Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28125 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28125 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29565/2020 R.G. proposto da
NOME , elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
– ricorrente –
contro
BANCA PATAVINA CREDITO RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO,
Oggetto: Intermediazione finanziaria -Obblighi informativi -Obbligazioni Repubblica Argentina -Risoluzione -Obblighi restitutori -Interessi -Mancata adesione OPSV della Repubblica argentina -Applicabilità art. 1227 c.c. – Esclusione
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
Ud. 30/09/2025 CC
presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2649/2020 depositata il 12/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30/09/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 2649/2020, pubblicata in data 12 ottobre 2020, la Corte d’appello di Venezia – decidendo in sede di rinvio, a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 9501/19, pubblicata in data 4 aprile 2019, con la quale era stata cassata la precedente sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1612/2017, pubblicata in data 23 agosto 2017 -ha, previa risoluzione dell’operazione di investimento obbligazioni argentine posta in essere in data 12/16 giugno 1998, condannato BANCA PATAVINA CREDITO RAGIONE_SOCIALE a restituire a COGNOME la somma di € 218.267,80, oltre interessi al tasso legale dal 30 novembre 2006 al saldo.
L’iniziale svolgimento del giudizio era stato così ricostruito da questa Corte nell’ordinanza n. 9501/19:
‘1. – Nel settembre del 2007, NOME COGNOME, unitamente alla moglie NOME COGNOME e ai figli NOME, NOME e NOME, ha convenuto avanti al Tribunale di Padova la Banca di Credito Cooperativo di Sant’Elena, lamentando la nullità di un’operazione in titoli argentini perché compiuta in assenza di valido contratto scritto di
negoziazione e, comunque, a mezzo della violazione, da parte della Banca, di una rilevante serie di doveri di legge e contrattuali.
Con sentenza del maggio 2009, il Tribunale -dichiarata la mancanza di legittimazione attiva di NOME COGNOME, NOME, NOME e NOME COGNOME – ha respinto la domanda di nullità, proposta dagli attori, accertando peraltro l’inadempimento della Banca in punto di inadeguatezza, per l’investitore, dell’operazione posta in essere e altresì liquidando il relativo danno.
2.- NOME COGNOME ha interposto appello avanti alla Corte di Appello di Venezia, contestando la statuizione relativa alla validità dell’operazione, come anche la liquidazione del danno che era stata compiuta. A sua volta, la Banca ha formulato appello incidentale, con riferimento sia alla valutazione di inadeguatezza dell’operazione, sia pure alla quantificazione del danno operata dal giudice di primo grado.
3.- Con sentenza pubblicata 23 agosto 2017, la Corte territoriale ha accolto l’appello principale, con assorbimento del resto.
La pronuncia ha rilevato, in specie, che il contratto quadro di «mandato per la negoziazione, sottoscrizione, collocamento e raccolta degli ordini concernenti valori mobiliari» era stato sottoscritto dal solo NOME COGNOME, senza che vi comparisse la sottoscrizione di alcun funzionario della Banca. E ha ritenuto che il «contratto, per il quale è prescritta la forma scritta ad substantiam dall’art. 23 TUF, è pertanto nullo, mancando della sottoscrizione di uno dei due contraenti». Pure disponendo le re lative restituzioni da indebito.’ .
Proposto ricorso da parte della BANCA PATAVINA CREDITO RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE, questa Corte, con l’ordinanza n. 9501/19 aveva accolto il gravame, ribadendo il proprio orientamento, a mente del quale nel caso del contratto di intermediazione finanziaria sottoscritto dal solo cliente, il requisito della
forma scritta del contratto quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dall’art. 23 del d.lgs. 24/2/1998, n. 58, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti e, conseguentemente, cassando la decisione della Corte veneziana.
Riassunto il giudizio innanzi la Corte d’appello di Venezia, quest’ultima, per quel che rileva nella presente sede, ha:
-affermato la violazione, da parte dell’intermediario, degli obblighi di informazione in tema di inadeguatezza dell’operazione di investimento e rischiosità dello stesso;
-affermato la sussistenza dei reciproci obblighi restitutori conseguenti alla risoluzione dell’operazione di acquisto delle obbligazioni e quindi la necessità di detrarre dalla somma dovuta all’investitore a titolo di restituzione le cedole medio tempore riscosse
-escluso, ai fini del computo degli interessi sulla somma dovuta all’investitore, che sussistesse prova della malafede della Banca;
-affermato la necessità di detrarre ulteriormente dalla somma dovuta all’investitore a titolo di restituzione quanto quest’ultimo avrebbe potuto percepire aderendo alla OPSV formulata dalla Repubblica Argentina.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia ricorre COGNOME.
Resiste con controricorso BANCA PATAVINA CREDITO RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Fissata inizialmente per la decisione l’adunanza del 30 gennaio 2024, la causa è stata rinviata da questa Corte a nuovo ruolo, osservando che ‘Con ordinanza interlocutoria n. 477 dell’ 8 gennaio 2024 è stata rimessa alla pubblica udienza la questione «se, in caso di caducazione contrattuale, trovi limitazione l ‘ applicazione dell ‘ istituto della ripetizione dell ‘ indebito, di cui agli artt. 2033 ss. c.c., quanto alla rilevanza dello stato di buona o mala fede rispetto a parti contraenti che, in forza del contratto, avevano entrambe pieno diritto alla prestazione ricevuta, onde debba escludersi la rilevanza dello stato psicologico dell ‘ accipiens, ai fini della determinazione dell ‘ obbligo restitutorio, che invece – secondo la ratio del rimedio negoziale (nella specie, risoluzione) -dovrebbe decorrere ragionevolmente dall ‘ avvenuta esecuzione della prestazione» ‘ e ritenendo di attendere l’esito di tale decisione.
Il ricorrente ha depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico, articolato, motivo di ricorso si deduce testualmente, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘violazione degli artt. 1375, 1458, 2033, 2038, 1223, 820 e 1148 c.c. e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. in relazione alla ritenuta buonafede della banca, al diritto dell’investitore di ritenere le cedole riscosse in buonafede sino al “default”, nonché alla disposta detrazione dalla somma investita di quanto l’investitore avrebbe potuto ipoteticamente ricavare aderendo alla OPS formulata d all’Argentina nel 2005’ .
Il ricorso censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa:
ha ritenuto non provata la mala fede dell’intermediario ai fini della decorrenza degli interessi sulla somma da restituire;
ha affermato la necessità di dedurre dalla somma oggetto dell’obbligo restitutorio le somme percepite dal ricorrente a titolo di cedole;
ha ulteriormente detratto dalla somma spettante al ricorrente a titolo di ripetizione quanto lo stesso avrebbe potuto percepire aderendo all’OPS formulata dalla Repubblica argentina;
ed argomenta che:
la mala fede dell’intermediario era desumibile dalla violazione degli obblighi informativi e di valutazione dell’adeguatezza al momento dell’effettuazione dell’acquisto delle obbligazioni;
le somme percepite dal ricorrente a titolo di cedole costituiscono frutti che il ricorrente ha percepito in buona fede e che, pertanto, ha diritto a trattenere ex art. 1148 c.c.;
nessun concorso di colpa sarebbe configurabile in relazione alla scelta dell’investitore di non aderire all’OPS formulata dalla Repubblica argentina.
Il ricorso è solo parzialmente fondato.
2.1. Quanto al primo dei profili che il ricorso viene unitariamente a sollevare, lo stesso risulta in primo luogo inammissibile sotto un duplice profilo.
Da un lato, infatti, lo stesso si traduce in un inammissibile sindacato in fatto sulla valutazione operata dal giudice del merito in ordine all’assenza, nel caso concreto, di prova adeguata della mala fede dell’odierna controricorrente.
Dall’altro lato, le argomentazioni del ricorrente omettono di confrontarsi concretamente con la ratio della decisione impugnata, nel
momento in cui quest’ultima ha affermato che ‘l’appellante non ha dato prova della malafede della Banca (il relativo onere incombeva sul COGNOME, anche in considerazione del principio generale di presunzione della buona fede) fra l’altro non censurando l’argomentazione del Tribunale che non si pote va presumere la malafede della Banca fin dal 1998 poiché il default si era manifestato dopo tre anni ( …)’ al punto che la decisione della Corte d’appello su tale profilo si è tradotta in una declaratoria di inammissibilità.
All’inammissibilità delle argomentazioni spese dal ricorrente si viene a sommare, poi, la radicale infondatezza delle stesse, essendosi la Corte territoriale conformata al principio -enunciato da questa Corte -per cui, in tema di intermediazione finanziaria, allorquando sia stata pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento dell’intermediario, la prova della mala fede di quest’ultimo non può reputarsi in re ipsa per effetto dalla mera imputabilità all’intermediario medesimo dell’inadempiment o che abbia determinato la risoluzione del contratto, dovendo quindi il credito del cliente avente ad oggetto il rimborso del capitale investito produrre interessi, in base ai principi in tema di ripetizione dell’indebito, solo con decorrenza dalla proposi zione della domanda giudiziale e gravando, semmai, su chi richiede che gli interessi vengano fatti decorrere dalla data del versamento l’onere di provare che l’intermediario era in mala fede (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3912 del 16/02/2018).
È opportuno precisare che non può invocarsi in senso contrario altra recente pronuncia di questa Corte (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 423 del 08/01/2025): quest’ultima, infatti, senza considerare il precedente del 2018, si è comunque occupata del distinto tema della data di decorrenza, in relazione alla buona o mala fede, dell’importo delle cedole riscosse e non del profilo della restituzione dell’importo versato
per l’investimento, chiarendo in ogni caso che in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, la regola ex art. 2033 c.c. sulla spettanza di frutti e interessi non riguarda quelli previsti dal contratto, che, ove percepiti, costituiscono attribuzioni patrimoniali oggetto di restituzione in ragione della retroattività prevista dall’art. 1458 c.c., ma i frutti e gli interessi che maturano per legge in relazione al bene o alla somma di denaro oggetto di ripetizione.
2.2. Parimenti infondate risultano le deduzioni del ricorrente in relazione all’esclusione, dagli obblighi restitutori, delle somme percepite a titolo di cedole sui titoli.
Questa Corte, infatti, ha già chiarito che, allorquando venga dichiarata la risoluzione del contratto d’investimento in valori mobiliari, si ingenerano tra le parti reciproci obblighi restitutori, dovendo l’intermediario restituire l’intero capitale investito, mentre l’investitore è obbligato alla restituzione del valore delle cedole corrisposte e dei titoli acquistati, secondo la disciplina di cui all’art. 2038 c.c. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 11239 del 29/04/2025; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 2661 del 30/01/2019), comprese, quindi, le cedole eventualmente incassate dall’investitore, dal momento che l’obbligo di loro restituzione costituisce ‘un diretto riflesso dell’effetto caducatorio che si ricollega alla pronunciata risoluzione del contratto’ , come da questa Corte già chiarito (cfr. sempre Cass. Sez. 1 -Ordinanza n. 11239 del 29/04/2025), proprio in relazione alla tesi del diritto alla ritenzione delle cedole medesime come frutti civili.
2.3. Sono invece fondate le doglianze formulate dal ricorrente in relazione al terzo profilo dedotto con il ricorso, e cioè l’applicabilità o meno dell’art. 1227, secondo comma, c.c. all’investitore che abbia rifiutato di aderire all’OPSV formulata dalla R epubblica Argentina.
Questa Corte ha già avuto modo di occuparsi del profilo in questione ed ha chiarito che, in caso di risoluzione del contratto di negoziazione di obbligazioni argentine, la mancata adesione all’offerta pubblica di scambio del governo argentino – pur determinando per il risparmiatore il mantenimento di titoli privi di valore, anziché la consegna in concambio di titoli aventi valore superiore – non rappresenta una condotta rimproverabile ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, c.c., sia perché posto che tale adesione comporta la novazione del rapporto preesistente, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse rispetto alla domanda risolutoria della pregressa operazione di investimento sia perché la disciplina del fatto colposo del danneggiato si applica solo alle fattispecie relative al risarcimento del danno e non alle obbligazioni restitutorie conseguenti alla declaratoria di risoluzione contrattuale (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27378 del 19/09/2022).
La decisione assunta sul punto dalla Corte d’appello risulta quindi del tutto difforme da tale principio, omettendo in particolare di considerare l’inapplicabilità dell’art. 1227 c.c. ad una obbligazione di natura restitutoria, quale è la qualificazione che è stata operata dalla stessa Corte territoriale nella propria decisione.
Il ricorso va quindi accolto nei termini di cui in motivazione e la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, la quale, nel conformarsi al principio di diritto qui richiamato, provvederà altresì a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, a lla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 30 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME