Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4436 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4436 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: ABETE NOME
Data pubblicazione: 20/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 23349 – 2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME c.f. CODICE_FISCALE – elettivamente domiciliata, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Barcellona Pozzo di Gotto, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso.
RICORRENTE
contro
RAGIONE_SOCIALE c.f./p.i.v.a. P_IVA -in persona del sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Barcellona Pozzo di Gotto, alla INDIRIZZO 332/334, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al controricorso.
CONTRORICORRENTE avverso la sentenza n. 430/2019 della Corte d’Appello di Messina,
udita la relazione nella camera di consiglio del 14 dicembre 2023 del AVV_NOTAIO NOME COGNOME,
RILEVATO CHE
Con atto del 30.1.1997 NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME citavano a comparire dinanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto il Comune di Mazzar rà Sant’Andrea.
Esponevano che con ordinanza n. 17 del 2.1.1992 il sindaco del Comune convenuto aveva disposto l’occupazione d’urgenza di mq. 1.260 dell’agrumeto di loro proprietà – al foglio 3, particella n. 331 -ai fini della costruzione di n. 20 alloggi nel lotto R2 del programma costruttivo (cfr. ricorso, pagg. 2 – 3) .
Esponevano che in data 28.1.1992 era stato redatto il verbale di immissione in possesso e che in data 28.1.1997, al decorso dei cinque anni, le opere non erano state iniziate (cfr. ricorso, pag. 2) .
Chiedevano condannare l’ente territoriale convenuto alla restituzione de ll’area occupata nonché al ‘ risarcimento di tutti i danni subiti nella misura di lire 200.000.000’ (c osì sentenza d’appello , pag. 2) .
Resisteva il Comune di Mazzar rà Sant’Andrea.
Deduceva che la materia del contendere era cessata, siccome il terreno era stato restituito agli attori giusta delibera n. 31 del 7.3.1997 della Giunta municipale (cfr. sentenza d’appello, pag. 2) .
Deduceva che nessun danno gli attori avevano subito, siccome il terreno era rimasto nella loro piena disponibilità (cfr. sentenza d’appello, pag. 2) .
Si costituiva, a seguito del decesso degli originari attori, NOME COGNOME, coniuge di NOME COGNOME (cfr. ricorso, pag. 4) .
Espletata la c.t.u., con sentenza n. 47/2012 il tribunale condannava il Comune al pagamento dell’importo di euro 25.065,00, oltre interessi, corrispondente al 50% dell’importo ‘determinato dal c.t.u. a titolo di mancata fruttificazione del fondo’ (c osì sentenza d’appello, pag. 2 ) .
Il Comune RAGIONE_SOCIALE Mazzarrà Sant’Andrea proponeva appello.
Si costituiva NOME COGNOME.
Instava per il rigetto dell’avverso gravame .
Esperiva ‘ appello incidentale nella parte in cui il Tribunale di Barcellona P.G. condannato il Comune al pagamento del 50% delle somme determinate in c.t.u., anziché del 100%’ (così sentenza d’appello, pag. 3) .
A tal riguardo deduceva che unicamente in epoca recente aveva appreso dell’esistenza di una scrittura privata, da cui risultava che suo marito, suo dante causa, era proprietario esclusivo del terreno e non già comproprietario per la quota di ½ (cfr. sentenza d’a ppello, pagg. 3 – 4) .
Con sentenza n. 430 dei 15.5/5.6.2019 la Corte d’Appello di Messina accoglieva parzialmente l’appello principale e – per quel che qui rileva condannava il Comune di Mazzar rà Sant’Andrea a pagare a NOME COGNOME la somma di euro 500,00, oltre interessi legali sino al soddisfo; compensava integralmente le spese del doppio grado.
Evidenziava la corte -per quel che qui rileva -in ordine al terzo motivo dell’appello principale, con cui il Comune di Mazzarrà Sant’Andrea si era doluto per l’omessa dichiarazione della cessazione della materia del contendere, siccome aveva provveduto a restituire agli originari proprietari le aree occupate, che ‘la domanda giudiziaria azionata in primo grado dagli originari attori aveva ad oggetto non solo la restituzione delle aree ma anche il risarcimento del danno
conseguente a tale illegittima condotta’ (così sentenza d’appello, pag. 5) , sicché ‘la causa doveva comunque proseguire per l’accertamento e l’eventuale quantificazione dei danni richiesti dagli originari attori’ (così sentenza d’appello, pag. 5) .
Evidenziava dunque -la corte – che le aree per cui era controversia, erano state riconsegnate agli aventi diritto in data 10.4.1997, così come si desumeva ‘dalla cartolina postale relativa alla notifica a COGNOME NOME della delibera di G.M. n. 31 del 07/03/1997′ (così sentenza d’appello, pag. 6) .
Evidenziava quindi che il periodo che il c.t.u. avrebbe dovuto prendere in considerazione era di appena 73 giorni, dal dì di scadenza d ell’occupazione legittima al dì di restituzione delle aree (cfr. sentenza d’appello, pag. 6) .
Evidenziava poi che al momento dell’immissione in possesso il terreno risultava piantato ad agrumi e nessuna prova era stata fornita circa l’esistenza sul fondo di un vivaio, sicché ‘ la fruttificazione operata dal c.t.u. e la conseguente determinazione del danno nella somma di € 50.130,00 appar
(…) non supportata da element i probatori’ (così sentenza d’appello, pag. 6).
Evidenziava per altro verso la corte, in ordine all’appello incidentale, che la quota ideale spettante al dante causa di NOME era senz’altro pari ad ½ e che, a tal riguardo, nessun rilievo rivestivano la scrittura del 19.10.1991 e la relazione del consulente di parte (cfr. sentenza d’appello, pag. 7) .
Evidenziava pertanto che il risarcimento, da rideterminare nell’importo di euro 1.000,00 in ragione della durata dell’occupazione illegittima, competeva all’appellata nella misura di euro 500,00 (cfr. sentenza d’appello, pag. 7) .
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.
Il Comune di Mazzar rà Sant’Andrea ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con vittoria di spese.
La ricorrente ha depositato memoria.
Del pari ha depositato memoria il controricorrente.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ.
Deduce che la Corte di Messina ha immotivatamente determinato in 73 giorni la durata del periodo da prendere in considerazione ed ha immotivatamente disatteso le conclusioni del c.t.u., allorché ha ridotto il quantum del risarcimento (cfr. ricorso, pag. 5) ; che dunque l’impugnato dictum è sorretto da motivazione ‘apparente’ ed insanabilmente contraddittoria (cfr. ricorso, pag. 6)
Deduce che ‘ il danno andava calcolato, come giustamente richiesto, dal 1992 essendo riferibile anche al periodo di occupazione legittima, fino alla effettiva consegna ‘ (così ricorso, pag. 5) .
Deduce al contempo che ai fini della restituzione occorreva la materiale riconsegna (cfr. ricorso, pag. 5) .
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ.
Deduce che ha errato la Corte di Messina a non accogliere l’appello incidentale Deduce che ha errato la corte d’appello a negare rilevanza probatoria alla scrittura in data 19.10.1991 ed alla relazione di c.t.p. (cfr. ricorso, pag. 7) .
Deduce che la corte di merito non ha tenuto conto dell’indispensabilità della scrittura del 19.10.1991 alla stregua della previsione dell’art. 345, 3° co., cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis (cfr. ricorso, pag. 8) .
I motivi di ricorso sono evidentemente connessi; il che ne giustifica la disamina contestuale; ambedue i motivi comunque sono privi di fondamento e da respingere.
La Corte di Messina ha reiteratamente puntualizzato -lo si è anticipato che gli originari attori avevano richiesto, oltre alla restituzione delle aree, il risarcimento del danno per l’occupazione delle medesime aree.
Evidentemente nulla gli originari attori avevano domandato specificamente a titolo di indennità per il periodo di occupazione legittima.
Cosicché la corte d’appello ha, su tale scorta ed in questi termini, senz’altro esplicitato le ragioni per le quali la pretesa risarcitoria era da circoscrivere al lasso temporale, pari a settantatré giorni, compreso tra il 27.1.1997, dì di scadenza d ell’occupazione legittima , ed il 10.4.1997, dì in cui si è provveduto alla formale restituzione delle aree (il riferimento, nella motivazione dell’impugnato dictum , alle date del 27.1.2007 e del 10.4.2007 costituisce senza dubbio un refuso) .
Di certo, per il periodo di occupazione legittima gli iniziali attori avrebbero potuto vantare una pretesa indennitaria non già risarcitoria (cfr. Cass. sez. un. 2.2.2011, n. 2419, secondo cui, qualora un’area venga legittimamente occupata a fini espropriativi e poi restituita dopo la revoca degli atti ablativi ad essa inerenti, l’occupazione si considera avvenuta fin dall’origine per causa di pubblica utilità, per cui l’indennità ad essa relativa va calcolata in base agli interessi legali sull’indennità vi rtuale di espropriazione; Cass. sez. un. 26.1.2001, n. 28) .
La corte di merito, dunque, non è incors a in alcun ‘vizio di attività’.
13. In ogni caso, si supponga pure che la ricorrente abbia lamentato in questa sede, segnatamente con il primo motivo di ricorso, un ‘omissione di pronuncia in ordine all’in vocata indennità per il periodo di occupazione legittima.
Nondimeno questa Corte non può che far luogo ai rilievi che seguono.
Per un verso, ove il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia da parte dell ‘impugnata statuizione in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che si faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del 1° co. dell’art. 360 cod. proc. civ. con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (cfr. Cass. sez. un. 24.7.2013, n. 17931; Cass. 29.11.2016, n. 24247) .
Il che, nella specie, indiscutibilmente non è avvenuto.
Per altro verso, pur a prescindere alla surriferita irritualità, ben avrebbe dovuto la ricorrente dar conto in maniera specifica ed ‘autosufficiente’ della iniziale e protratta rituale proposizione nei gradi di merito della domanda volta a conseguire specificamente il pagamento dell’indennità di occupazione legittima in ordine alla quale si appunterebbe l’omissione di pronuncia (cfr. Cass. 20.8.2015, n. 17049, secondo cui è inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cass azione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano ‘nuove’ e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte; Cass. 9.8.2018, n. 20694) .
Al che, la ricorrente, indiscutibilmente non ha provveduto.
La proposizione, tout court , di domanda risarcitoria rende, in pari tempo, evidenti e congrue le ragioni per le quali la corte distrettuale ha, in sede di quantificazione del risarcimento, disatteso le conclusioni del c.t.u.
Cosicché , per nulla si giustifica la denunzia e di motivazione ‘apparente’ e di motivazione contraddittoria.
Del resto, il vizio di motivazione ‘apparente’ ricorre allorché il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico/giuridica, tale da lasciar trasparire l’ iter argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) .
Del resto, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360, 1° co., n. 5, cod. proc. civ. -al di là dell’ipotesi del ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’, insussistente nel caso de quo – non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928) .
Invano poi la ricorrente prospetta che ai fini della restituzione occorreva la materiale riconsegna del terreno (cfr. ricorso, pag. 5) .
Ed invano, parimenti, adduce, in verità del tutto genericamente e senza qualsivoglia ulteriore specificazione, che non vi è prova della ricezione della notifica della delibera n. 31 del 7.3.1997, con la quale la Giunta municipale ebbe a disporre la restituzione dell’area occupata (cfr. ricorso, pag. 5) .
Evidentemente, con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (cfr. Cass. (ord.) 7.12.2017, n. 29404) .
C iò tanto più che il Comune RAGIONE_SOCIALE Mazzarrà Sant’Andrea ha sin dal giudizio di primo grado eccepito che il terreno ‘era rimasto nella libera disponibilità degli attori’ (così sentenza d’appello, pag. 2) .
Del pari generico e per nulla ‘autosufficiente’ è il lapidario assunto della ricorrente secondo cui controparte non aveva censurato il primo dictum , nella parte in cui il primo giudice aveva affermato che la delibera della Giunta municipale del 7.3.1997 non risultava notificata (così ricorso, pag. 7) .
Si ribadisce , comunque, che con il terzo motivo d’appello il Comune di Mazzarrà Sant’Andrea aveva censurato la prima decisione, siccome il tribunale non aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere determinatasi a seguito della restituzione del terreno agli aventi diritto giusta la deliberazione della Giunta municipale n. 31/1997 (cfr. sentenza d’appello, pagg. 2 e 3) .
Cosicché sovviene l’insegnamento di questa Corte secondo cui, o ve non sia stata proposta impugnazione nei confronti di un capo della sentenza e sia stato, invece, impugnato un altro capo strettamente collegato al primo, è da escludere che sul capo non impugnato si possa formare il giudicato interno (cfr. Cass. 2.3.2010, n. 4934; Cass 29.4.2006, n. 10043) .
Ovviamente, non vi è motivo per cui la ricorrente si dolga per la disconosciuta rilevanza probatoria della relazione di c.t.p.
Invero, la consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio (cfr. Cass. sez. un. 3.6.2013, n. 13902, ove si soggiunge che, in quanto tale, la produzione della relazione di c.t.p. è ammissibile anche in appello) .
D ‘altra parte, l’art. 360, 1° co., n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni dalla l. n. 134 del 2012,
ha introdotto nell ‘ ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all ‘ omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (cfr. Cass. 14.6.2017, n. 14802) .
18. La ricorrente non ha provveduto, così come avrebbe dovuto in ossequio agli oneri di specificità e di ‘autosufficienza’ , a riprodurre nel corpo del ricorso il testo della scrittura del 19.10.1991.
Propriamente, a pagina 8 del ricorso, la ricorrente ha riprodotto uno stralcio delle conclusioni del c.t.p., ove è riferimento alla scrittura anzidetta (cfr. Cass. (ord.) 28.9.2016, n. 19048, secondo cui il ricorrente per cassazione, che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere imposto dall’art. 366, 1° co., n. 6, cod. proc. civ. – di produrlo agli atti, indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi, e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso; la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile; cfr. Cass. 13.11.2018, n. 29093; Cass. sez. un. 18.3.2022, n. 8950. Con tal ultima pronuncia è vero, sì, che le sezioni unite hanno puntualizzato che i l principio di ‘autosufficienza’ del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, 1° co., n. 6, cod. proc. civ., quale corollario del requisito di specificità dei motivi (anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021), non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa; e però le sezioni unite hanno ribadito la necessità che nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure) .
Ben vero, il difetto di specificità e di ‘autosufficienza’ rende vano il riferimento operato da lla ricorrente all’elaborazione di questa Corte in tema di indispensabilità della prova ‘nuova’ in appello (cfr. ricorso, pagg. 8 – 9) .
In dipendenza del rigetto del ricorso NOME COGNOME va condannata a rimborsare al Comune di Mazzarrà Sant’Andrea le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, 1° co. quater , d.P.R. 30.5.2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, 1° co. bis , d.P.R. cit., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente, NOME COGNOME, a rimborsare al controricorrente, Comune di Mazzarrà Sant’Andrea, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge;
a i sensi dell’art. 13, 1° co. quater , d.P.R. n. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, NOME COGNOME, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, 1° co. bis , d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 14 dicembre 2023.
Il presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME