Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27589 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27589 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30547/2021 R.G., proposto da
NOME COGNOME ; rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale rilasciata il 2 settembre 2021; con domiciliazione digitale ex lege ;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME ; rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale allegata al controricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza n. 1111/2021 della CORTE d’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 3 giugno 2021; udìta la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 ottobre 2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
il 2 maggio 2005 NOME COGNOME propose ricorso per la separazione personale dal coniuge NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Firenze;
con ordinanza del 10 ottobre 2005, il Presidente del Tribunale, nel l’impartire i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse dei coniugi, stabilì a carico del marito un contributo per il mantenimento della moglie « di Euro 1.300 mensili (sul presupposto che quest’ultima abbia rilasciato al marito l’immobile di INDIRIZZO in Firenze ») -immobile di proprietà esclusiva del sig. COGNOME «ovvero di Euro 300,00 mensili ( sul presupposto che quest’ultima non abbia rilasciato al marito l’immobile di INDIRIZZO in Firenze »); 22 settembre 2006, nelle more del giudizio di convenne NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Firenze, domandando che fosse condannata al rilascio dall’ordinanza con atto notificato il separazione, NOME COGNOME dell’immobile, sul presupposto che, a far data presidenziale del 10 ottobre 2005, ella lo detenesse senza titolo;
la causa di separazione si concluse con sentenza n. 2777/2010, pubblicata il 16 settembre 2010, con cui il Tribunale di Firenze rigettò la richiesta di assegnazione della casa coniugale avanzata dalla sig.ra COGNOME e rideterminò il contributo mensile di mantenimento a carico del marito « nella misura di € 1.100,00 mensili a decorrere dal rilascio della casa coniugale e di € 450,00 mensili fino a quel momento »;
tali statuizioni furono confermate nell’ordinanza presidenziale relativa alla successiva causa di divorzio;
la causa di rilascio per occupazione sine titulo si concluse invece con sentenza n. 1223/2016, pubblicata il 14 luglio 2016, passata in giudicato , con cui la Corte d’appello di Firenze, dichiarata la nullità della contraria decisione resa in primo grado dal Tribunale, rigettò la domanda di NOME COGNOME;
con citazione del 23 luglio 2014, NOME COGNOME convenne nuovamente in giudizio la moglie NOME COGNOME per l’ occupazione abusiva dell’immobile sito in INDIRIZZO, chiedendo che fosse condannata al rilascio e al risarcimento del danno;
il Tribunale di Firenze, con sentenza 31 ottobre 2017, n. 3494, per quanto ancora rileva, preso atto che la casa era stata effCOGNOMEvamente rilasciata il 19 gennaio 2015, accertò l’occupazione sine titulo con riferimento al periodo dal 16 settembre 2010 (data della pubblicazione della sentenza conclusiva del giudizio di separazione) alla data del rilascio e condannò NOME COGNOME a pagare al marito la somma di Euro 40.800,00, oltre interessi, sulla base del valore locatizio, come accertato nella CTU espletata nel giudizio di separazione;
la sentenza del Tribunale è stata integralmente confermata dalla Corte d’ appello di Firenze, la quale, con sentenza 3 giugno 2021, n. 1111, ha rigettato l’impugnazione di NOME COGNOME sulla base, per quanto ancora interessa, delle seguenti considerazioni:
Ila sentenza della Corte d’ appello n. 1223/2016, di rigetto della prima domanda di rilascio proposta da NOME COGNOME (in seguito alla quale, secondo l’appellante, era stata accertata con
efficacia di giudicato la sussistenza di un legittimo titolo di detenzione dell ‘immobile da parte sua), aveva affermato che l’ ordinanza emessa nella fase presidenziale del giudizio di separazione andava intesa nel senso che competeva alla moglie, parte economica debole, la scelta se continuare ad occupare l’abitazione coniugale (percependo un assegno di mantenimento ridotto) oppure rilasciarla (percependo l’assegno pieno);
IIin tal senso, la sentenza n.1223/2016 aveva effCOGNOMEvamente interpretato l’ ordinanza del 10 ottobre 2005 come attributiva della facoltà di restare nella casa con un assegno ridotto (in alternativa a quella di uscirne con un assegno pieno), ma, anche a voler attribuire a questa interpretazione l’efficacia di giudicato esterno, come tale rilevante anche nel successivo giudizio, essa efficacia non poteva che essere circoscritta al decisum contenuto nella sentenza medesima, « ossia nei limiti della interpretazione da dare all’ordinanza presidenziale del 10.10.2005 »;
IIIpertanto, anche a voler ritenere che, per effetto della sentenza n. 1223/2016, fosse stato accertato con efficacia di giudicato che l’ordinanza del 10 ottobre 2005 aveva attribuito un legittimo titolo di detenzione alla sig.ra COGNOME, questo titolo sarebbe rimasto efficace solo sino al 16 settembre 2010, data i n cui l’ ordinanza interinale presidenziale del 10 ottobre 2005 era stata sostituita dalla sentenza n.2777/2010, conclusiva del giudizio di separazione, la quale, provvedendo in via definitiva, aveva integralmente mutato il contenuto della prima regolazione provvisoria dei rapporti tra i coniugi, non solo espressamente rigettando la domanda di assegnazione della casa
coniugale formulata dalla moglie, ma anche sostituendo formalmente la previsione della facoltà alternativa di NOME COGNOME di continuare nella detenzione fruendo di un assegno ridotto (o cessarla fruendo di un assegno pieno) con la diversa previsione di un meccanismo volto a « tenere indenne COGNOMEI COGNOME del peso economico costituito dal protrarsi dell’ abusiva occupazione dell’immobile »;
IVtale mutato contenuto della regolamentazione dei rapporti tra i coniugi era stato p oi confermato con l’ordinanza presidenziale emessa nella successiva causa di divorzio sicché, in conclusione, a far tempo dal 16 settembre 2010 (data della pubblicazione della sentenza conclusiva della causa di separazione) e sino al 19 gennaio 2015 (data del rilascio), la sig.ra COGNOME « non aveva più alcun titolo per abitare in INDIRIZZO »;
avverso la sentenza della Corte fiorentina ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, sulla base di tre motivi; ha risposto con controricorso NOME COGNOME ; la trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale; il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni
scritte;
entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che:
con il primo motivo viene denunciata « Violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 324, 325, cod. proc. civ. (eccezione di giudicato) in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. »;
la ricorrente: osserva che la sentenza n. 1223/2016 della Corte d’ appello di Firenze, di rigetto della prima domanda di rilascio proposta
da NOME COGNOME nel 2006, aveva escluso l’occupazione senza titolo dell’immobile e aveva dichiarato legittima la detenzione dello stesso da parte sua, qualificando il rapporto giuridico come ‘comodato precario’» ; rammenta -previa trascrizione di uno stralcio della motivazione della stessa sentenza n. 1223/2016 -come quest’ultima, facendo riferimento all’ ordinanza presidenziale del 10 ottobre 2005, avesse evidenziato che tale provvedimento, dettando la regolamentazione di una materia indisponibile, le avesse riservato la scelta tra l’opzione del mantenimento dell’abitazione dell’immobile e quella del suo rilascio; sostiene che consimile contenuto della regolamentazione dei rapporti tra i coniugi non era stato affatto modificato dalla sentenza n. 2777/2010, pubblicata il 16 settembre 2010, conclusiva del giudizio di separazione, la quale aveva invece ribadito le medesime condizioni già stabilite nell’ordinanza presidenziale del 10 ottobre 2005; conclude che, pertanto, in ragione della mancata impugnazione della sentenza n. 1223/2016, si sarebbe formato il giudicato sulla sussistenza della legittima occupazione dell’immobile da parte sua, non solo in relazione al periodo successivo al 10 ottobre 2005, ma anche con riguardo al periodo successivo al 16 settembre 2010, oggetto del presente giudizio;
con il secondo motivo viene denunciata « Nullità della sentenza per violazione di legge ex art. 360 c.p.c. comma 1 nn.3 e 4 per avere la Corte territoriale fatto mal governo del principio del divieto del ne bis in idem»;
la ricorrente ribadisce che con la sentenza n. 1223/2016, passata in giudicato, la Corte d’appello di Firenze, previa declaratoria di nullità
della contraria sentenza emessa in primo grado dal Tribunale della stessa città, aveva rigettato la domanda di rilascio per occupazione sine titulo proposta nei suoi confronti dal coniuge NOME COGNOME nel 2006, dichiarando legittima la detenzione dell’immobile da parte sua e qualificandola co me ‘ comodato precario ‘ ; osserva che il successivo giudizio, introdotto con citazione del 23 luglio 2014 e culminato nella sentenza impugnata, non sarebbe che una replica del precedente poiché avrebbe ad oggetto l’ accertamento dell’ occupazione abusiva dello stesso immobile sito in INDIRIZZO a Firenze, in relazione al periodo successivo al deposito della sentenza n. 2777/2010; ciò posto, sostiene che la sentenza impugnata, nel confermare la decisione di primo grado, di accertamento della occupazione abusiva e di condanna al risarcimento del danno, « pur avendo riconosciuto che sulla sentenza n.1223/2016 era caduto il giudicato esterno », avrebbe « errato nel non ritenere l ‘effetto vincolante in relazione dell’ accertamento circa la legittimità dell’occupazione, anche nel secondo giudizio, instaurato dallo COGNOME nel 2014, nella pendenza del precedente giudizio radicato nell’anno 2006, stante il divieto del ne bis in idem»;
2.1. i primi due motivi, da esaminare congiuntamente per evidente connessione, sono infondati;
come la stessa ricorrente riconosce, la sentenza n. 1223/2016, nel qualificare il rapporto giuridico vertente tra i coniugi in ordine all’immobile in contestazione come ‘comodato precario’ finalizzato all’esigenza abitativa del coniuge separato, aveva individuato la fonte di tale rapporto (e, dunque, del titolo della legittima detenzione da
parte della sig.ra COGNOME) nell’ordinanza del 10 ottobre 2005, la quale, nel regolare provvisoriamente i rapporti tra i coniugi separandi, aveva attribuito alla moglie (coniuge economicamente debole) la facoltà di scelta in ordine all’alternativa se mantenere (appunto legittimamente) l’occupazione dell’immobile fru endo di un assegno di mantenimento ridotto, oppure rilasciarlo percependo un assegno pieno;
questa interpretazione del contenuto dell’ordinanza presidenziale del 2005, quale fonte attributiva di un titolo di legittima detenzione, da parte di uno dei coniugi, di una casa di proprietà esclusiva dell’altro , pur in difetto di formale assegnazione quale casa coniugale, è oggCOGNOMEvamente opinabile; tuttavia, la sentenza n. 1223/2016 non è stata impugnata sicché sulla detta statuizione si è formato il giudicato;
i limiti oggCOGNOMEvi di questo giudicato, però, come correttamente evidenziato dalla Corte d’ appello, non oltrepassano l ‘orizzonte dell’ accertamento contenuto nella sentenza (arg. ex art. 2909 cod. civ.), ovverosia l’accertamento della sussistenza di un comodato precario che trovava la sua fonte nell’ ordinanza presidenziale del 10 ottobre 2005 e che pertanto aveva esplicato i suoi effCOGNOME, quale titolo di legittima detenzione dell’immobile da parte di NOME COGNOME, finché era rimasta efficace la predetta ordinanza, ovverosia sino alla pubblicazione della sentenza conclusiva del giudizio di separazione, avvenuta il 16 settembre 2010;
poiché non è dubbio che il provvedimento presidenziale, quale provvedimento interinale diretto a rendere i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse dei coniugi , fosse stato sostituito dalla sentenza conclusiva del giudizio -e poiché sull’ interpretazione del contenuto di
questa sentenza, a differenza di quella avente ad oggetto l’ordinanza presidenziale, non si era formato alcun giudicato -, non è censurabile l’ accertamento della Corte d’ appello circa l’ avvenuta modifica della disciplina dei rapporti tra le parti, con esclusione dell’attribuzione ad NOME COGNOME della facoltà di continuare a detenere lecitamente l’immobile ;
la sussistenza di consimile modifica, anzi, appare evidente ove si confrontino i due provvedimenti, posto che la sentenza, a differenza dell’ordinanza presidenziale, recava il rigetto espresso della domanda di assegnazione della casa coniugale formulata da NOME COGNOME e prevedeva un diverso meccanismo ai fini della distinzione tra le ragioni dell’attribuzione dell’assegno ridotto e quelle del riconoscimento dell’assegno pieno , agganciata, non alla libera scelta di continuare o meno la detenzione del bene immobile, bensì alla protrazione o meno della permanenza illegittima in esso;
resta da aggiungere che, se, da un lato, nessun giudicato si era formato sulla interpretazione del contenuto della sentenza n. 2777/2010 (la quale, sostituendo l’ordinanza interinale del 10 ottobre 2005, aveva provveduto alla regolazione dei rapporti tra i coniugi nel periodo successivo al 16 ottobre 2010), dall’altro lato, l’ accertamento, ad opera della sentenza impugnata, del carattere illecito dell’occupazione dell’immobile da parte della ricorrente, nel periodo successivo a tale data, non ha concretato alcun bis in idem , posto che il precedente diverso accertamento operato con la sentenza n.1223/2016 aveva riguardato un distinto periodo temporale;
i primi due motivi, pertanto, vanno rigettati;
con il terzo motivo viene denunciata « Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. n.4 e nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e illogica, in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c. »;
la ricorrente sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica e incomprensibile nella parte in cui ha ritenuto che la sentenza n. 2777/2010, conclusiva del giudizio di separazione, avesse mutato il contenuto della regolazione dei rapporti tra i coniugi rispetto all’ordinanza del 10 ottobre 2005, escludendo la legittimità della continuazione dell’occupazione dell’immobile da parte sua per il periodo successivo al 16 ottobre 2010;
3.1. il motivo è manifestamente infondato;
giova ricordare che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del decreto -legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità attiene all’esistenza in sé della motivazione e alla sua coerenza, e resta circoscritto alla verifica del rispetto del «minimo costituzi onale» richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art.132 n.4 cod. proc. civ., la cui violazione deducibile in sede di legittimità quale nullità processuale ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. sussiste qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiCOGNOMEvamente incomprensibile, purché il vizio emerga
dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 3/03/2022, n. 7090);
nella vicenda in esame, è di tutta evidenza che la motivazione della sentenza d’appello , per essere fondata -come si è sopra veduto nell’illustrarne gli aspCOGNOME salienti -su un articolato apparato argomentativo (evidentemente non condiviso nel merito dalla ricorrente ma, nondimeno, esistente, coerente e perspicuo), non presenta alcuna delle gravi lacune (totale mancanza, mera apparenza, irriducibile contraddittorietà, perplessità ed obiCOGNOMEva incomprensibilità) che sole consentono il sindacato di legittimità della motivazione della sentenza di merito;
in definitiva, il ricorso va rigettato.
le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi antistata rio, in proporzione all’attività difensiva spiegata; in particolare, non può tenersi conto della memoria depositata ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc. civ., la quale non contiene alcuna ulteriore illustrazione delle ragioni del controricorso ma si limita a ribadirne le conclusioni;
sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Per Questi Motivi
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.300,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, da distrarsi in favore del difensore, dichiaratosi antistatario;
a norma dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 2 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME