LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Obblighi restitutori: no all’art. 1227 c.c. post risoluzione

La Corte di Cassazione, in un caso relativo a investimenti in obbligazioni argentine, ha stabilito un principio fondamentale sugli obblighi restitutori a seguito della risoluzione di un contratto di intermediazione finanziaria. La Corte ha chiarito che il dovere del creditore di non aggravare il danno (art. 1227 c.c.) non si applica alle pretese di restituzione. Di conseguenza, il rifiuto dell’investitore di aderire a un’offerta pubblica di scambio (OPSV) non può ridurre l’importo che la banca inadempiente è tenuta a restituire. La sentenza conferma invece che l’investitore deve restituire le cedole percepite e che la mala fede della banca non è presunta ma va provata.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Obblighi restitutori: no all’art. 1227 c.c. post risoluzione

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione in materia di intermediazione finanziaria, specificando la natura e l’estensione degli obblighi restitutori che nascono a seguito della risoluzione di un contratto di investimento. Il caso, originato dall’acquisto di obbligazioni argentine, ha permesso di chiarire che il rifiuto dell’investitore di aderire a un’offerta di scambio (OPSV) non riduce il suo diritto alla restituzione del capitale da parte della banca inadempiente. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I fatti di causa

Un risparmiatore aveva acquistato, tramite un istituto di credito, obbligazioni della Repubblica Argentina. A seguito del noto default, l’investitore citava in giudizio la banca, lamentando la violazione degli obblighi informativi e di adeguatezza dell’operazione. Il percorso giudiziario è stato lungo e complesso: dopo una prima fase in cui il contratto era stato dichiarato nullo, la Cassazione aveva annullato tale decisione, rimettendo la causa alla Corte d’Appello.
Quest’ultima, in sede di rinvio, dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento della banca, ma stabiliva tre punti controversi:
1. Condannava la banca a restituire il capitale, ma con interessi legali decorrenti non dalla data dell’investimento, bensì dalla domanda giudiziale, non ritenendo provata la mala fede dell’intermediario.
2. Imponeva all’investitore di restituire alla banca le cedole incassate nel tempo.
3. Decurtava dalla somma dovuta all’investitore un importo pari a quanto egli avrebbe potuto recuperare se avesse aderito all’Offerta Pubblica di Scambio Volontaria (OPSV) proposta dall’Argentina nel 2005, applicando l’art. 1227 del codice civile sul concorso di colpa del creditore.
L’investitore ha quindi proposto un nuovo ricorso in Cassazione proprio contro questi ultimi tre punti.

La decisione della Corte di Cassazione e gli obblighi restitutori

La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso dell’investitore, confermando i primi due punti decisi dalla Corte d’Appello ma cassando il terzo, quello relativo all’applicazione dell’art. 1227 c.c.

La questione della mala fede e la decorrenza degli interessi

La Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso sulla mala fede. Ha ribadito un principio consolidato: l’inadempimento dell’intermediario ai suoi doveri informativi non comporta automaticamente la prova della sua mala fede. Quest’ultima deve essere dimostrata concretamente da chi la invoca (l’investitore). In assenza di tale prova, correttamente i giudici di merito hanno fatto decorrere gli interessi sulla somma da restituire solo dalla data della domanda giudiziale, come previsto per le obbligazioni restitutorie in caso di accipiens (chi riceve) in buona fede.

La restituzione delle cedole

Anche su questo punto, la Cassazione ha dato torto all’investitore. Quando un contratto viene risolto, i suoi effetti vengono meno retroattivamente. Di conseguenza, le parti sono tenute a restituirsi reciprocamente tutto ciò che hanno ricevuto. Le cedole, essendo state percepite in esecuzione del contratto poi risolto, rappresentano una prestazione che l’investitore ha ricevuto e che, pertanto, deve restituire. Esse non possono essere trattenute come “frutti civili” ai sensi dell’art. 1148 c.c., poiché l’obbligo di restituzione deriva direttamente dall’effetto caducatorio della risoluzione.

