Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34290 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34290 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
comma, stabilisca che « per ciascun anno solare verrà confermato come minimo l’ammontare globale delle giornate lavorative assicurate nell’anno precedente, ove ciò sia consentito dai relativi finanziamenti pubblici e, nel caso di concessione di lavori in affidamento, siano almeno confermate le concessioni di lavori » ma, al comma 4, affermi altresì che « anche in relazione a quanto previsto dall’art. 2 in materia di flussi occupazionali, su richiesta di una delle Parti potrà essere effettuato annualmente, a livello regionale e/o aziendale, un confronto al fine di convenire sulle effettive capacità di impiego degli operai a tempo determinato »;
è in proposito evidente che un confronto « al fine di convenire » non può che costituire fonte di legittimazione alla contrattazione
regionale per la definizione di assetti in ipotesi diversi eo migliorativi rispetto a quanto stabilito dal primo comma del CCNL; è in questa logica che è stato evidentemente inteso dalla Corte territoriale l’art. 17 del CIRL, quale trascritto nella sentenza impugnata, secondo cui « agli operai a tempo determinato che non intendono stabilizzare il proprio rapporto di lavoro, viene garantito un numero di giornate lavorative non inferiore a quello dell’anno precedente e comunque fino a un massimo 156 giornate lavorative annue »;
la norma è stata interpretata dalla Corte di merito nel senso che la contrattazione decentrata assicurava il diritto ad un numero di giornate minime pari a quelle dell’anno precedente e comunque non superiori alle 156, che è quanto, sul presupposto -si cita testualmente – del mancato impiego « per il numero di giornate svolte in precedenza », è stato infine riconosciuto dalla sentenza impugnata;
se è poi vero che la copertura finanziaria è condizione per il sorgere dei diritti retributivi (Cass. 31 maggio 2023, n. 15364), è altrettanto vero che la previsione del CIRL è stata intesa dalla Corte d’Appello nel senso che essa, specificando ed integrando a favore dei lavoratori i contenuti del CCNL, prevedeva senza riserve un obbligo datoriale di riconoscimento di quelle giornate minime, che a quel punto obbligava consequenzialmente gli enti datori alla previsione delle risorse a tal fine necessarie ed al loro reperimento; tale interpretazione del CIRL, in sé non implausibile, attiene al merito e non è censurabile, non trattandosi di accordi nazionali, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.;
essa non si pone neanche in contrasto con regole primarie o con il CCNL, in quanto l’interpretazione della Corte di merito non è certamente nel senso di negare la necessità di copertura finanziaria, quanto piuttosto mirata a riconoscere la fissazione di un obbligo assunzionale, da parte del CIRL, senza riserve, cui dunque
seguiva l’obbligo di previsione e reperimento delle risorse necessarie;
su tale base interpretativa, è conseguentemente legittimo, secondo le note dinamiche di cui a Cass., S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533, che il lavoratore cui non siano state fatte svolgere quelle giornate di lavoro agisca lamentando l’inadempimento datoriale nel suo complesso, ivi compresi gli obblighi accessori di reperimento delle risorse imposti dal CIRL e che, in mancanza di prova contraria dal lato datoriale, l’azione risarcitoria fosse da ritenere fondata;
in questi termini è da ritenere corretta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui non basta l’allegazione datoriale in ordine alla mancanza di disponibilità economica, perché era obbligo datoriale prevedere e reperire tali risorse applicando – come dice sempre la Corte di merito – la normativa collettiva più favorevole e quindi opportunamente richiedendo i finanziamenti destinati ad alimentare la previsione assunzionale in essa contenuta, nella misura idonea, agli enti competenti o comprovando che per qualsiasi ragione era impossibile che ciò potesse avvenire, profili di fatto sui quali non emerge alcunché di concreto dalla sentenza impugnata;
non è dunque sufficiente la mera allegazione -di cui è menzione in vari passi del ricorso -dello spettare alla Regione l’accredito sugli appositi fondi, in quanto tale assetto in sé non è dirimente rispetto all’assolvimento dell’obbligo datoriale a fronte di un obbligo incondizionato di assunzione – di prevedere, richiedere e reperire quanto necessario, nelle forme del caso e rispetto alla piena dimostrazione dell’adempimento di tali obblighi o dell’impossibilità di un tale finanziamento;
5.
il terzo motivo adduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.) e sottolinea come nel caso di specie si fosse verificato una soccombenza parziale sia da parte
del COGNOME, sia da parte della Comunità Montana, sicché si sarebbe dovuta disporre la compensazione, in accoglimento del motivo di appello proposto rispetto alla sentenza di primo grado, così escludendosi anche l’onere del raddoppio del contributo unificato in carico alla Comunità appellante;
premesso che il motivo neppure spiega in che senso si dovrebbe ritenere una soccombenza reciproca, va precisato che, se l’assunto fosse da riferire all’essere intervenuta pronuncia di condanna per un risarcimento calibrato su sole 159 giornate, contro 179 richieste, si tratterebbe piuttosto di un accoglimento parziale;
sia in caso di accoglimento parziale, sia in caso di soccombenza reciproca, quella di disporre la compensazione è tuttavia facoltà discrezionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass., S.U., 15 luglio 2005, n. 14989; Cass. 26 aprile 2019, n. 11329);
ciò comporta la reiezione anche di questo motivo; 6.
a fronte del rigetto integrale dell’impugnazione, le spese del giudizio di cassazione si regolano secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro