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Obbligo informativo banca: la clausola che fa la differenza

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di una banca per la violazione di un obbligo informativo banca di natura contrattuale. L’istituto non aveva comunicato tempestivamente ai clienti la significativa variazione del livello di rischio di obbligazioni, poi risultate in default. La Corte ha ritenuto che la clausola specifica inserita negli ordini di acquisto, che impegnava la banca a informare su tali variazioni, costituisse un’obbligazione autonoma e il suo inadempimento, giudicato di non scarsa importanza, giustificasse la risoluzione dei contratti di investimento e la restituzione delle somme.

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Obbligo informativo banca: la clausola che fa la differenza

L’obbligo informativo della banca nei confronti dei propri clienti è un pilastro del diritto bancario e finanziario. Ma cosa succede quando questo dovere non deriva solo dalla legge, ma è rafforzato da una specifica clausola contrattuale? Con l’ordinanza n. 8561/2024, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, confermando che la violazione di un impegno informativo pattizio può portare alla risoluzione del contratto di investimento e al risarcimento del danno, anche a fronte di un evento imprevedibile come il default dell’emittente.

I Fatti di Causa

Due risparmiatori avevano acquistato, su suggerimento della propria banca, obbligazioni di un noto istituto di credito internazionale per un valore complessivo di 320.000 euro. L’investimento era stato presentato come a basso rischio, tanto da essere inserito nell’elenco di un consorzio che garantiva tale caratteristica. Negli ordini di acquisto era presente una clausola specifica: la banca si impegnava a informare tempestivamente i clienti qualora il titolo avesse subito una “significativa variazione del livello di rischio”.

Successivamente, l’istituto di credito emittente delle obbligazioni andò in default, causando la perdita totale del capitale investito dai clienti. Emerse che, nei mesi precedenti al crollo, il livello di rischio dei titoli era aumentato significativamente (una variazione del parametro VaR), ma la banca aveva omesso di comunicare tale circostanza ai clienti, informandoli solo dopo che il default era già avvenuto.

I clienti citarono in giudizio la banca, chiedendo la risoluzione dei contratti di investimento e il risarcimento dei danni. Mentre il Tribunale di primo grado respinse la domanda, ritenendo imprevedibile il default, la Corte d’Appello ribaltò la decisione, riconoscendo l’inadempimento della banca al suo specifico obbligo informativo contrattuale.

L’obbligo informativo banca e la decisione della Corte

La banca ha presentato ricorso in Cassazione, articolando sei motivi di doglianza, tutti respinti dalla Suprema Corte. Il cuore della decisione ruota attorno alla natura e alla gravità della violazione dell’obbligo informativo della banca.

La Corte ha stabilito che l’impegno assunto dalla banca tramite la clausola contrattuale non era una mera formalità. Si trattava di un’obbligazione distinta e aggiuntiva rispetto ai doveri informativi generali previsti dalla legge (TUF e regolamenti Consob). La banca si era specificamente impegnata a monitorare il rischio e a comunicare tempestivamente variazioni significative, un impegno che aveva generato un legittimo affidamento nei clienti. La mancata comunicazione è stata quindi qualificata come un inadempimento contrattuale di “non scarsa importanza”, sufficiente a giustificare la risoluzione dei contratti ai sensi dell’art. 1455 c.c.

La questione della “domanda nuova”

Uno dei principali argomenti della banca ricorrente era che i clienti avessero introdotto una “domanda nuova” in corso di causa, basando le proprie pretese sull’inadempimento contrattuale solo in un secondo momento. La Cassazione ha respinto questa tesi, evidenziando come già nell’atto di citazione originario i clienti avessero fatto riferimento alla violazione degli obblighi derivanti dalla clausola, rendendo la domanda pienamente ammissibile.

L’interpretazione della clausola e il ruolo del CTU

La Corte ha inoltre confermato la correttezza dell’interpretazione della clausola fornita dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, anche sulla base delle risultanze di una consulenza tecnica (CTU), aveva correttamente collegato la “significativa variazione del rischio” al parametro tecnico del VaR (Value at Risk) e accertato che tale variazione si era verificata ben prima del default, e che la banca, in qualità di operatore specializzato, avrebbe potuto e dovuto rilevarla e comunicarla.

Le Motivazioni

La Cassazione ha motivato il rigetto del ricorso punto per punto. Ha chiarito che l’interpretazione di una clausola contrattuale è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se non per violazione dei canoni legali di ermeneutica, violazione che la banca ricorrente non era riuscita a dimostrare. La critica della banca si limitava a proporre una diversa interpretazione, inammissibile in Cassazione.

In merito alla gravità dell’inadempimento, la Corte ha sottolineato che l’interesse dei clienti a ricevere un’informazione tempestiva era fondamentale. Essi avevano scelto quell’investimento proprio perché presentato come a basso rischio e si erano affidati alla promessa della banca di essere avvisati in caso di cambiamenti. La mancata informazione li ha privati della possibilità di disinvestire per tempo, rendendo l’inadempimento decisivo e non di scarsa importanza. La propensione al rischio generale dei clienti, invocata dalla banca, è stata ritenuta irrilevante di fronte alla scelta specifica di un investimento a basso rischio.

Infine, è stato respinto anche il motivo relativo alla mancata restituzione dei titoli, poiché la domanda non era stata ritualmente riproposta in appello.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale: “pacta sunt servanda”. Gli impegni che una banca assume contrattualmente con i propri clienti non sono mere clausole di stile, ma obbligazioni giuridiche vincolanti. La violazione di uno specifico obbligo informativo banca, assunto per contratto, costituisce un grave inadempimento che può portare alla risoluzione degli investimenti.

Per gli investitori, la lezione è chiara: è essenziale leggere attentamente le clausole contenute nei contratti di investimento e, in caso di inadempimento, far valere i propri diritti. Per gli intermediari finanziari, la sentenza è un monito a non sottovalutare gli impegni pattizi e a dotarsi di procedure interne efficaci per monitorare e comunicare le variazioni di rischio, al di là dei meri obblighi di legge.

Una clausola contrattuale può creare per la banca un obbligo informativo più stringente di quello previsto dalla legge?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che una clausola specifica in un ordine di acquisto, con cui la banca si impegna a comunicare tempestivamente al cliente una “significativa variazione del livello di rischio”, costituisce un’obbligazione contrattuale autonoma e aggiuntiva rispetto a quelle previste dalla normativa generale (come il TUF).

Quando la violazione dell’obbligo di informare è così grave da giustificare la risoluzione del contratto?
La violazione è considerata di non scarsa importanza (e quindi sufficiente per la risoluzione) quando lede un interesse fondamentale del cliente. Nel caso di specie, i clienti avevano scelto l’investimento proprio perché a basso rischio e si erano affidati alla promessa di essere informati su cambiamenti. La mancata comunicazione li ha privati della possibilità di disinvestire per tempo, rendendo l’inadempimento grave e decisivo.

Se un cliente menziona la violazione di una clausola nell’atto iniziale, può poi specificarla meglio nel corso del processo senza che venga considerata una “domanda nuova”?
Sì. La Corte ha stabilito che se la violazione dell’obbligo contrattuale specifico era già stata dedotta nell’atto di citazione originario, anche se insieme alla violazione degli obblighi di legge, non si verifica un mutamento inammissibile della domanda (mutatio libelli). La specificazione successiva rientra nel perimetro della causa petendi già delineata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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