Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1350 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1350 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19621/2022 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in Lucca INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in LUCCA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
nonchè contro
NOME
-intimato – avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 275/2022 depositata il 15/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato, COGNOME NOMECOGNOME quale titolare dell’impresa edile artigiana ‘RAGIONE_SOCIALE‘, conveniva davanti alla Corte di Appello di Firenze la Cassa Edile Lucchese, nonché i suoi presidenti pro tempore, COGNOME NOME e COGNOME NOME e il direttore e responsabile privacy COGNOME NOMECOGNOME proponendo appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Lucca aveva respinto
tutte le domande di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali asseritamente subiti, come conseguenza della illegittima divulgazione da parte della Cassa Edile Lucchese di dati relativi alla propria posizione economica e debitoria a dipendenti e ai committenti, nonché a seguito della comunicazione della dichiarazione di irregolarità a CERT Firenze, con omesso rilascio del DURC.
Il Tribunale aveva ritenuto inammissibili tutte le domande nuove proposte da COGNOME con la memoria 183 co VI n° 1 c.p.c. e aveva dichiarato la decadenza ex art 1957 c.c. delle pretese risarcitorie proposte nei confronti dei vari legali rappresentanti della Cassa Edile, ritenendo trattarsi di obbligazioni di garanzia assimilabili alla fideiussione e facendo decorrere il dies a quo dalle date delle comunicazioni asseritamente illegittime, ritenendo irrilevante il momento in cui la parte avrebbe avuto la percezione del danno subito. Con riferimento alle domande risarcitorie proposte nei confronti della Cassa Edile in relazione alla prolungata negazione del DURC positivo, ne affermava l’infondatezza, attesa la legittimità delle comunicazioni delle irregolarità contributive fatte dalla Cassa alla BNI (banca dati nazionale delle imprese irregolari) prima della proposizione del ricorso monitorio, nonché la mancanza di prova delle comunicazioni alla nuova Cassa CERT.
In proposito il Tribunale di Lucca aveva evidenziato che, quando era stato emesso il decreto ex art. 700 c.p.c., con ordine di revoca della segnalazione di irregolarità a BNI, la Cassa Edile Lucchese non aveva più il potere di emettere il DURC nei confronti della ditta COGNOME, che si era nel frattempo iscritta ad altra Cassa Edile (la CERT, appunto). Quanto al periodo antecedente al procedimento monitorio, il primo giudice aveva evidenziato -invece- che, non essendo il credito relativo alla regolarità contributiva, la comunicazione fatta in tale fase a BNI costituiva atto dovuto e dunque legittimo. Rispetto alla domanda di risarcimento danni conseguenti alle intervenute
comunicazioni della irregolarità contributiva ai dipendenti e ai committenti, aveva ritenuto insussistente il nesso causale con i danni lamentati. L’infondatezza della domanda doveva essere ravvisata anche con riferimento all’intervenuta e rituale prestazi one del consenso da parte del COGNOME al trattamento dei propri dati personali da parte di Cassa Edile Lucchese.
Avverso tale sentenza proponeva appello COGNOME NOME per i seguenti motivi: 1) erroneità nella parte in cui ha ritenuto che la condotta della Cassa Edile non avesse determinato il mancato rilascio di DURC regolare; evidenziava in proposito che se era vero che successivamente all’iscrizione della ditta COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE, era questa che doveva materialmente rilasciare il DURC, la Cassa Edile di Lucca aveva omesso di far risultare la regolarità della posizione contributiva della ditta COGNOME in pendenza del giudizio avente ad oggetto i relativi pagamenti, così violando l’art. 8 DM 24.10.2008, omettendo altresì di procedere ai successivi aggiornamenti, ed anche alla revoca della segnalazione di irregolarità, fino alla pronuncia del provvedimento ex art. 700 c.p.c.; 2) omessa valutazione delle comunicazioni delle irregolarità contributive fatte dalla Cassa Edile Lucchese, durante la pendenza del giudizio di merito, nei confronti degli enti locali con i quali la ditta RAGIONE_SOCIALE aveva cantieri attivi, tutte risultanti da ll’espletata istruttoria, con particolare riferimento al Comune di Capannori e che determinavano la sospensione di tutti i lavori in corso; 3) erronea valutazione dell’informativa sulla privacy sottoscritta dal COGNOME; 4) errore della dichiarazione di decadenza dell’azione di risarcimento nei confronti dei legali rappresentanti ex art. 1957 c.c. con riferimento alla errata individuazione del dies a quo, che avrebbe dovuto coincidere con la pronuncia sul ricorso ex art 700 c.p.c. (ordinanza del 23.04.2015), momento in cui l’obbligazione sarebbe divenuta certa nella sua esistenza e nel suo ammontare, con conseguente tempestività dell’atto di citazione.
Radicatosi il contraddittorio, si costituivano Cassa Edile Lucchese, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME che contestavano le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale chiedevano la conferma. Il giudizio di appello veniva interrotto per la morte di COGNOME NOME e riassunto nei confronti degli eredi COGNOME NOME ed NOME, i quali, nel riportarsi a quanto argomentato, dedotto ed eccepito nella comparsa di costituzione e risposta di NOME COGNOME, insistevano per l’accoglimento delle medesime conclusioni.
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 15.2.22 rigettava l’impugnazione provvedendo sulle spese.
Avverso tale decisione NOME propone ricorso cassazione affidandosi a tre motivi. Resistono con separati controricorsi, Cassa Edile Lucchese, NOME ed NOME COGNOME e NOME COGNOME Le parti resistenti depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce la violazione ed errata applicazione dell’art. 8 del D.M. 24/10/2007 (poi sostituito dall’art. 3, comma 2 del D.M. 30 gennaio 2015) ex art. 360, n. 3 c.p.c. (punto n. 2 della sentenza impugnata). La Corte di Appello di Firenze ha ritenuto che il mancato ottenimento del DURC da parte della ditta RAGIONE_SOCIALE, anche dopo l’instaurazione del giudizio sul credito contributivo vantato dalla Cassa Edile Lucchese, non fosse dipeso da condotte imputabili alla Cassa.
L’interpretazione offerta dalla Corte di Appello di Firenze sarebbe errata poiché, secondo il ricorrente, nel presente giudizio non si discute della legittimità dell’originaria segnalazione di irregolarità, né il fatto che, nelle more del giudizio sul credito vantato dalla Cassa Edile, il ricorrente si fosse iscritto presso il CERT di Firenze e che, dunque, fosse questo il soggetto legittimato al rilascio del DURC. Si discute, al contrario, se in forza dell’art. 8, comma 2 del D.M. 24/10/2007, dopo l’instau razione del giudizio sulla fondatezza del
credito rivendicato dalla Casse Edile Lucchese, questa avesse o meno un obbligo di rimozione e/o rettifica della segnalazione di irregolarità contributiva a suo tempo fatta. Secondo il ricorrente la Cassa Edile Lucchese aveva tale obbligo in ragione della ratio del richiamato art. 8 comma 2 che così dispone: ‘Relativamente ai crediti non ancora iscritti a ruolo: (…) b) in pendenza di contenzioso giudiziario, la regolarità è dichiarata sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, salvo l’ipotes i in cui l’Autorità giudiziaria abbia adottato un provvedimento esecutivo che consente l’iscrizione a ruolo delle somme oggetto del giudizio ai sensi dell’art. 24 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46’. La ratio di tale norma risiederebbe nella necessità di garantire la regolarità contributiva.
Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, comma 3 e dell’art. 11, lett. a) e c) del D.lgs. 196/2003 -art. 360, n. 3 c.p.c. (punto n. 2 della sentenza impugnata). In particolare, la mancata revoca o rettifica dell’o riginaria segnalazione di irregolarità alla BNI da parte della Cassa Edile, nonostante l’opposizione proposta davanti al giudice, costituirebbe una ulteriore violazione degli art. 7, comma 3 e 11, lette. a) e c) del D.lgs. 196/2003, relativi all’obbligo di aggiornamento dei dati.
La Corte di Appello di Firenze avrebbe errato nel ritenere che l’obbligo di aggiornamento dei dati potesse ricomprendere al suo interno anche il dovere della Cassa Edile Lucchese di revocare la segnalazione di irregolarità alla BNI al verificarsi delle condizioni di cui all’art. 8, comma 2 del D.M. 24/10/2007.
Secondo il ricorrente, se l’aggiornamento dei dati diviene necessario, nel momento in cui si passa da una situazione di presunta irregolarità ad una situazione di regolarità e se, ai sensi dell’art. 8, comma 2, ciò avviene con l’instaurazione da parte di u n giudizio sulla fondatezza o meno della pretesa contributiva, nel momento in cui l’impresa instaura un tale giudizio, attua quell’unica condotta necessaria per consentire alla Cassa Edile di procedere all’aggiornamento dei dati.
Sostiene il ricorrente che la Cassa Edile Lucchese avrebbe potuto procedere all’aggiornamento dei dati del Bonora all’interno della banca dati nazionale delle imprese irregolari (BNI) di iniziativa del ricorrente atteso che, dopo l’ordinanza ex art. 700 c. p.c con cui il Giudice del lavoro di Lucca aveva ordinato alla Cassa Edile Lucchese di rimuovere la segnalazione presso la BNI, questa aveva effettivamente ottemperato, consentendo l’immediato rilascio del DURC del ricorrente.
Con il terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e dell’art. 1957 del Codice civile (punto n. 1 della sentenza impugnata). In merito alla citazione in giudizio di COGNOME e COGNOME la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado dichiarando il ricorrente decaduto ex art. 1957 c.c.
Secondo la Corte territoriale ‘va rilevata la tardività della eccezione di inapplicabilità dell’art. 1957 c.c. alla pretesa risarcitoria nei confronti dei legali rappresentanti della Cassa Lucchese, essendo il perimetro della decisione in sede di appello delimitato dal relativo motivo che, nel caso di specie, investe unicamente la non corretta determinazione del dies a quo’.
Tale profilo rappresenterebbe, al contrario, una c.d. eccezione impropria e, come tale, rilevabile anche d’ufficio, quindi in ogni stato e grado del giudizio, attesa la generale rilevabilità d’ufficio, (eccezioni c.d. in senso lato), ricorrendo invece la necessità dell’iniziativa di parte solo nel caso di esistenza di una eventuale specifica previsione normativa in tal senso.
Infine, sarebbe errata anche l’ulteriore argomentazione della Corte secondo cui la disciplina dell’art. 1957 c.c. sarebbe applicabile alle obbligazioni extracontrattuali. Al contrario, l’art. 1957 del Codice civile sarebbe applicabile alle sole obbligazioni contrattuali, con conseguente esclusione dell’azione risarcitoria del ricorrente, azionata ai sensi degli artt. 2043 ce 2050 c.c.
Rileva questa Corte che tutti i motivi sono inammissibili sotto un duplice profilo. In primo luogo per violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c. in quanto le censure non si confrontano con le argomentazioni della Corte territoriale e non sono specifiche perché la deduzione degli “errori di diritto” è prospettata attraverso la mera indicazione delle norme asseritamente violate, e difetta della precisa critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia e si sostanzia, al contrario, nella prospettazione di una diversa interpretazione più favorevole alla posizione del ricorrente.
In secondo luogo, le doglianze apparentemente strutturate come violazioni di legge, in realtà censurano l’adeguatezza e la coerenza della motivazione e tale profilo avrebbe dovuto più correttamente essere ricondotto all’ipotesi prevista dall’art. 360 n. 5 c.p.c, disposizione che però non è invocabile nel caso di specie, trattandosi di cd doppia conforme ed operando il divieto previsto dall’art. 348 ter quarto e quinto comma c.p.c.
Il primo motivo, in particolare, è altresì inammissibile perché non si confronta con la complessa motivazione della Corte territoriale. Il ricorrente deduce che pur in assenza di un obbligo normativo espressamente contemplato circa la rimozione o rettifica di tali segnalazioni al verificarsi di determinate condizioni, tale obbligo, dovrebbe ritenersi ritenere ‘implicito’ nel disposto dell’art. 8 comma 2.
Il ricorrente contrappone alla ragionevole e logica ricostruzione giuridica della Corte una diversa ricostruzione più appagante.
Va ricordato, a riguardo, che per costante giurisprudenza di questa Corte ‘il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto,
contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità’ (Cass. Lav. 17570 del 21.08.20).
Al contrario, il ricorrente si è limitato a trascrivere alcuni passaggi della sentenza di appello (pag. 9 ricorso), senza individuare i motivi della presunta violazione della norma da parte della Corte d’appello, prospettando una interpretazione estensiva della disposizione ex art. 8 DM 24/10/2007.
Al contrario, la Corte territoriale ha correttamente evidenziato che la segnalazione di irregolarità della ditta Bonora compiuta dalla Cassa Edile alla BNI nel luglio 2013 era legittima. Ha poi affrontato il problema se fosse ‘configurabile a carico di RAGIONE_SOCIALE un obbligo di rettificare la propria dichiarazione di irregolarità contributiva una volta instaurata la causa sulla debenza contributiva e per tutta la durata della stessa’ (pag. 13 della sentenza qui impugnata) rilevando che ‘quanto al l amentato illegittimo mantenimento da parte di Cassa Edile Lucchese di tale dichiarazione, si osserva che: 1) qualora con ciò debba intendersi l’onere di revocare – inteso nel senso letterale di sostituire – la dichiarazione a suo tempo resa a BNI nel 2013, l’assunto deve essere ritenuto infondato, per il semplice fatto che a tale data la dichiarazione di irregolarità contributiva era stata legittimamente resa dalla Cassa Edile nei confronti di Ente a cui aveva il dovere di farla; 2) se si intenda invece in termini di sussistenza di un dovere ‘ufficioso’ della Cassa di emettere una nuova dichiarazione di regolarità contributiva ex art 8 DM cit. non appena instaurata la causa di opposizione al decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento dei contributi, l ‘assunto si presenta privo di fondamento, in mancanza di norme contenenti l’obbligo di una tale attivazione ufficiosa; 3) se infine si ritenga che la Cassa, richiesta di emettere una dichiarazione di regolarità contributiva una volta iniziata la causa, abbia omesso di
farlo, si osserva che, in fatto, non risulta che la ditta RAGIONE_SOCIALE abbia rivolto alla Cassa alcuna espressa richiesta in tal senso.’
Il primo motivo è, ancora, inammissibile ex art. 366 n. 6 c.p.c. difettando la allegazione e trascrizione dei passaggi essenziali della domanda iniziale al fine di consentire alla Corte di individuare la causa petendi del giudizio e i motivi di appello. Ciò in quanto la contestazione del ricorrente (cioè la legittimità o meno della relativa omissione riferita alla Cassa Edile) si riferisce ad un preteso fatto costitutivo risarcitorio nuovo rispetto a quelli introdotti in giudizio. I medesimi profili di novità non preceduti dalla doverosa trascrizione dei passaggi salienti dell’atto introduttivo del giudizio riguardano il secondo motivo.
La censura, infatti, riguarda la pretesa risarcitoria conseguente alla violazione di un obbligo di aggiornamento dei dati di una differente Banca Dati. Di tale domanda non vi è traccia nella sentenza di appello.
Come correttamente dedotto e documentato dai controricorrenti la doglianza iniziale dell’attore riguardava la violazione delle norme sulla privacy, per avere la Cassa inviato la comunicazione di irregolarità contributiva alla banca dati e fatto sottoscrivere alla ditta una informativa sui dati, di natura generica, che non individuava gli scopi del trattamento dei dati sensibili. In sostanza, si trattava di una richiesta di danni per utilizzo improprio dei dati e non anche il mancato adempimento di un asserito obbligo ad aggiornare i dati medesimi.
In ogni caso la Corte Territoriale ha correttamente escluso l’applicabilità dell’art. 7 L 193/2003 al caso di specie, in quanto tale norma ha ad oggetto il diritto all’aggiornamento dei dati personali contenuto nelle banche dati e non prevede un preciso onere di inviare una ulteriore comunicazione per dare corso all’aggiornamento della posizione.
Per il resto la censura presenta i medesimi profili di inammissibilità evidenziati in premessa e riferibili al primo motivo di ricorso. Il ricorrente richiama le disposizioni contenute nel D.lgs. 196/03 deducendone la errata applicazione.
Anche in questo caso la censura del ricorrente non può limitarsi alla indicazione delle norme asseritamente violate, ma deve offrire anche ‘specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità’.
Tali profili difettano del tutto, mancando il percorso argomentativo sull’esatta portata normativa della disposizione asseritamente violata e sui motivi della sua pretesa falsa applicazione.
Anche il terzo motivo è inammissibile, oltre che per quanto detto in premessa, per difetto di specificità non confrontandosi con le argomentazioni della Corte territoriale che, con riferimento al punto decisivo posto dal ricorrente, ha collocato il rapporto in questione in ambito contrattuale con conseguente applicabilità dell’art. 1957 c.c. Il ricorrente non ha evidenziato quale sia il profilo di violazione delle norme in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado.
La Corte ha adottato una doppia motivazione, dapprima affermando la tardività dell’eccezione di non applicazione della dichiarata decadenza della responsabilità extracontrattuale, sollevata solo nella comparsa conclusionale in replica in appello, e poi confermando la infondatezza nel merito delle deduzioni mosse in proposito dal ricorrente riguardo all’applicabilità dell’art. 1957 c.c.
La Corte di appello ha evidenziato che ‘l’impostazione della domanda fatta dall’odierno appellante in atto di citazione di primo grado, laddove i legali rappresentanti della Cassa Edile sono stati convenuti ai sensi dell’art. 38 c.c., per rispondere a tito lo personale e solidale
con l’associazione, dei danni derivanti dalle comunicazioni fatte dalla Cassa Edile e ritenute illecite’.
Ha aggiunto che ‘nel caso di specie non ci si trova dunque di fronte a domanda fatta nei confronti di un’associazione e dei suoi legali rappresentanti per sentirli rispondere di personali condotte illecite perpetrate in occasione della gestione associativa. Pertanto, i legali rappresentanti sono chiamati a rispondere con riferimento ad attività comunque svolte -nei relativi periodi di investitura -nell’espletamento del rapporto di mandato, dunque a causa del rapporto associativo’.
La questione risulta assorbente e non è validamente contestata dal ricorrente il quale ha ritenuto applicabile l’art. 1957 c.c. solo ai rapporti contrattuali ed su tale ambito ha argomentato la Corte territoriale, in linea con il principio giurisprudenziale secondo cui ‘l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione, e che il diritto del terzo creditore è assoggettato alla decadenza di cui all’art. 1957 c.c. secondo i principi riguardanti la fideiussione solidale, per cui non si richiede la tempestiva escussione del debitore principale ma, ad impedire l’estinzione della garanzia, è indispensabile che il creditore eserciti tempestivamente l’azione nei confron ti, a sua scelta, del debitore principale o del fideiussore’ (Cass. n. 11759/2002).
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidandole in favore di ciascun controricorrente in € 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ivi compresi esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte