n. 392 del 1941 e successive modificazioni.
Viene censurata la statuizione con cui il giudice d ‘ appello ha confermato la condanna al rilascio dell’immobile per occupazione sine titulo .
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Il ricorrente incidentale sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del merito, la legge n.392/1941 avrebbe costituito, ex se , valido titolo di detenzione dell’immobile, sicché non sarebbe stata configurabile alcuna occupazione illecita né sarebbe stata legittimamente pronunciata la condanna al rilascio.
La disciplina contenuta nell’art . 1, primo comma, n.2 e nell’art.2 della citata legge avrebbe costituito il fondamento della messa a disposizione dell’ immobile in favore del Ministero della Giustizia, il quale non avrebbe potuto instaurare un rapporto di natura privatistica (locazione o comodato) con il Comune.
In tale prospettiva , l’originaria delibera d ella Giunta municipale del 1999 -a prescindere dalla sua natura di atto concessorio, di mera dichiarazione di intenti o programmatico -sarebbe stata emessa proprio tenendo presente la citata disciplina legislativa e la sua revoca non avrebbe inciso sulla persistente liceità della detenzione, che trovava il suo titolo direttamente nella legge.
B.1.1. Il motivo è manifestamente infondato.
La disciplina legislativa invocata non attribuiva al Ministero il diritto di detenere immobili di proprietà comunale ma obbligava i Comuni a sostenere le spese necessarie per i locali ad uso degli uffici giudiziari, comprese le pigioni.
Si trattava di spese poste a carico esclusivo dei Comuni nei quali avevano sede gli Uffici giudiziari, a prescindere dalla circostanza se gli immobili fossero o meno di proprietà degli stessi.
Il Comune sede dell’ufficio giudiziario, in altre parole, era obbligato a sostenere le spese dei relativi locali sia se l’immobile fosse di sua proprietà sia se fosse di proprietà di terzi ed esso o il Ministero ne
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avessero acquisito la detenzione attraverso contratti di diritto privato, quali la locazione o il comodato.
La legge n. 392 del 1941, dunque, costituiva titolo dell’obbligazione, appunto ex lege , avente ad oggetto il pagamento del le spese per l’uso dei locali (ivi comprese le pigioni) , ma non costituiva titolo di legittimazione a tale uso, il quale doveva necessariamente trovare il suo fondamento in un diverso rapporto.
La sussistenza di tale diverso rapporto, del resto, era espressamente presupposta dalla stessa legge, la quale, nel fare riferime nto all’obbligo del Comune di pagare le pigioni, sottendeva la sussistenza di un contratto di locazione o di altra forma di rapporto oneroso.
Il titolo di legittimazione alla detenzione da parte del Ministero non poteva invece trovare fondamento nella legge perché essa costituiva la fonte di un rapporto obbligatorio il cui soggetto passivo era il Comune ma il cui soggetto attivo non era il Ministero, bensì il titolare del diritto sul bene immobile detenuto.
D’a ltra parte, il Ministero poteva essere soggetto del diverso rapporto (di natura privatistica: locazione, comodato; oppure di carattere pubblicistico: concessione) da cui traeva la legittimazione alla detenzione; ma l’altr o soggetto di tale rapporto poteva non essere il Comune, potendo trattarsi di un soggetto terzo, il quale partecipava sia del rapporto con il Ministero, avente ad oggetto la concessione in uso o la detenzione dell’immobile, sia del (diverso) rapporto obbligatorio con il Comune che trovava la sua fonte nella legge n. 392 del 1941, avente ad oggetto il pagamento delle spese necessarie per l’ uso dei locali, comprese le pigioni.
C.C. 22.11.2023
N. R.G. 26325/2020
Pres. COGNOME
NOME COGNOME
La distinzione tra il rapporto obbligatorio, avente ad oggetto il pagamento delle spese necessarie per i locali, e il rapporto negoziale o pubblicistico, avente ad oggetto l’attribuzione dell’uso o della detenzione del bene, trova conferma nel disposto dell’art. 1, comma 526, della legge n. 190 del 2014: questa disposizione, infatti, nel sostituire il secondo comma della legge n.392 del 1941, ha tenuto distinte le spese obbligatorie di cui al primo comma (prevendendone il trasferimento dai comuni al Ministero a decorrere dal 1° settembre 2015 e stabilendo il subentro del Ministero nei rapporti in corso di cui era parte il Comune per le spese medesime) dai rapporti di locazione o comunque di utilizzo di immobili di proprietà comunale, destinati a sedi di uffici giudiziari, in relazione ai quali è stata stabilita la non debenza di canoni.
Deve, pertanto, essere rigettato anche il ricorso incidentale, in quanto, nella fattispecie, correttamente il giudice del merito ha ritenuto insussitente il titolo della legittima detenzione del Ministero.
La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del giudizio di legittimità.
Avuto riguardo al tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del Comune, ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
Con riguardo al Ministero, ricorrente incidentale, invece, tale attestazione deve essere evitata, atteso che le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono
C.C. 22.11.2023 N. R.G. 26325/2020 Pres. Scoditti Est. Spaziani
esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass., Sez. Un., 20/02/2020, n.4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione