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Azione di riscatto agrario nei soli confronti del riscattato

Azione di riscatto agrario, può essere esperita nei soli confronti del riscattato, senza la necessaria partecipazione dell’alienante.

Pubblicato il 02 July 2022 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI MESSINA
Sezione I Civile

riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati:

1) ha emesso la seguente

SENTENZA n. 415/2022 pubblicata il 21/06/2022

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 155/2016 R.G. posta in decisione all’udienza del 13.06.2022 vertente tra

XXX, nella qualità di erede di ***, nata a;

Appellante e

YYY,

Appellato nonché

ZZZ, in proprio e nella qualità di erede di ***, KKK, C.F., JJJ, C.F., SSS, C.F. e LLL, C.F., tutti aventi causa ed unici eredi di ***,

Appellati oggetto: appello avverso la sentenza n. 463/2016, emessa dal Tribunale di Messina in data 15.02.2016 e pubblicata in data 17.02.2016.

Conclusioni dei procuratori delle parti rese all’udienza del 13.06.2022: “I procuratori precisano le conclusioni genericamente riportandosi a tutte le domande, eccezioni e difese rassegnate negli atti difensivi e nei verbali di causa”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 17.05.2004, YYY conveniva in giudizio XXX e ZZZ innanzi al Tribunale di Messina al fine di ottenere l’accertamento del proprio diritto alla prelazione del terreno sito in Messina, Contrada Baglio – catastalmente individuato al Foglio, Particella– oggetto del contratto di compravendita per Notar del 15.03.2004, rep. n., trascritto il 01.04.2004, nn., stipulato tra i convenuti e l’originario proprietario, ***, e, conseguentemente proponendo azione di retratto agrario ex art. 8 l.n. 590/65 (come sost. dall’art. 8 l. n. 817/71), chiedeva di subentrare nel contratto di compravendita summenzionato in luogo degli acquirenti, previo pagamento del prezzo di euro 1.5000,00 pattuito nel medesimo contratto, con condanna dei convenuti alla restituzione del fondo.

L’attore esponeva: di essere proprietario, fin dal 1994, di un fondo agricolo, sito in Messina, Faro Superiore, c.da Baglio – catastalmente individuato al Foglio, Particella –, sul quale aveva costruito la casa nella quale abitava con la sua famiglia; di essere coltivatore diretto, illustrando di coltivare il fondo de quo, direttamente ed abitualmente, nonché con l’aiuto della sua famiglia, da dieci anni; di non aver venduto nel biennio precedente altri fondi rustici; che la forza lavorativa del suo nucleo familiare non era inferiore ad un terzo di quella occorrente per la coltivazione del fondo di sua proprietà.

Riteneva, pertanto, di avere il diritto di prelazione, ai sensi della l. n. 817/71, sul fondo venduto dal ***, il quale aveva leso il citato diritto non notificandogli la relativa proposta di alienazione, in violazione di quanto statuito dall’art. 8 della l. n. 817/71.

Affermava ulteriormente di aver manifestato invano agli acquirenti, con lettera raccomandata A/R del 23.04.2004, la volontà di esercitare il riscatto del fondo menzionato, rimborsando loro le somme spettanti per legge.

Si costituivano in giudizio *** e ZZZ chiedendo il rigetto delle domande attoree. Illustravano: che con contratto preliminare di compravendita del 14.02.2004 *** si era obbligato a vendere a ZZZ, che aveva promesso di acquistare per sé o per altra persona da nominare, il terreno agricolo indicato dall’attore, al prezzo di euro 43.898,84; che il promittente venditore aveva espressamente dichiarato che l’immobile era libero da pesi; che il 15.03.2004 il *** aveva venduto ad essi convenuti l’immobile in questione, dichiarando che fosse libero da diritti di prelazione; che il terreno dell’attore, di circa 900 mq, non era suscettibile, per la limitata estensione di sfruttamento economico, ed era altresì interessato da fabbricati. Escludevano, di conseguenza, che sussistessero in capo al *** i requisiti di legge, non potendo, lo stesso, vantare alcun diritto di prelazione.

Chiedevano la chiamata in causa di ***, al fine di essere tenuti indenni da costui in caso di eventuale accoglimento della domanda attorea.

Autorizzata la chiamata del terzo, si costituiva in giudizio ***, contestando la domanda dell’attore e chiedendone il rigetto, stante la carenza, in capo allo stesso, dei requisiti di cui all’art. 7 della l. n. 817/71.

Precisava, inoltre, che, per rapporti di buon vicinato, aveva avvisato il YYY della sua volontà di alienare il terreno oggetto di giudizio, ma che la proposta dell’attore, che ammontava ad euro 30.000,00, era inferiore rispetto alle condizioni alle quali il *** intendeva trattare. Precisava che il prezzo dichiarato nell’atto di compravendita doveva ritenersi fittizio, corrispondendo quello realmente versato dai convenuti ad euro 43.898,84.

Nelle more dell’instaurazione del contraddittorio, YYY chiedeva il sequestro giudiziario del fondo oggetto di causa, affermando che dopo la notificazione dell’atto di citazione i convenuti avevano intrapreso sul terreno lavori di movimento terra ed escavazione, creando un dislivello di 12 metri rispetto al fondo di esso attore, facendo venir meno la naturale omogeneità dei fondi limitrofi, impedendo una unitaria ed efficiente coltivazione degli stessi, e facendo sorgere il fondato pericolo di danni per il terreno di sua proprietà.

A detta domanda resistevano sia i convenuti sia il terzo chiamato.

Con ordinanza del 13.08.2004, veniva disposto sommario accertamento tecnico sui luoghi; con ordinanza del 09.05.2005, veniva disposto il sequestro giudiziario dell’immobile, e veniva nominato custode l’attore.

Nelle more anche i convenuti formulavano istanza di sequestro conservativo dell’immobile sito in Messina, via , n. 2, in comunione indivisa tra *** e la moglie, per la quota di pertinenza al ***, fino alla concorrenza di euro 80.000,00. La domanda veniva rigettata per insussistenza del periculum in mora.

All’udienza del 17.09.2008, il giudizio veniva interrotto per la morte di ***, venendo successivamente riassunto ad opera dell’attore.

Si costituivano in giudizio ***, nonché ZZZ, KKK, JJJ, SSS e LLL, eredi di ***.

Si procedeva all’istruttoria orale della causa, ma, all’udienza del 22.10.2010, il giudizio veniva nuovamente interrotto per il decesso di *** e poi riassunto sempre ad opera dell’attore. Si costituivano in giudizio i convenuti, nonché XXX, vedova di ***, eccependo la nullità della notificazione dell’atto di riassunzione, poiché compiuta impersonalmente nei confronti degli eredi del ***; nel merito insistevano nelle difese già svolte. Con provvedimento del 23.07.2012, veniva disposta la rinnovazione della notificazione della riassunzione nei confronti degli eredi ***. Proseguiva l’istruttoria orale della causa e, assicurato il contraddittorio sull’attività svolta dal custode, con provvedimento del 12.05.2014, la causa veniva rinviata, per la precisazione delle conclusioni, all’udienza del 03.12.2014, e poi per discussione orale all’udienza del 28.10.2015.

A codesta udienza, revocata l’ordinanza che aveva disposto la trattazione orale della controversia, e disposta la trattazione scritta, la causa veniva trattenuta in decisione, assegnando i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Con sentenza emessa in data 15.02.2016 e pubblicata in data 17.02.2016, il Tribunale di Messina: accoglieva la domanda di YYY e, per l’effetto, disponeva il trasferimento del bene sito in Messina, contrada Baglio – catastalmente individuato al Foglio, Particella – oggetto del contratto di compravendita per Notar del 15.03.2004, rep. n., trascritto in data 01.01.2001, nn., in favore di YYY; subordinava il menzionato trasferimento al pagamento del prezzo di euro 1.500,00 da parte di YYY nei confronti dei convenuti ZZZ, KKK, JJJ, SSS e *** in solido; accoglieva la domanda dei convenuti e, per l’effetto, condannava i terzi chiamati XXX, nella qualità di erede di ***, e gli altri eredi di ***, in solido, al pagamento della somma di euro 42.398,00 in favore dei convenuti in solido; condannava i convenuti in solido al pagamento nei confronti dell’attore delle spese di lite, che liquidava in complessivi euro 13.673,00, oltre iva e cpa come per legge, e spese generali nella misura del 15%; condannava i terzi chiamati in solido al pagamento nei confronti dei convenuti in solido delle spese di lite, che liquidava in complessivi euro 13.673,00, oltre iva e cpa come per legge, e spese generali nella misura del 15%; Poneva le spese di CTU definitivamente a carico dei terzi chiamati in solido; disponeva la cessazione del sequestro giudiziario disposto con ordinanza del 09.05.2005.

Con atto di citazione notificato XXX, nella qualità di erede di ***, proponeva appello avverso la predetta sentenza, preliminarmente chiedendone la sospensione dell’efficacia esecutiva.

Si costituiva YYY, eccependo, preliminarmente, il difetto in capo all’appellante dell’interesse ad agire nei suoi confronti, chiedendo dunque la declaratoria di inammissibilità dell’appello, e, in via subordinata, il rigetto nel merito.

Si costituivano ZZZ, in proprio e nella qualità di erede di ***, nonchè KKK, JJJ, SSS e LLL, tutti nella qualità di eredi di ***, chiedendo l’accoglimento dell’appello proposto da XXX.

Con ordinanza del 19.05.2017, la Corte, ritenuta l’insussistenza dei presupposti per la declaratoria di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., e rigettata parimenti l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza, rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni.

All’udienza del 13.06.2022, dopo alcuni rinvii, si procedeva, su richiesta delle parti, a discussione orale della causa, la quale veniva posta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Con il primo motivo di gravame, l’appellante lamenta che il primo giudicante abbia errato a non dichiarare l’estinzione del giudizio di primo grado, dovendosi considerare nulla la notifica dell’atto di citazione in riassunzione, effettuata dal YYY, non essendo pervenuta ad alcuno degli eredi del ***.

Espone, difatti, che l’atto risulti ricevuto, come può chiaramente evincersi dall’avviso di ricevimento della citata notifica, da persona non meglio identificata, qualificatasi quale “padre del defunto sig. ***”, il quale, tuttavia, era deceduto decenni prima.

Sostiene, di conseguenza, che il primo giudice abbia errato a concedere al YYY la facoltà di rinnovare la notifica sul presupposto che la relata risultasse illeggibile.

Aggiunge, inoltre, che la rinnovazione non poteva essere disposta d’ufficio, in quanto l’odierna appellante aveva omesso di proporre istanza di rinnovazione della notifica entro la scadenza del termine concesso dal giudicante, non provvedendovi neanche successivamente, nelle udienze del 12.12.2011 e dell’11.06.2012.

Sostiene, alla luce di quanto argomentato, che il primo giudice avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del giudizio, essendo nulla la prima notifica effettuata dal YYY, ed essendo intervenuta la seconda dopo circa due anni dall’interruzione del giudizio, quindi oltre il termine perentorio entro il quale deve procedersi alla riassunzione.

2- Con il secondo motivo di gravame l’appellante lamenta che il primo giudicante abbia errato a ritenere che sia stata raggiunta la prova, all’esito del giudizio di primo grado, in ordine alla sussistenza, in capo al YYY, della qualifica di coltivatore diretto, risultando del tutto carenti, di converso, i presupposti di fatto e di diritto necessari ai fini del corretto esercizio dell’azione di riscatto agrario da parte dello stesso YYY.

Evidenzia, difatti, che il terreno di proprietà dell’odierno appellato, come può anche evincersi dalla CTU espletata, sia iscritto al Nuovo Catasto Edilizio Urbano, ove vengono censite le costruzioni urbane e rurali, con relative pertinenze e dipendenze, a differenza del Catasto dei Terreni, ove vengono invece censiti tutti i suoli agricoli.

Aggiunge che la particella 1960, di proprietà del YYY, sia indicata catastalmente con la dicitura “Ente urbano”, variando la destinazione del terreno, pertanto, da suolo agricolo a suolo utilizzato ad altri fini.

Afferma, di conseguenza, che il YYY non sia mai stato coltivatore diretto, non essendo titolare di alcun fondo rustico; egli, al contrario, è proprietario di un piccolo terreno, confinante con il terreno venuto dal *** ai KKK JJJ SSS LLL, la cui superficie è occupata per buona parte da una villa per civile abitazione, alla quale accede, quale pertinenza, una residua area di estensione insufficiente per qualificare il fondo come rustico coltivato.

Sotto altro ma connesso profilo, l’appellante richiama la relazione peritale, dalla quale emerge: che il terreno di proprietà del YYY sia esteso per mq. 850, di cui 500 mq. edificati, con una porzione residua di mq. 350 occupata da orto irriguo, rientrante nella classificazione agronomica di “orti familiari”, la cui produzione è destinata prevalentemente all’autoconsumo; che la sua coltivazione richieda un grande impegno di manodopera; che il reddito annuo ricavabile sia presumibilmente pari ad euro 703,05, quindi euro 58,58 al mese.

Sostiene, pertanto, che il diritto di prelazione agraria non spetti a chi sia proprietario, come il YYY, di una casa di civile abitazione con annessi aia, stalla e piccolo orto confinante con il fondo oggetto di compravendita, trattandosi di immobile inidoneo a configurare un terreno coltivato.

Afferma che, pur laddove non si abbia riguardo all’estensione del terreno di colui che esercita la prelazione od il riscatto, esso deve comunque essere un terreno oggetto di attività produttiva, ed il YYY mai ha provato che dalla coltivazione del suo terreno abbia tratto un reddito, né di poterne trarre in futuro con l’accorpamento del terreno oggetto di riscatto.

L’appellante censura ulteriormente la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto sia che il YYY abbia coltivato personalmente il proprio fondo, talvolta avvalendosi dell’aiuto dei figli, sia che la forza lavoro impiegata fosse compatibile con la limitata estensione del terreno.

Aggiunge che il Tribunale non ha considerato che, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 590/1965, al fine di verificare il rispetto del rapporto che deve intercorrere tra la capacità lavorativa della famiglia del coltivatore diretto ed il fabbisogno relativo alla coltivazione dei terreni, bisogna tenere conto sia del fondo che il coltivatore diretto intende acquistare nell’esercizio della prelazione, sia dei fondi che sono già di sua proprietà.

Sostiene che il YYY, di contro, non abbia provato che la capacità lavorativa della sua famiglia sia sufficiente a garantire la coltivazione di una superficie non inferiore ad un terzo del fabbisogno per la coltivazione di entrambi i terreni, quello già di sua proprietà e quello oggetto del riscatto, presupposto per il legittimo esperimento dell’azione di retratto agrario, richiamato dal summenzionato art. 8 della l. n. 590/1965.

Afferma, quindi, che appaia oltremodo improbabile che il YYY, unitamente ai suoi familiari, i quali non sono dediti alla coltivazione, passa sopperire alle necessità di coltivazione e manutenzione dei suddetti fondi, i quali, accorpati, occuperebbero un’area di dimensione pari a mq. 1.270. Sostiene pertanto che la forza lavoro del YYY e della sua famiglia non possa costituire almeno un terzo di quella occorrente per le normali esigenze di coltivazione dei fondi, così venendo meno uno dei requisiti richiesti dalla legge per l’esperimento dell’azione di retratto agrario. L’appellante rileva, ancora, che il YYY non abbia provato di non aver alienato nel biennio precedente altri fondi rustici, ulteriore requisito legislativo per l’esperimento dell’azione di riscatto. Sul punto, ha errato il primo giudicante a ritenere sussistente tale requisito, erroneamente basandosi sulle dichiarazioni rese dai testi escussi nel corso del giudizio di primo grado, i quali si erano limitati a riferire di non aver conoscenza in ordine all’eventuale vendita di fondi rustici da parte del ritraente. Alla luce delle summenzionate censure, parte appellante sostiene, pertanto, che il primo giudicante abbia errato a ritenere sussistenti, nella fattispecie in esame, tutte le condizioni previste dalla legge ed in presenza delle quali il coltivatore diretto può esercitare la prelazione; il Tribunale, contrariamente, avrebbe dovuto rilevare che il YYY abbia omesso di dimostrare nei termini di legge i presupposti per il riscatto agrario.

3- Con il terzo motivo di gravame l’appellante sostiene che il primo giudice abbia errato a ritenere che il YYY non sia stato destinatario della c.d. denuntiatio, avente ad oggetto la proposta di alienazione del fondo agricolo oggetto di causa.

Osserva, difatti, che il ***, anteriormente alla vendita del terreno ai ***, aveva comunicato al YYY, nell’ambito di rapporti di vicinato ed amicizia, ma non perché vi fosse obbligato, la propria intenzione di vendere, chiedendogli se fosse interessato e così concedendogli la preferenza nella vendita. Il YYY, tuttavia, non trovando un accordo sul prezzo, aveva dichiarato di non essere interessato e di rinunciare, lasciando libero il *** di trovare un altro acquirente.

Sostiene che la comunicazione verbale dell’invito ad esercitare la prelazione sia ammessa dalla giurisprudenza (e che possa quindi legittimamente avvenire con modalità diverse da quelle previste dall’art. 8 l. n. 590/1965), e che la prova in ordine al compimento di tale formalità da parte del *** sia stata offerta e raggiunta, a mezzo dei testi escussi in primo grado, contrariamente a quanto ritenuto dal giudicante.

4- Con il quarto motivo di gravame l’appellante lamenta che il Tribunale abbia errato a considerare coltivatore diretto, ai fini della prelazione, colui il quale si dedica alla coltivazione del fondo senza che dallo stesso tragga alcun reddito, poiché il diritto di prelazione del proprietario confinante trova la sua giustificazione nella volontà del legislatore di favorire una gestione produttiva del fondo agricolo, garantendo al coltivatore diretto la possibilità di ampliare la sua impresa di diretta coltivazione, traendone un reddito.

Sostiene, difatti, che il YYY, nella sua qualità di custode giudiziario, non abbia provato di aver mai tratto un reddito dalla coltivazione del residuo terreno di sua proprietà, né di poterne trarre uno con l’accorpamento del terreno oggetto di riscatto.

Rileva, di contro, che dall’esame delle relazioni semestrali, relative al periodo intercorrente tra il 2005 ed il 2015, si desuma chiaramente che la coltivazione del terreno agricolo oggetto di riscatto sia stata sistematicamente, ogni anno, in perdita, e che se si considera la manodopera necessaria in seguito all’accorpamento della superficie di mq. 920 (estensione del terreno oggetto del riscatto) con i 350 mq. del lotto familiare di proprietà del YYY, appaia improbabile che possa essere raggiunta una adeguata autonomia produttiva in relazione alle esigenze di una piccola proprietà contadina, in conformità alla ratio della legge sulla prelazione agraria del confinante.

Anche sulla scorta di tali considerazioni il primo giudice avrebbe dovuto rigettare la domanda di retratto agrario.

5- Con il quinto motivo di appello, l’appellante sostiene, in conseguenza alle ragioni argomentate a mezzo dei superiori motivi di gravame, che il primo giudice abbia errato a condannare la Blandino e gli eredi del *** al risarcimento del danno nei confronti dei ***, poiché nessuna garanzia per evizione poteva riconoscersi a tutela dei predetti, non sussistendo il diritto del YYY al riscatto agrario.

6- Con il sesto motivo di gravame, l’appellante lamenta che il primo giudice abbia errato a condannare la XXX e gli eredi del ***, in solido, al pagamento delle spese di lite e di CTU del primo grado di giudizio.

Sostiene che, in applicazione del principio della soccombenza, il YYY va condannato, invero, al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Afferma, in subordine, che, dalla sentenza impugnata, si evinca che l’importo effettivamente dovuto dal YYY ai KKK JJJ SSS LLL-ZZZ per l’acquisto del terreno oggetto di causa sia pari ad euro 1.500,00, e non alla maggiore somma di euro 43.898,84. Rileva, pertanto, che non si comprende il motivo per cui l’odierna appellante dovrebbe corrispondere al YYY, per spese, euro 13.673,00, importo eccessivo e spropositato rispetto al prezzo di euro 1.500,00 per il riscatto del fondo agricolo, così come quantificato dallo stesso giudice di prime cure.

7- In via preclusiva ed assorbente di ogni altra questione (di cui ne è superfluo, perciò, l’esame) l’appello va dichiarato inammissibile, non essendo legittimata, l’odierna appellante, ad impugnare la sentenza gravata.

Ed infatti, la carenza di legittimazione attiva in capo all’appellante deriva, quale diretta conseguenza, dalle peculiarità che caratterizzano, da una parte, sul piano del diritto, l’istituto del retratto agrario, e, dall’altra, lo svolgimento del presente giudizio.

In ordine al primo punto, imperniato sulla disciplina normativa della domanda di riscatto agrario, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con una risalente pronuncia, hanno avuto modo di chiarire, in punto di legittimazione, che “legittimato passivamente all’azione di riscatto agrario – ai sensi dell’art. 8 della l. 26 maggio 1965 n. 590 – è esclusivamente l’acquirente (nonché “ogni altro successivo avente causa”) e non anche il venditore, che può, eventualmente, essere chiamato in giudizio dall’acquirente per far valere la c.d. garanzia impropria, e nei cui confronti, non si pone, pertanto, un problema di litisconsorzio necessario di carattere sostanziale” (Cass. Civ., sez. Unite, n. 5895/1997). All’orientamento de quo si conformano unanimemente, in assoluta linea di continuità, le più recenti pronunce del Supremo Collegio. Risulta pertanto ormai pacifico, sia nella giurisprudenza di legittimità, sia in quella di merito, che, ove il giudizio instauratosi in seguito all’esperimento dell’azione di retratto agrario si svolga anche in contraddittorio dell’alienante del fondo, perchè chiamato in garanzia “impropria” dal retrattato, “si verifica un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, nella quale i due giudizi (quello tra retraente e retrattato, da una parte, e tra retrattato e venditore, dall’altra), nonostante la simultaneità del processo, permangono autonomi, sicché in tal caso le difese spiegate dall’alienante per resistere alla domanda del retrattante non possono avere rilievo ai fini dell’esito del giudizio di riscatto tra retraente e retrattato” (Cass. Civ., n. 18644/2011; in precedenza, e negli stessi termini, Cass. n. 26690/2005, Cass. n. 1743/2006 e Cass. n. 973/2009). I richiamati orientamenti giurisprudenziali risultano trancianti rispetto alle questioni poste dal presente giudizio. Esso, difatti, è bene il caso di rammentare, ha avuto origine con l’azione giudiziaria (riscatto agrario) esperita, in primo grado, dal YYY nei confronti, esclusivamente, dei convenuti coniugi ***, acquirenti del fondo oggetto di causa; il venditore del fondo, dante causa dell’odierna appellante, fu invece chiamato in causa dai soli acquirenti, in garanzia impropria. Nel caso di specie, di conseguenza, a seguito delle vicende che hanno caratterizzato l’istaurazione e lo svolgimento del giudizio di primo grado, ed in applicazione dei principi di diritto enucleati dalla summenzionata giurisprudenza di legittimità, risultavano sottoposti alla cognizione del giudice di prime cure, ed ora a codesta Corte, due giudizi che, sebbene trattati simultaneamente nel medesimo processo, permanevano e permangono, tutt’ora, del tutto autonomi. Ed infatti, il YYY, avendo agito esclusivamente nei confronti degli acquirenti, non ha avanzato alcuna pretesa né, tanto meno, alcuna domanda, nei confronti dell’alienante, chiamato in garanzia dai soli convenuti. Opera di conseguenza, quale logico corollario, l’ulteriore principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione, secondo la quale “l’azione di riscatto agrario, in quanto diretta non ad una sentenza costitutiva ma ad un mero accertamento, può essere esperita nei soli confronti del riscattato, senza la necessaria partecipazione dell’alienante, con la conseguente decisione incidenter tantum sulla sussistenza, in capo all’istante, del diritto di prelazione”.

Nel caso sub iudicio, di conseguenza, sulla scorta di tale ricostruzione dell’istituto del riscatto agrario, l’irrilevanza delle difese del venditore in relazione alla posizione del retraente e del retrattato e l’autonomia dei due giudizi (pur simultanei) comportano il difetto di interesse della XXX ad impugnare la decisione in punto di riscatto e, pertanto, l’inammissibilità dell’appello. Fermo restando quanto fin ora argomentato e deciso, è opportuno evidenziare, a margine, che altra sorte avrebbe avuto il presente giudizio, e differentemente si sarebbe atteggiata l’azione di retratto agrario, ove il YYY, retrattante, avesse direttamente agito anche nei confronti del venditore ed originario proprietario del fondo, ***, al fine di fare accertare nei suoi confronti, con forza di giudicato, il proprio diritto di prelazione da cui si riteneva pretermesso. In una siffatta eventualità, difatti, “sussiste l’interesse del venditore medesimo ad impugnare la pronunzia di accoglimento della domanda di riscatto, rispetto alla quale egli è rimasto soccombente, in quanto il riconoscimento del diritto di riscatto in favore del retraente medesimo presuppone di necessità quello del diritto di prelazione” (Cass. Civ., n. 25495/2016).

Giova sul punto richiamare ulteriormente la sentenza n. 24707/2015, resa a Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione, nella quale i giudici di legittimità, dopo aver definito i concetti di “garanzia propria” e “garanzia impropria”, si sono pronunciati sulla questione, di carattere generale, riguardante l’atteggiarsi in sede di gravame del litisconsorzio insorto per effetto di una chiamata in causa del terzo garante, concernente l’ipotesi in cui il rapporto principale oggetto della garanzia sia stato accertato in senso sfavorevole al garantito nel contraddittorio del garante da lui chiamato in causa. Risolvendo la questione negli stessi termini con riguardo a qualsiasi figura di garanzia, sia essa propria, sia essa impropria, il Supremo Collegio ha innanzitutto rilevato che, allorchè il garantito, nell’ambito del giudizio instaurato nei suoi confronti dall’attore, chiami in garanzia il garante, la “causa” originaria proposta dall’attore contro il solo garantito e la “causa” introdotta riguardo ad esso contro il garante (tanto nel caso in cui la chiamata si sia esaurita nella sola richiesta di estensione soggettiva dell’accertamento sul rapporto principale al garante, quanto nel caso in cui ad essa sia stata cumulata la domanda di garanzia), “sono in nesso di inscindibilità nel senso che l’accertamento del rapporto principale che era limitato alle parti originarie, per effetto della chiamata, l’accertamento dell’oggetto della prima causa è divenuto un accertamento da svolgere con l’assicurazione della legittimazione a contraddire del terzo. Parlare di due cause distinte è, dunque, privo di fondamento: la causa originaria è evoluta sul piano soggettivo nel senso che la chiamata ha determinato l’estensione al garante della legittimazione a contraddire su di essa”. Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha dunque ritenuto che, nelle ipotesi descritte, data la natura inscindibile delle cause, e potendo produrre effetto di giudicato, nei confronti del garante, quanto statuito dal primo giudicante in ordine all’azione proposta dall’attore nei confronti del garantito, il garante stesso è portatore un proprio ed autonomo interesse ad impugnare la sentenza di primo grado che determini la soccombenza del garantito e, per l’effetto, l’accoglimento, nei rapporti intercorrenti tra garante e garantito, della domanda di garanzia, con contestuale soccombenza del garante.

Ebbene, alla luce del principio di diritto sancito dai giudici di legittimità nella suddetta pronuncia, può evincersi che un’ipotesi di cause inscindibili, in caso di esperimento di un’azione di retratto agrario, possa aversi solo con riguardo all’eventualità in cui il retraente agisca non solo nei confronti dell’acquirente del fondo, ma anche nei confronti dell’alienante, al fine di fare accertare nei suoi confronti, con forza di giudicato, il proprio diritto di prelazione da cui si ritenga pretermesso. In presenza di tali circostanze, come già evidenziato, in caso di accoglimento dell’azione proposta dal retrattante, sussiste un concreto ed attuale interesse in capo al venditore all’impugnazione della sentenza di primo grado, rispetto alla quale egli risulta soccombente.

Qualora, di contro, come avvenuto nel caso di specie, l’attore retrattante agisca esclusivamente nei confronti dell’acquirente retrattato e, in seno al giudizio così instauratosi, l’acquirente chiami in garanzia “impropria” l’alienante, non viene ad instaurarsi un rapporto di inscindibilità tra i due giudizi, con la conseguenza che il venditore non ha alcun interesse ad impugnare un’eventuale sentenza di accoglimento della domanda di retratto esperita dall’attore nei solo confronti dell’acquirente. Ed infatti, come ancora evidenziato dalla Corte di Cassazione “la sentenza che provvede sulla domanda di retratto agrario ha carattere di accertamento in ordine alla sostituzione del retraente all’acquirente del fondo e, poiché l’alienante non ha interesse giuridico a tale modifica soggettiva, esso non è litisconsorte necessario nel relativo diritto”, e, pertanto, l’accertamento dei presupposti per far luogo al riscatto va condotto solo nel rapporto tra retraente ed acquirente (Cass. Civ., n. 8776/2005). Ed ancora “l’irrilevanza delle difese del venditore in relazione alla posizione del retraente e del retrattario e l’autonomia dei due giudizi ( pus simultanei), comportano il difetto di interesse dell’appellante ad impugnare la decisione in punto di riscatto, per cui l’impugnazione risulta inammissibile” ( vedi Cass Civ n 25495/2016).

È bene il caso evidenziare che la XXX, pur non essendo legittimata ad impugnare le statuizioni della sentenza di primo grado relative alla causa intercorrente tra il YYY ed i convenuti, avrebbe potuto impugnare il capo della medesima sentenza riguardante la causa intercorrente, per effetto della chiamata in garanzia, tra di essa ed i convenuti medesimi. Risulta, tuttavia, che l’odierna appellante non abbia mosso effettive ed autonome censure nei confronti delle statuizioni in parola, limitandosi a chiedere, genericamente, ed in conseguenza dell’accoglimento dell’appello proposto nei confronti del YYY, il rigetto della domanda di rivalsa proposta nei suoi confronti dagli acquirenti KKK JJJ SSS LLL-ZZZ.

Appare necessario effettuare, a margine, un’ulteriore precisazione in merito al sesto motivo di gravame, a mezzo del quale l’appellante censura la sentenza di primo grado relativamente al capo che ha statuito sulle spese processuali, lamentandone l’erroneità nella parte in cui la XXX stessa è stata condannata a corrispondere al YYY euro 13.673,00 per spese.

Ebbene, deve rilevarsi che, contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, alcuna statuizione in merito alle spese processuali del primo grado di giudizio è data rinvenirsi tra il YYY e la XXX.

A ben vedere, difatti, applicando il principio generale di soccombenza, il giudice di prime cure ha condannato i convenuti, ZZZ e gli altri eredi di ***, in solido, al pagamento nei confronti dell’attore, YYY, delle spese di giudizio, data la soccombenza dei medesimi rispetto all’azione di retratto agrario esperita da parte attrice. Statuizione, questa, che l’odierna appellante, ictu oculi, non ha alcun interesse ad impugnare.

Con riferimento ai rapporti intercorrenti tra i convenuti e la XXX, invece, il primo giudicante, sempre applicando, correttamente, il principio di soccombenza, stante l’accoglimento della domanda di garanzia articolata dai convenuti nei confronti della XXX, ha condannato quest’ultima al pagamento delle spese di giudizio, correttamente liquidate in relazione al valore della causa intercorrente tra le parti.

Alla luce di quanto argomentato, e per i motivi evidenziati, deve dunque dichiararsi l’integrale inammissibilità dell’appello proposto dalla XXX.

8- In merito alla richiesta di condanna per responsabilità ex art. 96 c.p.c., commi 1 e/o 3, articolata dal YYY nei confronti, da una parte, di XXX e, dall’altra, di ZZZ, KKK, *** e ***, tutti quali eredi di ***, deve rilevarsi che non ne sussistono i presupposti per l’accoglimento. Essa va, pertanto, rigettata.

Nello specifico, l’art. 96, comma 1, c.p.c., prevede quanto segue: “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza”; al terzo comma, invece, statuisce che “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

La Corte ritiene che osti all’accoglimento della domanda di risarcimento danni, ai sensi dell’art. 96, comma 1 c.p.c., la carenza, in capo ai soccombenti, tanto del profilo della male fede, quanto di quello della della colpa grave, la cui sussistenza, di contro non è stata provata dal YYY.

Quanto all’art. 96, comma 3, c.p.c., esso prevede una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata previste dai commi 1 e 2 dello stesso articolo, volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale. La sua applicazione, per consolidato orientamento giurisprudenziale, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (Cass. Civ., n. 20018/2020; n. 3830/2021). Come ribadito anche di recente dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. III, ordinanza 04/08/2021, n. 22208), l’impugnazione deve essere, compatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art. 6 CEDU) e dall’altra, “deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie”.

Anche in merito a tali profili, la Corte non ritiene che sussistano i presupposti richiamati dalla disposizione in esame, necessari ai fini di una statuizione di condanna.

Ed infatti, non può ritenersi che l’appellante ed i KKK JJJ SSS LLL-ZZZ abbiano adottato una condotta oggettivamente qualificabile in termini di “abuso del processo”, soprattutto laddove si consideri la complessità e la rilevanza delle questioni oggetto di appello.

Al rigetto dell’appello segue la condanna dell’appellante al pagamento, nei confronti del YYY, delle spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo in applicazione, secondo lo scaglione del dichiarato valore, dei parametri di cui al D.M. 55/2014. Nei rapporti tra la XXX e ZZZ, ***, KKK, JJJ, SSS e LLL, in considerazione che quest’ultimi si sono costituiti sostenendo le ragioni dell’appellante, le spese del presente grado di giudizio devono invece essere compensate per l’intero.

Va dato atto, altresì, della ricorrenza dei presupposti per porre a carico dell’appellante il pagamento di un ulteriore importo pari a quello rispettivamente dovuto a titolo di contributo unificato, giusto quanto disposto dall’art. 1 commi 17 e 18 L. 288/2012, trattandosi di procedimento iniziato dopo l’1Febbraio 2013.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Messina, Prima Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 155/2016 R.G. sull’appello proposto da XXX avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Messina in data 15.02.2016 e pubblicata in data 17.02.2016, nei confronti di YYY e ZZZ, KKK, JJJ, SSS e LLL, così provvede:

1) dichiara inammissibile l’appello;

2) condanna l’appellante alla rifusione delle spese di questo grado di giudizio, in favore di YYY, che liquida in complessivi euro 6.615,00 (euro 1.960,00 per la fase di studio; euro 1.350,00 per quella introduttiva; euro 3.305,00 per quella decisionale), oltre rimborso spese generali nella misura di legge, cpa ed iva;

3) compensa integralmente le spese di questo grado di giudizio tra XXX e ZZZ, KKK, JJJ, SSS e LLL;

4) dà atto della dei presupposti per porre a carico dell’appellante il pagamento di un ulteriore importo pari a quello rispettivamente dovuto a titolo di contributo unificato e manda la Cancelleria per gli adempimenti relativi alla riscossione.

Così deciso in Messina nella camera di consiglio del 17.02.22

Il presidente Rel

Si da atto che la presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del Funzionario del Processo Dott..

 

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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