Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33219 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33219 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17815/2021 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE REGGIO CALABRIA , in persona del legale rappresentante p.t. persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura su foglio separato allegato al ricorso pec EMAIL
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO su foglio separato allegato al controricorso pec EMAIL
-controricorrenti – contro
COMUNE DI COGNOME,
Occupazione senza titolo
10.10.2024
-intimato –
per la cassazione della sentenza n. 811/2020 della CORTE d’APPELLO di Reggio Calabria pubblicata il 21.12.2020;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10.10.2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di procuratore generale di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, convenne dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria la Provincia di Reggio Calabria.
Espose l’attore che con contratto del gennaio del 1981 aveva locato per la durata di sei anni al Comune di Locri l’immobile sito in Locri, INDIRIZZO adibito a sede dell’Istituto Professionale di Stato Servizi Alberghieri e Ristorazione. Inviata il 9.6.1986 disdetta per finita locazione, il contratto si era rinnovato non essendo l’amministrazione comunale in condizioni di poter restituire il bene. In data 16.12.1991, il Morgante nella riferita qualità, per aver nel frattempo donato una parte del bene a COGNOME NOME, MURATORI NOME e COGNOME NOME, inviava disdetta del contratto per il 31.12.1992. Il Tribunale di Locri con sentenza parziale del 20.1.1994 dichiarava l’intervenuta cessazione del contratto al 31.12.1992. Ciononostante il Comune di Locri non restituiva l’immobile e, subentrata nel frattempo nel contratto la Provincia di Reggio Calabria in base all’art. 8 l. 23/1996, comunicava a quest’ultima il 15.1.1997 che l’immobile era detenuto senza titolo.
Chiesta dal COGNOME la restituzione dell’immobile in data 27.6.1997, il 1° gennaio 1999 nelle competenze amministrative relative all’istituto scolastico subentrava la Provincia di Reggio Calabria, la quale con bando del 5.10.2000 formalizzava la volontà di acquisto dell’immobile, senza, tuttavia, che la procedura si completasse né fosse regolarizzata la detenzione. La Provincia di Reggio Calabria con nota del’11.2.2002 chiedeva ai proprietari la realizzazione dei lavori relativi alla prevenzione incendio, sicurezza e abbattimento per le barriere architettoniche, nonché per la realizzazione di ascensore, impianto elettrico e riscaldamento, comunicando che avrebbe corrisposto a far data dall’1.1.1999 il canone di euro 18.507,08 e, avvenuto l’adeguamento rich iesto, quello di euro 25.447,25. Fallito ogni tentativo per la stipula di un nuovo
contratto di locazione e per la realizzazione dei lavori, l’amministrazione provinciale tratteneva dall’indennità di occupazione l’importo di euro 76.543,20 per lavori all’impianto elettrico ed in data 16.5.2007 inviava una nota con allegato schema di contratto di locazione nella quale comunicava di aver speso per lavori di adeguamento e ristrutturazione dei servizi igienici l’importo di euro 106.932,41 ‘da trattenere’ sui canoni.
Il COGNOME, considerato che le spese sostenute dall’amministrazione provinciale erano i costi per la riparazione dei danni subiti dall’immobile, il quale era occupato senza titolo, chiedeva: il rilascio dell’immobile; l’accertamento del carattere abusivo dei lavori eseguiti senza l’autorizzazione dei proprietari; la condanna al pagamento delle somme di euro 76.543,20 ed euro 106.932,41, oltre rivalutazione monetaria ed interessi; la condanna al risarcimento del danno per occupazione abusiva da parametrarsi nella differenza tra il canone corrisposto e quanto potenzialmente percepibile nella misura offerta dalla stessa amministrazione; la condanna al risarcimento del danno ex art. 1337 cod. civ.
La Provincia di Reggio Calabria si costituiva e rilevava che, una volta subentrata nella gestione dell’edificio in forza di convenzione con il Comune di Locri, nell’impossibilità di definire la procedura di acquisto aveva offerto il pagamento di un canone di euro 18.507,08, ma che l’immobile doveva essere adeguato alla normativa sulla sicurezza. Nell’inerzia della proprietà aveva provveduto all’esecuzione dei lavori, trattenendo l’importo dal corrispettivo per il godimento, e che qualunque somma si sarebbe dovuta ripartire con il Comune di Locri, che aveva detenuto il bene sino al 31.12.1988. La convenuta concludeva per il rigetto della domanda e chiedeva di poter chiamare in giudizio il Comune di Locri. Si costituiva il Comune di Locri e notava che nessuna domanda era stata svolta dall’attore nei suoi confronti e che a partire dal 31.12.1988 la gestione del bene spettava all’amministrazione provinciale, sì che gli importi in contestazione sarebbero dovuti gravare solo su quest’ultima.
Con sentenza pubblicata il 27.6.2013 il Tribunale di Reggio Calabria accoglieva parzialmente le domande svolte da COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di procuratore generale di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nei confronti della Provincia di Reggio Calabria e, per
l’effetto, dichiarava che quest’ultima deteneva senza titolo l’immobile, di cui ordinava la liberazione, aveva eseguito lavori non autorizzati e compensava le spese di lite. Il Tribunale, inoltre, rigettava le domande proposte dalla Provincia di Reggio Calabria nei confronti del Comune di Locri, gravandola delle spese lite. 2. La Corte d’Appello di Reggio Calabria con sentenza pubblicata il 21.12.2020, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal COGNOME, nella riferita qualità, condannava la Provincia di Reggio Calabria alla restituzione degli importi di euro 73.543,20 e di euro 106.932,41, oltre interessi legali dal dovuto al saldo; condannava l’appellata al risarcimento del danno da occupazione illegittima quantificato in euro 6.940,17 al mese oltre rivalutazione dalla domanda al saldo ed interessi legali, gravandola delle spese per entrambi i gradi del giudizio.
La Corte d’appello osservò che pacificamente il contratto di locazione aveva avuto inizio il 23.1.1981 ed era cessato il 31.12.1992, ma che anche successivamente era rimasto occupato senza titolo da parte del Comune di Locri e, successivamente, a far tempo dal 1° gennaio 1999, della Provincia di Reggio Calabria, la quale aveva deliberato di corrispondere la somma mensile di euro 18.507,08 ai proprietari, che avevano manifestato per implicito la volontà di accettarla.
In relazione alle somme trattenute dalla Provincia di Reggio Calabria per lavori di adeguamento e messa in sicurezza, notò la Corte d’appello che detti lavori erano stati eseguiti senza l’autorizzazione della proprietà e che le somme versate non potevano essere comprese nel risarcimento del danno liquidato dal Tribunale di Locri con sentenza n. 103/2011, poiché tale sentenza era stata riformata dalla stessa corte reggina con sentenza n. 487/2012 sul rilievo che il risarcimento per i danni subiti dall’immob ile durante la locazione avrebbe potuto essere chiesto solo a restituzione avvenuta. La Corte d’appello, pertanto, riconobbe come dovute le somme in contestazione trattenute indebitamente da quanto riconosciuto dalla stessa amministrazione provinciale a titolo di corrispettivo mensile di euro 18.507,08, oltre gli interessi legali dal dovuto al saldo.
La Corte d’appello ritenne, altresì, dovuto il risarcimento del danno per l’occupazione senza titolo per la perdita della disponibilità del bene e per la
mancata percezione di un reddito immobiliare, rapportato all’importo di euro 6.940,17 al mese pari alla differenza tra l’importo di euro 25.447,25, ossia il valore locativo riconosciuto al bene dopo l’esecuzione dei lavori di adeguamento, e quello di euro 18.507,08 unilateralmente riconosciuto e corrisposto dalla Provincia di Reggio Calabria.
La Corte d’appello, invece, disattese l’appello relativamente alla domanda per il risarcimento del danno ex art. 1337 cod. civ., poiché l’appellante non aveva provato che, dopo la comunicazione con cui la Provincia manifestò l’interesse all’acquisto del b ene, tra le parti fossero intervenute trattative in grado di ingenerare un ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del contratto di vendita e che esse fossero state interrotte in modo ingiustificato.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre la Città Metropolitana di Reggio Calabria, sulla base di due motivi. Rispondono con controricorso COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, rispetto all’esame dei motivi svolti dalla ricorrente , deve essere dato atto che l’avviso di fissazione dell’adunanza camerale ex art. 380 bis-1 cod. proc. civ. è stato ritualmente comunicato dalla Cancelleria. Infatti, a seguito del messaggio ricevuto dal sistema in data 24.6.2024 di mancata consegna della comunicazione effettuata a mezzo P.E.C. per indirizzo non valido, la Cancelleria ha provveduto alla comunicazione dell’avviso direttamente alla parte (all’indirizzo pec della Città Metropolitana di Reggio Calabria) come se il ministero del difensore fosse venuto meno, come accade quando risulta il suo decesso. Modalità, quest’ultima, ancora più garantista di quella che pure si sarebbe potuta osservare, ossia quella di provvedere alla comunicazione presso la Cancelleria stessa ai sensi dell’art. 366, comma secondo, cod. proc. civ. Infatti, è stato affermato da questa Corte che ‘Nel giudizio di cassazione, in tema di comunicazione dell’avviso di fissazione dell’adunanza camerale, l’indicazione, nel ricorso, del codice fiscale del difensore, pur in mancanza di quella del relativo
indirizzo di P.E.C., comporta l’automatica domiciliazione nel proprio indirizzo di P.E.C. figurante obbligatoriamente dal “Reginde”, sicché correttamente la cancelleria, a norma del combinato disposto degli artt. 366, ultimo comma, e 136, comma 2, c.p.c., procede all’individuazione della P.E.C. dal “Reginde” e all’esecuzione della comunicazione presso la relativa casella; pertanto, nell’ipotesi in cui la comunicazione inviata all’esito di tale individuazione non vada a buon fine per rifiuto da parte della casella di P.E.C. del destinatario, la mancata consegna dell’avviso deve ritenersi imputabile al difensore e la cancelleria non è onerata di procedere al rinnovo dell’atto attraverso una nuova comunicazione a mezzo posta, che, se effettuata tardivamente, re sta irrilevante’ (v. Cass. 23 febbraio 2021, n. 4920. In senso analogo, con riferimento a situazioni di mancata consegna della comunicazione effettuata dalla cancelleria a mezzo pec per fatto imputabile al difensore titolare dell’account, v. Cass. 25 settembre 2017, n. 22320; 18 settembre 2020, n. 3965; 20 settembre 2021, n. 25426; 15 marzo 2023, n. 7510; 5 luglio 2024, n. 18388).
Deve essere disattesa l’eccezione di nullità della procura speciale alle liti sollevata dai controricorrenti, per essere stata rilasciata dal vicesindaco della ricorrente in asserita, ma non prodotta, delega da parte del Sindaco della Città Metropolitana di Reggio Calabria.
La Città Metropolitana di Reggio Calabria è subentrata alla Provincia di Reggio Calabria in base alla l. 56/2014, recante “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”, che ne ha disciplinato l’istituzione in sostituzione alle province, come ente di area vasta.
In particolare, l’art. 1, comma 19, l. 56/2014 ha statuito: ‘L
Di qui la legittimazione alla proposizione dell’odierno ricorso, trattandosi del soggetto succeduto ai sensi dell’art. 111 cod. proc. civ. nell’ambito del rapporto facente capo all’ente (Provincia di Reggio Calabria) sostituito (v. Cass., sez. un., 26 agosto 2019, n. 21690)
Tanto premesso, i controricorrenti avrebbero dovuto sostenere che lo statuto della Città Metropolitana di Reggio Calabria, agevolmente reperibile nella rete tramite un motore di ricerca, non avrebbe consentito la delega al vicesindaco per il rilascio di procura alle liti, tanto più che è notorio come nell’ambito delle pubbliche amministrazione ordinariamente il Sindaco provveda al conferimento deleghe di firma, e non di funzioni, al fine del rilascio di procure alle liti (v. Cass., sez. lav., 22 marzo 2005 , n. 6113, ‘Qualora spetti al Sindaco la legittimazione a stare in giudizio (“legitimatio ad processum”) in rappresentanza del comune e, quindi, anche la competenza a conferirne la procura alle liti, non è preclusa al Sindaco stesso la delega dell’esercizio del proprio potere di rappresentanza (anche) processuale del comune ad un assessore oppure ad un dirigente del comune medesimo, quantomeno con riferimento agli affari in ordine ai quali sia dotato dei poteri di rappresentanza sostanziale. Ciò tanto più si impone ove si tratti di delega (non già di funzioni, ma) di firma, nella quale l’organo delegante mantiene la piena titolarità dell’esercizio del proprio potere e delega ad altri soltanto il compito di firmare atti di esercizio dello stesso potere, con la conseguenza che l’atto firmato dal delegato resta imputato all’organo delegante’).
Con il primo motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Lamenta la ricorrente che la Corte d’appello , nel disporre la condanna alla restituzione delle somme spese per l’effettuazione di lavori di adeguamento e messa in sicurezza dell’immobile, non avrebbe adeguatamente preso in considerazione la rilevanza pubblicistica dell’interesse connesso alla tutela dell’incolumità pubblica, a fronte dell’inerzia della proprietà, pur debitamente informata della necessità di provvedere alla realizzazione, sì che era del tutto irrilevante la mancata autorizzazione all’esecuzione delle opere.
3.1 Il primo motivo è inammissibile, giacché non indica un preteso fatto omesso, ma prospetta nella sostanza l’omesso esame di una questione in iure che si assume riproposta con la comparsa di costituzione di appello. Il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. nella sua attuale
formulazione, invece, presuppone la sussistenza di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, non considerato dal giudice del gravame.
La ricorrente non indica un fatto, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (e in tal senso va inteso, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, v., tra le molte, Cass., sez. VI-1, ord., 26 gennaio 2022, n. 2268, il fatto cui fa riferimento il n. 5 dell’art. 3 60 come novellato).
La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo ormai unanime, ha chiarito come non rientrino nella nozione di fatto: (a) le argomentazioni o deduzioni difensive; (b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti; (c) una moltitudine di fatti e circostanze o il vario insieme dei materiali di causa (v. Cass. civ., sez. I, ord., 29 febbraio 2024, n. 5375; Cass., sez. V, ord., 23 febbraio 2024, n. 4942; Cass., sez. III, ord., 15 febbraio 2024, n. 4163; Cass., sez. lav., ord., 22 gennaio 2024, n. 2226; Cass., sez. III, ord., 14 dicembre 2023, n. 35106). Da questo punto vista, pertanto, non avendo la ricorrente indicato il fatto decisivo pretermesso, tale intendendosi un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, v. Cass. 24 gennaio 2020, n. 12387; 16 gennaio 2020, n. 791; 8 settembre 2016, n. 1776; 26 luglio 2017, n. 18391.), nei sensi sopra precisati, il motivo si configura come inammissibile.
3.2. Poiché nel motivo si prospetta l’omesso esame di una questione in iure che si assume riproposta con la comparsa di costituzione di appello, si sarebbe dovuta denunciare la violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto lamentante l’omessa pronuncia su un’eccezione riproposta con detta comparsa. Ora, se anche lo si intendesse in qu esto senso, l’omissione di pronuncia sarebbe inesistente, dato che la corte reggina ha esaminato espressamente la questione
della pretesa restitutoria relativamente alle trattenute effettuate dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria su quanto dovuto a titolo di corrispettivo per protrazione del godimento del bene, evidenziando come tali somme non potessero essere ricomprese in quanto liquidato dal Tribunale di Locri a titolo di risarcimento del danno, poiché la sentenza n. 103/2011 era stata riformata dalla stessa corte reggina con sentenza n. 487/2012.
Mette conto di rilevare che q uand’anche si intendesse il motivo come denunciante un vizio in iure relativamente a tale motivazione (per la verità scarna nella duplice ragione indicata), occorre rilevare l’assertività delle argomentazioni brevi del motivo in esame, poiché non è indicata infatti la normativa in iure impositiva dell’agire dell’Amministrazione con riferimento al rapporto con i proprietari del bene, tale da poter derogare alle disposizioni civilistiche in tema di contratto di locazione. Infine, il motivo non censura la seconda ratio enunciata nella sentenza impugnata, ossia quella evocativa della sorte dell’altro giudizio definito dalla Corte d’appello di Reggio Calabria con sentenza n. 487/2012, né localizza la comparsa di costituzione, di modo che non si fornisce l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 6 c.p.c.
Con il secondo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 1591 cod. civ.
In base all’art. 1591 cod. civ. ‘Il conduttore in mora a restituire l’immobile è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo del maggior danno’. Tale danno, tuttavia, non p otrebbe ritenersi in re ipsa e coincidente con l’evento (mancata disponibilità del bene), che è, invece, elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi dell’art. 1223 e 2056 cod. civ., trattandosi di un danno-conseguenza, il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito una effettiva lesione al suo patrimonio. Correttamente il giudice del primo grado aveva ritenuto che l’appellante avesse percepito l’importo di euro 18.507,08 come canone di locazione determinato dall’ente e ritenuto congruo in mancanza dell’adeguamento del bene, così manifestando per implicito il consenso sull’adeguatezza dell’importo , ma non aveva fornito prova, neppure in via presuntiva, del maggior danno richiesto.
La ricorrente, inoltre, ha rilevato che la Corte d’appello erroneamente nel condannarla al risarcimento del danno da occupazione illegittima avrebbe riconosciuto sull’importo la rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo e gli interessi legali. Sennonché, le somme dovute si sarebbero dovute considerare quale debito di valuta e non di valore, sì che esse soggiacciono al principio nominalistico ex art. 1277 cod. civ.
4.1. Il motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 15 novembre 2022, n. 33645), componendo un contrasto insorto in materia, hanno statuito che in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo:
‘il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale’;
‘se il danno da perdita subita di cui il proprietario chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato’;
‘il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall’impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato’.
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha accolto la domanda diretta a l risarcimento del danno per l’occupazione senza titolo per la perdita della disponibilità del bene e per la mancata percezione di un reddito immobiliare, rapportato all’importo di euro 6.940,17 al mese. Importo, quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra l’importo di euro 25.447,25, ossia il valore locativo riconosciuto al b ene dopo l’esecuzione dei lavori di adeguamento dalla
Provincia di Reggio Calabria, e quello di euro 18.507,08 unilateralmente riconosciuto e corrisposto dallo stesso ente.
Nel pervenire alla sua decisione la corte reggina si è uniformata all’indirizzo espresso da questa Corte proprio in tema di mora del conduttore nella restituzione ex art. 1591 cod. civ., secondo il quale ‘ La specifica e seria proposta di nuova locazione -suscettibile di rilevare, in relazione al disposto dell’art. 1591 c.c., ai fini della prova del danno subito dal locatore per non aver potuto dare in locazione il bene ad un canone più elevato, a causa del ritardo nella restituzione dell’immobile – può identificarsi anche con quella proveniente dallo stesso conduttore’ (v. Cass. 27 giugno 2023, n. 18370; 3 marzo 2009, n. 5051; 13 giugno 2006, n. 13653; v. in senso conforme, più di recente, Cass. 16 settembre 2024, n. 24871). Nella vicenda in esame, il danno normale o presunto, connesso alla perdita della facoltà di godimento mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, è stato correttamente riconosciuto nella differenza indicata dalla stessa Provincia di Reggio Calabria in considerazione del valore locativo del bene a seguito dell’effettuazione delle opere di adeguamento e messa in sicurezza.
In questo contesto, potendo procedere ad una determinazione equitativa del danno da perdita della possibilità di godimento avvalendosi di presunzioni (v. Cass. 15 ottobre 1997, n. 997, n. 10115), senza necessità di transitare per l’allegazione e la prova delle concrete occasioni perdute, la disponibilità a pagare da parte dell’utilizzatore del bene rappresenta un indice a ttendibile delle utilità attribuite al godimento del bene, e delle utilità perse da parte del soggetto danneggiato, anche in un’ottica di accelerazione della definizione dei procedimenti senza dover transitare per la via di una C.T.U. ricognitiva dei valori di mercato.
In presenza di una condanna al risarcimento del danno da occupazione illegittima, del pari correttamente, proprio perché trattasi di un risarcimento del danno e, non di condanna al pagamento di una obbligazione pecuniaria, la Corte d’appello ha riconosciuto sull’importo liquidato la rivalutazione monetaria, risultando così infondata la doglianza dell’appellante svolta nella parte finale del secondo motivo. Doglianza, quest’ultima, che attiene al preteso
assoggettamento dell’importo dovuto al principio nominalistico e non al modo di liquidazione degli accessori di un credito risarcitorio.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 200 per esborsi ed euro 4.000 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della