Il punto cruciale: l’inapplicabilità dell’art. 1227 c.c. agli obblighi restitutori

La vera novità e il punto centrale della decisione riguarda il terzo profilo. La Corte ha stabilito che la Corte d’Appello ha sbagliato a ridurre la somma dovuta all’investitore applicando l’art. 1227, secondo comma, c.c. Questa norma, che impone al creditore di usare l’ordinaria diligenza per evitare di aggravare il danno, si applica esclusivamente alle obbligazioni di risarcimento del danno, non agli obblighi restitutori.

Le motivazioni in diritto

La Corte spiega in modo chiaro la distinzione fondamentale tra obbligazione risarcitoria e obbligazione restitutoria. La prima sorge per compensare un pregiudizio causato da un illecito (contrattuale o extracontrattuale). La seconda, invece, nasce per ripristinare la situazione patrimoniale esistente prima del contratto, una volta che questo è stato annullato o risolto.
L’obbligo della banca di restituire il capitale investito non è una forma di risarcimento del danno, ma una diretta conseguenza della risoluzione del contratto. Pertanto, la disciplina applicabile non è quella del risarcimento (artt. 1223 ss. c.c.), ma quella della ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.).
Di conseguenza, la condotta dell’investitore che ha rifiutato di aderire all’OPSV non può essere valutata ai sensi dell’art. 1227 c.c. perché non ha aggravato un “danno” in senso tecnico, ma ha semplicemente scelto di non accettare una transazione (la novazione del rapporto obbligatorio con lo Stato argentino) per perseguire invece il suo diritto alla risoluzione del contratto con la banca. Tale scelta è legittima e non può andare a suo detrimento nel rapporto restitutorio con l’intermediario.

Conclusioni e implicazioni pratiche

Questa ordinanza consolida un principio di grande importanza per gli investitori. La distinzione tra obblighi risarcitori e obblighi restitutori è netta e ha conseguenze pratiche rilevanti. Un risparmiatore che ottiene la risoluzione di un contratto per colpa della banca ha diritto alla restituzione integrale del capitale investito (al netto delle cedole percepite), senza che gli possa essere opposta la mancata adesione a offerte di ristrutturazione del debito o altre proposte transattive. La sua scelta di non mitigare le perdite attraverso tali offerte è irrilevante ai fini della quantificazione del suo diritto alla restituzione, che non soggiace alle regole sul concorso di colpa del creditore.

Perché gli obblighi restitutori della banca non sono stati ridotti nonostante il rifiuto dell’investitore di aderire all’offerta di scambio (OPSV)?
Perché, secondo la Cassazione, l’obbligo della banca di restituire il capitale non è un’obbligazione di risarcimento del danno, ma un’obbligazione restitutoria conseguente alla risoluzione del contratto. La norma sul dovere del creditore di non aggravare il danno (art. 1227 c.c.) si applica solo alle obbligazioni risarcitorie, non a quelle restitutorie.

L’investitore che ottiene la risoluzione del contratto di investimento deve sempre restituire le cedole percepite?
Sì. La risoluzione del contratto ha effetto retroattivo, cancellando gli effetti prodotti. Poiché le cedole sono state percepite in esecuzione di quel contratto, la loro percezione perde la sua causa giustificativa e l’investitore è tenuto a restituirle. Questo è un effetto diretto dell’obbligo restitutorio reciproco tra le parti.

L’inadempimento della banca ai suoi doveri informativi la rende automaticamente responsabile in ‘mala fede’ per la decorrenza degli interessi?
No. La Corte ha chiarito che l’inadempimento, anche se grave e causa di risoluzione, non implica automaticamente la mala fede dell’intermediario. La mala fede deve essere specificamente provata dall’investitore. In assenza di tale prova, gli interessi sulla somma da restituire decorrono dalla data della domanda giudiziale e non dal momento del versamento iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati